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Centromarca presenta un manuale per il contrasto alle fake news su aziende e prodotti

Scaricabile gratuitamente dal sito dell’associazione, il volume realizzato dall’Associazione Italiana dell’Industria di Marca con i contributi di Reputation Manager, Studio Previti e della società di consulenza Lear, contiene indicazioni pratiche per la gestione di criticità reputazionali, aspetti legali e danno patrimoniale conseguenti alla diffusione di fake news – un problema ancora per molti versi inesplorato e di difficile quantificazione.

Contrastare efficacemente il fenomeno delle notizie false diffuse online che mettono in discussione la reputazione di aziende e marchi: questo l’obiettivo di Centromarca nel realizzare un vademecum che approfondisce come e quanto le fake news nascono e si diffondono, ma soprattutto propone approfondimenti in materia di scenario, prevenzione e gestione della crisi, tutela legale e quantificazione del danno patrimoniale.

Il volume “Marca, Internet e contrasto alla disinformazione - Tutelare il brand, affrontare la crisi, quantificare il danno”, scaricabile gratuitamente dal sito dell’associazione
(http://bookcontrastodisinformazione.centromarca.it/), è stato presentato oggi a Milano presso la sede di Centromarca da Ivo Ferrario (direttore comunicazione Centromarca), Antonio Martusciello (Commissario AGCOM), Roberto Bucaneve (direttore di Centromarca), Andrea Barchiesi (Ceo Reputation Manager), Paolo Buccirossi (direttore della società di consulenze Lear), Stefano Previti (avvocato dello Studio Previti), che hanno sottolineato la necessità di intervenire in modo multidisciplinare in un campo ancora in larga
parte inesplorato.

Roberto Bucaneve, Centromarca

 “Nell’ultimo biennio abbiamo favorito la diffusione di conoscenze utili per contrastare le fake news – ha spiegato Bucaneve (a sinistra nella foto)– attraverso seminari riservati alle industrie, ai giornalisti, agli studenti universitari e alle associazioni dei consumatori, e collaborando attivamente al Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali promosso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Il libro è un ulteriore tassello all’ampio lavoro svolto».

IvoFerrario

 Ferrario (nella foto a sinistra) ha ricordato i dati dello studio condotto lo scorso anno su 46 associate per dare una dimensione del fenomeno: fra le aziende del campione, 35 appartengono al mondo del food, il settore più colpito, con 43 casi, contro i 6 in aziende non food. Per 16 aziende il problema si è verificato solamente in uno o due casi, mentre due aziende, sempre dell’area food, si sono trovate ad affrontare più di otto attacchi. Quattro le aziende che hanno affrontato fra 3 e 7 incidenti. La maggioranza degli attacchi è rivolta al brand (15 casi), mentre solo in due casi alle aziende e in 5 ad aziende e brand. Facebook è risultata la piattaforma più utilizzata per questo tipo di attacchi (13 casi), seguita da siti e blog (6), Twitter (5), Google, Whatsapp e YouTube (3 ciascuno) e, infine, Instagram (1 solo caso).

Citando i dati della ricerca Eurobarometro, il Commissario per i servizi e i prodotti dell’AGCOM, Antonio Martusciello, ha ribadito come l’83% degli europei consideri ‘serio’ il problema delle fake news: l’84% ritiene che siano mirate a influenzare il dibattito politico mentre il 63% ritiene che il loro fine sia principalmente quello di generare profitto. “Il manuale focalizza un problema ancora irrisolto – ha detto il commissario – suggerendo strumenti e azioni diversificate che si affianchino alle attività di moral suasion e
di light regulation realizzate dal Tavolo Tecnico promosso dall’Autorità”.

Come già emerso dallo studio di Centromarca, le piattaforme non si sono dimostrate particolarmente efficaci nel supportare le aziende nella gestione delle crisi: solo 9 aziende avevano infatti trovato supporto presso gli operatori digitali, mentre 10 affermavano di non averlo ricevuto (le restanti 27 non avevano dato risposta). A questo proposito Martusciello ricorda come Facebook, Twitter e Google stiano dimostrando apertura nel caso di messaggi fake di natura politica, ma sottolinea la necessità di garantire a terze parti l’accesso ai dati per poter valutare pienamente effetti e impatti: “Le possibili soluzioni passano attraverso una garanzia di ‘level playing field’ – ha affermato – di accesso alle modalità di acquisizione e trattamento dei dati, di nuove tecnologie in grado di identificare modelli di traffico ‘insoliti’ e potenziali negatività”.

Come detto, d’intesa con gli autori, Centromarca ha deciso di rendere l’opera liberamente downloadabile dal suo sito per favorirne la diffusione nel mondo delle imprese, in particolare delle Pmi che popolano il settore dei beni di consumo. “Ferma restando la libertà di critica e di opinione – ha ripreso Ferrario – ciò che le marche si trovano ad affrontare non sono solo casi di disinformazione, ma anche veri e propri fenomeni di denigrazione che minando il rapporto fiduciario tra consumatore e impresa hanno conseguenze negative sul fronte delle vendite, del deterioramento della relazione con i canali distributivi, dei costi delle iniziative varate per reagire agli effetti delle fake news.

“In realtà il fenomeno di per sé esiste da sempre – ha aggiunto Barchiesi –, ma lo sviluppo digitale ha cambiato tutto in termini di velocità e di tempo: il flusso delle notizie e delle informazioni è diventato orizzontale, non più ‘top-down’, incontrollabile e totalmente disintermediato. Le crisi, quando si verificano, creano un cortocircuito permanente perché la Rete non dimentica nulla. Per tutelare la reputazione dei brand serve prima di tutto un’analisi approfondita della rete stessa, usando la tecnologia per identificare i soggetti. Ma non basta: occorre introdurre il ‘grado’ di falsità e qualcuno che, super partes, stabilisca che cosa è ‘fake’. Lo strumento più efficace resta la prevenzione, un check up continuo e una mappa delle informazioni che già esistono su una marca per capirne il posizionamento. E infine occorre un tavolo interdisciplinare fra tutti i soggetti coinvolti perché le singole campagne di informazione e di comunicazione non sono più sufficienti”.

Anzi, secondo Barchiesi, utilizzare la leva della comunicazione per ‘rispondere’ a un attacco rischia addirittura di essere controproducente: “È indispensabile, piuttosto, che il brand lavori su una strategia di comunicazione credibile e sedimentata, perché a quel punto saranno i suoi stessi utenti e consumatori a viralizzarne le qualità contrastando così i possibili effetti negativi e distorsivi delle fake news”.

TR