Inchieste

NC. Inchiesta Cannes 'Creatività disruptive. Il potere della trasgressione'. Gitto (ADCI): "Quando l'advertising 'rompe'"

Come dimostrano gli ultimi festival della pubblicità, 'disruption' è un termine ormai entrato nell'uso corrente per definire approcci dirompenti, che creano una frattura con il passato, mettendo in discussione schemi, regole e linguaggi. A fare la differenza, secondo Vicky Gitto (ADCI), sono contenuti attuali, in cui la gente si riconosce, e un utilizzo consapevole e aggiornato delle ultime innovazioni tecnologiche. Lo spiega Vicky Gitto, presidente ADCI, nell'inchiesta dedicata alla creatività disruptive pubblicata sul numero di giugno/luglio di NC-Nuova Comunicazione, nella quale attraverso le case history vecchie e nuove, le agenzie raccontano il loro personale approccio 'disruptive' e come questo abbia contribuito a fare la storia della pubblicità. La parola a Vicky Gitto, presidente ADCI.

Iniziamo oggi la pubblicazione su ADVexpress dell'inchiesta realizzata da NC -Nuova Comunicazione di giugno/luglio 2018 dedicata alla creatività disruptive. La pubblicità oggi, sempre di più, deve essere dirompente, atta a rompere gli schemi mentali abituali, i comportamenti standard. Disruption è un metodo, un modo di pensare e una forma mentis. Attraverso le case history vecchie e nuove, le agenzie raccontano il loro personale approccio 'disruptive' e come questo abbia contribuito a fare la storia della pubblicità.  La parola a Vicky Gitto, presidente ADCI.

Ormai è un dato di fatto: negli ultimi anni la parola ‘disruption’ è diventata una delle più usate - e spesso abusate - nel settore della comunicazione e del marketing, per indicare un approccio dirompente, atto a mettere in discussione gli schemi mentali abituali e i comportamenti standard. Per capire quanto territorio in questo mercato il termine abbia guadagnato negli ultimi anni, basta guardare quanto se ne è parlato nelle ultime edizioni del Festival di Cannes: nel 2015 un’intera giornata (l’ultima) era stata dedicata a questo tema, l’anno successivo esso era stato al centro di un seminario tenuto dalla Harvard Business School, e nel 2017 a trattarlo era stato il gruppo musicale Pussy Riot nell’ambito di una masterclass. E se sul sito dell’edizione 2018 del Festival di Cannes si guarda la descrizione del programma dedicato alla ‘Innovation’ (uno dei nove percorsi introdotti da quest’anno a cui fanno capo le categorie dei Leoni e i contenuti dei workshop e delle conferenze), si leggerà: “Se lavori per un brand, qui vedrai ‘disruption’ di prima mano e scoprirai applicazioni innovative che guidano la performance”.

Insomma, più attuale che mai. In realtà il concetto di disruption fa il suo ingresso nel mondo della comunicazione negli anni ‘90 con il pubblicitario francese Jean-Marie Dru- dal 2001 ceo e chairman Tbwa Worldwide - che lo introduce come nuova metodologia, tutt’oggi alla base dell’approccio dell’agenzia a livello mondiale (vedi box). Ma con il passare del tempo, e soprattutto con l’avvento della rivoluzione digitale, il termine ha assunto connotazioni diverse e più ampie, andando a definire nuovi modelli di business - ad esempio Uber, Airbnb, ecc. - o nuovi linguaggi. Da metodologia di comunicazione che mira a trovare strategie di rottura per le marche dei clienti, così come l’aveva pensata Dru, la disruption è diventata sinonimo di un qualcosa - comunicazione, ma anche azienda -, che rifiuta le convenzioni e crea una frattura con i parametri del passato.

Oggi, poi, che le tecnologie a disposizione rendono possibili azioni impensabili soltanto qualche anno fa, la tendenza a definire disruptive qualcosa che susciti una qualche emozione è ormai dominante. (Non a caso, è una delle richieste più frequenti da parte delle aziende alle agenzie…). Ma cosa vuole dire oggi essere disruptive in comunicazione? “La disruption è nei contenuti creativi con cui si approccia un progetto - è convinto Vicky Gitto (nella foto),  presidente Adci -. Quello che fa la differenza, sia per le aziende che per le agenzie, è essere costantemente aggiornati sulle tematiche più importanti del momento e le grandi sfide dell’umanità - ad esempio la gender equality - che fanno breccia nelle persone, intercettando un loro reale interesse. È, insomma, il magico mix di prodotti, servizi e visioni del brand con temi di rilevanza sociale a essere l’elemento di rottura”. Un altro aspetto imprescindibile, secondo il presidente Adci, è la capacità di sapere utilizzare in modo competente e consapevole la tecnologia, in continua evoluzione, intercettando l’innovazione del momento. “Mentre l’anno scorso andavano per la maggiore i chatbot, quest’anno è la volta dell’Intelligenza Artificiale - spiega -. Risulta quindi vincente l’agenzia che riesce a tenersi aggiornata e a cavalcare queste innovazioni in modo strategico per la marca”.

Ma come è cambiato nel tempo il modo in cui le agenzie ‘stupiscono’ il pubblico? “Dieci anni fa, per definire un posizionamento disruptive della marca, il reparto planning studiava il modo migliore per metterla sul mercato, attraverso una pianificazione efficace, in cui il protagonista indiscusso era il brand - continua Gitto -. Oggi è cambiata totalmente la modalità dell’approccio: non si decantano più la gloria del prodotto, ma si abbracciano casi, temi e valori che siano allo stesso tempo rilevanti per il consumatore e coerenti con il brand. Una volta la comunicazione parlava, ma non ascoltava: oggi dialoga e invita il destinatario a dire la sua. Del resto, non è un caso che si parlasse di ‘break’ pubblicitari: il brand ‘interrompeva’ la fruizione dei contenuti ovunque essa si verificasse (tv, stampa, radio, ecc…, ndr) per parlare di un marchio, mentre oggi la comunicazione, con tutti gli innumerevoli canali a sua disposizione, crea e coglie delle situazioni per creare una relazione e un dialogo con il suo target”.