Interviste

A.Groenendaal (Grey Europe): “Architetti della comunicazione al servizio dei brand”

Festeggiati i suoi primi 100 anni, Grey guarda al futuro focalizzandosi sul concetto di “Open for tomorrow”: “Dobbiamo essere aperti alle nuove tecnologie, a ogni possibile collaborazione e al cambiamento – spiega in questa intervista esclusiva ad ADVexpress Alain Groenendaal, da gennaio alla guida di Grey Europe –, aiutando i clienti con le nostre idee e la nostra creatività a migliorare, e spesso a trasformare, il loro business”. Come? Passando dall’advertising alla comunicazione, accompagnata da una buona dose di innovazione e soprattutto da creatività e idee a tutto tondo. Sperimentando, se e quando è il caso, nuovi modelli di business e nuove forme di remunerazione.

In visita alla sede milanese di GreyUnited, Alain Groenendaal, Presidente e CEO di Grey Europe, ha trovato il tempo per incontrare ADVexpress e raccontare il presente e il futuro dell’agenzia di cui ha preso le redini continentali lo scorso gennaio.

Nato a New York da genitori francesi e olandesi e cresciuto in Canada, Groenendaal ha un curriculum eclettico: esordisce nella sede cilena di Leo Burnett, dove diventa Senior Vice Presidente per l’America Latina, passa a La Comunidad, agenzia creativa dedicata al mercato di lingua ispanica degli USA, per fare quindi il suo ingresso nell’orbita del Gruppo WPP, per il quale fino allo scorso anno è stato presidente e Ceo di Grey Latin America.

Punto di partenza per la chiacchierata sono stati i recentissimi festeggiamenti per il 100° anniversario della fondazione di Grey: “Si dice che l’agenzia, nata nel 1917, in piena guerra mondiale, abbia preso il nome dal colore delle pareti dei suoi primi uffici – racconta Groenendaal – perché i nomi dei fondatori ebrei, Lawrence Valenstein e Arthur Fatt, sarebbero stati malvisti: ma al di là delle leggende, ciò che le celebrazioni ci hanno aiutato a ricordare è il valore dello spirito imprenditoriale e dell’innovazione che sono da sempre nel Dna dell’agenzia, e che sono rilevanti oggi come e quanto allora. In Europa è diverso, ma negli Stati Uniti sono davvero poche le aziende che possono vantare un simile background, soprattutto nel mondo della comunicazione: questo per noi è stato lo spunto per riflettere e pensare a quale deve essere e deve diventare il nostro ruolo in un’industria che si sta radicalmente trasformando e nella quale vogliamo essere sempre più partner delle marche”.

Oggi le idee possono nascere ovunque, e ad ambire a questo ruolo di partner della ‘digital transformation’ delle aziende avete molti concorrenti, agenzie media in primis: quali sono i plus di una sigla come Grey per vincere la sfida?

“È vero che le idee possono nascere ovunque, ma da questo punto di vista noi pensiamo di essere avvantaggiati, proprio perché, come dicevo, imprenditorialità, cambiamento e innovazione fanno parte dei nostri valori. Inoltre, il nostro lavoro si fonda sulla conoscenza dei consumatori e dei brand, del loro legame e delle ragioni per cui accordano la loro preferenza, quello delle agenzie media risiede in gran parte nel processo strategico, e una strategia senza idee non serve a nulla, Ma non solo: il punto è che dobbiamo tutti, noi e loro, trovare la strada per ‘riconnetterci’, nuovi modi per collaborare. Non necessariamente ricostruendo il vecchio modello di agenzia a servizio completo, ma in ogni caso lavorando insieme. Parte del mio incarico al vertice del gruppo europeo è proprio quello di approfondire la conoscenza dell’intero network e delle altre sigle che fanno capo a WPP, per trovare il modo di diventare tutti più forti e più agili per offrire ai clienti un maggior valore aggiunto in termini di risultati. In tutto questo, più competitor ci sono e meglio è”.

Anche se ha assunto l’incarico europeo da pochi mesi, quali sono le principali differenze o similitudini che ha riscontrato fra le diverse agenzie nelle diverse aree di cui si è occupato finora?

