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Cannes 2017. Christine Lagarde: “La creatività? È trasgressione”

Trasgredire rimanendo all’interno di binari prestabiliti: questo il significato della parola creatività secondo Christine Lagarde, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, ospite sul palco del Palais di Maurice Levy, Chairman del Supervisory Board di Publicis Groupe. Una creatività indispensabile per risolvere i problemi economici e finanziari, lasciando alle donne maggiori opportunità di esprimerla anche nel management.

(Cannes – dal nostro inviato Tommaso Ridolfi) Può un avvocato, un ministro dell’economia e delle finanze, o il direttore di un’istituzione finanziaria globale essere considerato creativo? E come può riuscire una donna a occupare posizioni di rilievo in questi settori? Questi i due temi principali dibattutti da Christine Lagarde, direttore generale dell’FMI, e Maurice Levy, dallo scorso 1 giugno Chairman del Supervisory Board di Publicis Groupe.

Tutta la carriera di Christine Lagarde è stata caratterizzata dalla creatività, ha osservato Levy: “Da quando è stata eletta ai vertici dello studio legale americano per cui lavorava, a quando è diventata Ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Sarkhozy, fino alla nomina al Fondo Monetario Internazionale. Quanto le è servita la creatività e quali difficoltà ha incontrato dovute all’essere una donna in mondi prettamente maschili?”

“Dipende da cosa si intende per creatività – ha risposto Lagarde –: secondo la mia accezione, la creatività iniziare sempre dentro di noi, perché essere creativi vuol dire assumersi dei rischi ed essere capaci di trasgredire, di deviare dal sentiero stabilito pur rimanendo entro dei binari prefissati. La responsabilità degli avvocati, per esempio, ha a che fare con la sicurezza e la legalità, e devono ovviamente lavorare entro i confini stabiliti dalla legge: ciò non toglie che anche dal punto di vista legale sia possibile trovare strade diverse e approcci creativi pur rimanendo entro quei confini. In realtà, però, quando fui eletta a capo dello studio legale non fu per questioni di creatività, ma perché le cose stavano andando tutt’altro che bene: e io fui scelta solo perché nessun uomo voleva quel posto o si sentiva in grado di occuparlo… Sono molto più orgogliosa del fatto che al termine del mio primo mandato fui rieletta all’unanimità!”.

Purtroppo, ha proseguito, ancora oggi le donne riescono a emergere solo quando la situazione è disperata o quasi: “Fino agli anni ’90, sono state molte le occasioni in cui alle riunioni dello studio legale qualche cliente mi scambiava per una segretaria o mi chiedeva di portargli il caffè… Oggi non accade più, ma riconoscere il talento professionale di una donna è ancora tutt’altro che scontato, soprattutto nell’ambito del management. Nel mondo legale, ma la statistica è simile anche in quello pubblicitario, uomini e donne sono rispettivamente il 55% e il 45% circa: disaggregando i dati, però, si vede che al livello del top management le donne sono solo poco più dell’10%. Lo scoglio da superare è proprio questo, perché non consentire alle donne di avere accesso a piattaforme e opportunità pari a quelle degli uomini rappresenta un enorme spreco di risorse.

“E c’è di più. Come il cambiamento climatico, anche la diseguaglianza di genere è un problema macro-economico: ci ho messo una grande dose di creatività per far passare questo messaggio in un ambiente prevalentemente maschile, ma finalmente oggi lo si affronta globalmente proprio in questi termini: quando l’FMI interviene in aiuto di paesi che ne hanno la necessità, fra i fattori che si tengono in considerazione la condizione femminile è uno di quelli più importanti”.