Interviste

#BRANDtoBE con Cabras (True Company). "Il branded entertainment consente a una marca di raccontare non solo prodotti e servizi, ma la sua ragione d’essere sul mercato, i suoi valori e il suo carattere. Aiuta a 'far comprare' piuttosto che a far vendere"

Nella rubrica su ADVexpress a cura dell'OBE, il managing partner del gruppo spiega che il branded entertainment "aggancia l'attenzione dell'untente e instaura una relazione più lunga di un 30", di una pagina sfogliata distrattamente e di un banner a contorno di un sito web. Consentendo alle aziende di attirare realmente l’attenzione del consumatore nell’affollamento odierno di messaggi pubblicitari".

I vostri social, in queste settimane di lockdown, sono stati sempre attivi: avete dato voce e spazio alle diverse figure che lavorano in agenzia, raccontato il vostro punto di vista e condiviso il vostro know-how. Quanto è importante per un’agenzia oggi essere virtualmente aperta verso la propria community e far sentire la propria voce anche in momenti di crisi?
È fondamentale. Il lockdown ha sicuramente cambiato il nostro modo di rapportarci con la community: tutte le occasioni di rapporto “live” sono state sostituite da rapporti digitali, e il lato empatico è quello che sicuramente ha bisogno di più supporto.
Continuare a comunicare sui social, raccontando con un taglio ancora più personale il team che lavora in agenzia, è un modo per colmare - almeno parte - questo gap. Lo abbiamo fatto, ad esempio, organizzando alcuni aperitivi social, l’ultimo dei quali è stato un aperitivo letterario in occasione della giornata mondiale del libro: ci siamo mostrati nelle nostre case, leggendo brani che ci fanno emozionare, raccontando qualcosa di noi che va oltre il nostro lato professionale.

Siete riusciti, in questi anni, ad attrarre molti clienti stranieri. Come si fa, soprattutto in questo momento, ad attrarre questi capitali?
Ci sono diversi fattori che ci hanno portato, negli ultimi anni, ad aprirci maggiormente all’internazionale e, da realtà indipendente, è stato senz’altro un percorso sfidante. Prima di tutto, l’aver sempre avuto in portfolio brand multinazionali ha senza dubbio sviluppato un’attitudine del team a uscire dai confini italiani, che disegnano – ne siamo consapevoli – un mercato comunque limitato. Attitudine che abbiamo coltivato nel tempo con i nuovi ingressi in agenzia, selezionando talenti che potessero accrescerla e potenziarla. Inoltre, quattro anni fa abbiamo scelto di aderire a TheNetworkOne, la più grande aggregazione di agenzie indipendenti: questo ci consente – mantenendo la nostra indipendenza – di giocare su scenari globali e di vivere in prima persona contenuti ed approcci che arrivano da tutto il mondo, contaminandoci e avvicinandoci a un modo di pensare più aperto e globale.

Quali sono i vantaggi, partendo dalla vostra esperienza, garantiti da un contenuto di branded- entertainment a un’azienda?
Partiamo da un presupposto: io credo che ci sia una differenza importante tra “vendere” e “far comprare”. Nell’affollamento odierno di messaggi pubblicitari, attirare realmente l’attenzione del consumatore è una sfida sempre più complessa. Il branded entertainment offre un’opportunità importante: agganciare l’attenzione dell’utente e instaurare una relazione più lunga dei trenta secondi di uno spot, di una pagina sfogliata distrattamente, di un banner che fa da contorno a un sito web. Chiaro, è uno strumento che lavora più sul livello dell’education che su quello della vendita: consente a una marca di raccontare la sua ragione d’essere sul mercato, i suoi valori e il suo carattere, oltre che i prodotti e i servizi offerti. Insomma, aiuta a “far comprare” piuttosto che “vendere”.