“Per quanto riguarda l’America Latina, le agenzie sono solitamente più ‘piccole’, o quanto meno nascono con minori risorse, che compensano però con un maggior spirito imprenditoriale e anche un pizzico di creatività in più avendo dovuto trovare il modo per ottenere di più partendo con meno. Il mercato USA e quello Europeo mi sembrano invece più simili fra loro nel senso che sono entrambi composti da molti diversi paesi e mercati di dimensioni assai variabili, dove i giganti convivono con i più piccoli: il problema comune, per le agenzie, è cercare di sfruttare le economie di scala per soddisfare le esigenze di ambedue i tipi rimanendo competitive su entrambi i fronti. Ecco perché il ‘nuovo’ focus di Grey Europe sarà all’insegna della massima apertura: dobbiamo essere aperti alle nuove tecnologie, a ogni possibile collaborazione e al cambiamento, aiutando i clienti con le nostre idee e la nostra creatività a migliorare, e spesso a trasformare, il loro business. Dobbiamo essere completamente trasparenti e, ultimo ma non meno importante, dobbiamo passare definitivamente dalla creatività pubblicitaria all’architettura della comunicazione, accompagnata da una buona dose di innovazione a tutto tondo”.

Che cosa chiede e che cosa offre oggi Grey Europe alle sue diverse sedi nazionali?

“La prima attesa nei loro confronti è che possiedano i ‘fondamentali’ necessari per svolgere al meglio il loro lavoro e risolvere i problemi dei clienti: ciò vuol dire prima di tutto la certezza di avere le persone giuste nel posto giusto. Poi, proprio perché non si tratta di un unico grande mercato ma, almeno così mi piace vederle, di un gruppo di ‘laboratori’ interconnessi fra loro, vorrei alzare il loro livello di imprenditorialità e la loro capacità di trovare le soluzioni più innovative ed efficaci. In cambio il Gruppo offre loro principalmente tre cose: un supporto dal punto di vista dei servizi, della gestione degli accordi commerciali, delle acquisizioni di nuovi partner e anche di nuovi talenti; le opportunità per le economie di scala di cui parlavo, per esempio diffondendo nell’intera regione e permettendo alle diverse sedi di condividere i punti di forza di ogni altro ufficio; una strategia di sviluppo comune e la condivisione di una conoscenza ‘centralizzata’ di molti mercati e settori”.

Una delle differenze forse più evidenti della diversità fra i vari paesi e al tempo stesso del cambiamento in atto nell’industria riguarda i modelli di business e di remunerazione: come state affrontando questo aspetto?

“La risposta è che stiamo sperimentando. Nel tempo siamo passati da una commissione percentuale basata sull’investimento media a un calcolo basato sui timesheet, ossia il tempo dedicato al lavoro su ciascun progetto. Oggi l’innnovazione tocca anche questo campo, offrendo opportunità diverse, più ‘giuste’ e, talvolta, anche più remunerative in assoluto o quanto meno sul lungo periodo. Come il progetto LifePaint, la vernice spray che rende visibili al buio capi di abbigliamento e mezzi utilizzati dai ciclisti, che abbiamo sviluppato per Volvo: in questo caso l’accordo è stato di una percentuale sulle vendite, ed è chiaro che più l’azienda ne venderà nel tempo più anche noi continueremo a guadagnare. Un’altra strada è quella di valutare diversamente la cessione della proprietà intellettuale, trovando nuove vie per il ‘licensing’ delle nostre idee: se un’idea venduta al cliente rimane di sua proprietà, e se quell’idea gli permette di guadagnare il quadruplo, per noi non cambia nulla. Un’alternativa potrebbe essere quella di cedere l’esclusiva dell’idea per un tempo limitato, sei mesi o un anno, dopo di che l’agenzia ne torna in possesso e potrebbe rivenderla alla stessa azienda o anche a un cliente differente. Renderebbe l’investimento iniziale meno oneroso per il cliente stesso, garantendo a noi maggiori revenue, anche se diluite nel tempo. Un altro vantaggio di molti di questi nuovi modelli, non secondario, è che permettono all’agenzia di avvicinarsi al cliente, creando un legame più forte”.

