Interviste

#BRANDtoBE con Seminerio (Musa). "Nel 2021 le aziende chiamate ad utilizzare il music branding in modo strategico, identificando le marche con un genere musicale preciso e creando una relazione con target specifici"

Il Ceo della company Music & Entertainment for Brands, protagonista della 'prima puntata' 2021 della rubrica realizzata da ADVexpress in collaborazione con l'Osservatorio Branded Entertainment, spiega come, dopo un 2020 costellato da attività tattiche, le marche debbano puntare sul music branding in modo strategico, con un percorso di continuità che generi vero valore.

Ritorna la rubrica #BrandToBE, realizzata da ADVexpress in collaborazione con OBE - Osservatorio Branded Entertainment. Un giro di interviste agli associati dell’Osservatorio, per raccontare il loro punto di vista sui cambiamenti in atto, sull’anno appena concluso e sui trend del branded content & entertainment in quello appena iniziato. 

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Oggi la parola a Luca Seminerio, Ceo di Musa (Music & Entertainment for Brands).

 Si è appena concluso il 2020, un anno che, a seguito dell’emergenza sanitaria e del lockdown, ha portato nelle aziende problematiche e difficoltà da superare; in questo scenario di crisi, pensi che anche il mercato del branded entertainment ne abbia risentito? O è stata una risorsa per le aziende per continuare a comunicare e coinvolgere le proprie audience?

Nonostante l’emergenza sanitaria, abbiamo assistito a diverse attività di branded entertainment, anche in campo musicale. Questo perché il Covid non ha fermato né la musica né i brand, che la considerano ormai un linguaggio da utilizzare per raggiungere obiettivi di awareness e di vendita. Ho però visto tante attività tattiche, senza una visione strategica allargata e l’impostazione di un percorso di continuità che generi vero valore.

Come suonano le marche?
Parlando ai marketer, la prima domanda che farei loro è proprio questa: come suona il tuo brand? Pop, rock, rap, indie, jazz, metal? La mancanza di una risposta chiara denota l’evidente assenza di una visione di percorso, indispensabile per stabilire un forte legame tra un brand e la target audience a cui si rivolge, partendo da una profonda comprensione
dell’universo valoriale e del sistema di significati di quest’ultima, espressi dal suo genere musicale di riferimento.

Nel 2020 la musica è diventata un elemento cardine di molti progetti di branded entertainment per creare unione e solidarietà. Quale, tra i tanti, ritieni sia stato quello di maggior impatto?
L’emergenza Covid ha colpito in maniera improvvisa sia la musica che i brand, che non hanno avuto molto tempo per organizzarsi, oltre a dover affrontare innegabili complessità operative. In realtà faccio fatica a individuare un’attività di branded entertainment di natura sociale legata alla musica che si sia distinta in particolar modo. Mi vengono invece in
mente alcune attività di music marketing a scopo benefico degne di nota, come ad esempio la cover corale del brano 'Ma il cielo è sempre più blu' di Rino Gaetano, registrata da alcuni tra i più popolari cantanti e musicisti italiani, riuniti per l'occasione nel supergruppo Italian Allstars 4 Life, a sostegno della Croce Rossa Italiana. Oppure Heroes, evento musicale in streaming a sostegno dei lavoratori della musica che si è svolto all’Arena di Verona. O, ancora, il progetto Scena Unita, che ha visto un gruppo di artisti e personalità dello spettacolo unirsi nell’intento di dare un aiuto concreto a tutti i lavoratori del settore attraverso donazioni private, la costituzione di un apposito fondo del CESVI e l’organizzazione del social concert Dream Hit, in diretta streaming dal Fabrique. I brand hanno supportato alcune di queste iniziative, senza però esserne protagonisti.

Secondo la tua esperienza, nel 2021 il mercato del branded entertainment in che direzione si svilupperà? Cosa ci riserva il futuro?
La musica è un linguaggio potentissimo in grado di connotare le persone, creare forte senso di appartenenza, generare valori condivisi. Le marche dovranno credere ancora di più nel music branding e imparare a usarlo in maniera strategica per costruire relazioni credibili con le loro target audience, sposandone valori, significatii, stili di vita e puntando su attività
e contenuti che ne favoriscano l’engagement e l’identificazione. Sarà necessario fare un vero e proprio salto, poiché le marche dovranno riconoscere nella musica un linguaggio strategico e non semplicemente tattico, chiedendosi come suonino i brand e intraprendendo percorsi che siano in grado di identificare la marca con uno specifico genere musicale e di stabilire così una solida e duratura relazione con un target ben preciso, costituito dalla tribù che si riconosce in quello stesso genere. In azienda abbiamo sintetizzato questo percorso strategico in quattro fasi: ascolto (empatico e data-driven), ideazione (studio e comprensione dei touchpoint digitali e fisici con la target audience, es. social dell’artista, concerti, festival, videoclip, format digitali), azione (progettazione e messa a terra di un contenuto in modo creativo), misurazione (analisi dei risultati rispetto ai KPI condivisi all’inizio del percorso, es. awareness, consideration, loyalty, advocacy). Solo con questo approccio, al termine del percorso, la marca esprimerà un suono riconoscibile nel quale gli individui a cui si rivolge si ritroveranno e avrà le carte in regola per diventare un punto di riferimento culturale per una certa, specifica tribù.