Queste idee vanno però a scontrarsi con una realtà quotidiana fatta di gare, gare e ancora gare su singoli progetti, di anno in anno quando non di mese in mese o di settimana in settimana: in questo caso innovazione e status quo si riescono a conciliare?

“Non c’è una soluzione unica, questo è certo, e dipende da ogni situazione e da ogni cliente, caso per caso, senza mai dimenticare che l’obiettivo del nostro lavoro è e resta la costruzione dei brand. Ci sarà però sempre una parte di clienti quasi del tutto avversi al rischio. Ma i modelli più innovativi si fondano su un rapporto di fiducia molto stretta – per questo dicevo che rafforzano il legame e la vicinanza fra le due parti: per esempio, se sarò pagato in percentuale sulle vendite, l’azienda dovrà concedermi la possibilità di vedere i suoi conti e farmi capire se e quanto ha guadagnato davvero grazie alle mie idee. Una parte della sperimentazione cui accennavo prevede che le soluzioni si studino insieme, e c’è sempre la possibilità di mixare diversi modelli. Oggi, per esempio, una parte crescente dei nostri fee riguarda lo ‘scope of work’ – quantità e ampiezza del lavoro svolto dall’agenzia per il cliente – , un KPI che oggi è definito a priori in modo molto più chiaro di quanto non avvenisse in passato”.

Tutto ciò impone anche un ripensamento interno dell’idea di agenzia e di gruppo: in quale direzione?

“Assolutamente sì, e le direzioni sono molteplici. Al primo posto c’è la ricerca di nuovi talenti con nuovi e diversi background e più ampie competenze: basta guardare ai titoli professionali nati negli ultimi anni, dai ‘data scientist’ agli ‘experience planner’, per arrivare ai ‘chief happines officer’! Poi c’è lo sviluppo del lato consulenziale: prendendo il meglio dovunque si trovi, dalle competenze digitali della nostra agenzia turca (dove l’above the line genera meno del 30% del suo fatturato) alla capacità di costruire strategie innovative di Grey Adventure, in Germania, per diffonderle e ridistribuirle in tutti gli altri uffici. Ma posso dirne molte altre ancora: prestare maggior attenzione al pensiero legato al design, alla reale integrazione e all’abbattimento delle barriere fra le diverse discipline, al ricorso a nuove partnership… Un’ultimo aspetto al quale stiamo lavorando è il coinvolgimento diretto dei clienti molto prima di quanto accada di solito, fin dalla fase progettuale per renderli partecipi del processo creativo e non solo i ricevitori del prodotto finale: se intervenissero mentre le idee sono ancora rough per darci indicazioni sulla correttezza della strada intrapresa eviteremmo noi di sprecare un sacco di tempo e loro soldi!”.

Alla vigilia del Festival di Cannes, l’ultima domanda non può che vertere sul tema della creatività: come vede il futuro non solo a breve ma anche a medio-lungo termine di Grey Europe?

“Oggi siamo già in ottima posizione grazie ad alcuni uffici, in particolare quelli di Londra, Copenhagen e Stoccolma – dove l’agenzia ‘locale’ Ingo, che fa parte contemporaneamente sia del network Grey che di quello Ogilvy, ha raccolto negli ultimi anni una miriade di riconoscimenti e premi per la campagna The Swedish Number. Naturalmente vorrei che si aggiungessero a questo team nuovi e importanti paesi, dalla Turchia all’Italia, perché l’obiettivo che vogliamo raggiungere è un ‘movimento creativo’ targato Grey, non solo un gran numero di singoli episodi. Per riuscirci abbiamo uno strumento importantissimo: il nostro Global Creative Council si riunisce infatti due volte l’anno per discutere di tutto ciò, delle problematiche dei nostri clienti globali e al tempo stesso per esaminare l’output creativo di tutti i nostri uffici ed effettuare una specie di ‘controllo qualità’ vagliandone l’eventuale iscrizione a festival e premi”.

Tommaso Ridolfi