Interviste

Balestrieri (GVM): "Nella viralizzazione informativa del lockdown abbiamo puntato su messaggi sobri, rassicuranti e trasparenti. Ora una comunicazione più istituzionale, autorevole e utile, che argini le fake news"

Franco Balestrieri, direttore marketing e comunicazione di GVM Care & Research, uno tra i primi Gruppi ospedalieri italiani, spiega ad ADVexpress la strategia di comunicazione adottata durante la pandemia per fornire ai pazienti informazioni certe e tranquillizzanti, cercando di guidare chi contattava la struttura nel fare scelte consapevoli. GVM organizzata come prassi con una “diffusione centralizzata dell’informazione”, ha fornito ai media e ai cittadini un interlocutore unico - la sede del Gruppo - che è sempre in contatto con le strutture nelle 10 Regioni. "Abbiamo poi intrapreso un dialogo accurato e trasparente, evitando sensazionalismi e utilizzando un tono sempre pacato e razionale, anche in caso di attacchi mediatici"

Il recente lockdown, con le sue limitazioni e quelle attualmente in atto, ha impattato non solo sulle nostre prassi quotidiane ma anche sul modo in cui comunichiamo. A livello planetario miliardi di persone hanno iniziato a utilizzare con maggiore frequenza strumenti prima adoperati saltuariamente, i messaggi pubblicitari sono stati fatti virare sempre di più su concetti di pubblica utilità, i rapporti tra i differenti media sono stati rimodulati.

Tra i vari contesti, anche quello sanitario si è trovato prima a gestire l’emergenza e ora a continuare a comunicare le proprie attività, affrontando gli ostacoli dell’attuale quadro sociale. Ne abbiamo parlato con Franco Balestrieri, direttore marketing e comunicazione di GVM Care & Research, uno tra i primi Gruppi ospedalieri italiani, con oltre 45 strutture di cui 30 in Italia collocate in 10 diverse Regioni e molte delle quali accreditate con il SSN, citato in più occasioni, per la comunicazione puntuale, autorevole, chiara e trasparente.

 

Qual è stato il ruolo della comunicazione sanitaria in questa emergenza?
Gli attori della comunicazione sanitaria sono diversi per ruolo e per linguaggio. Da un lato troviamo le istituzioni internazionali, nazionali, regionali e locali, oltre a ospedali, medici in corsia, virologi, ricercatori, immunologi. Dall’altro abbiamo tutti coloro che tra tv, radio, quotidiani e informazione digitale “navigano a vista anche per trovare conforto medico” utilizzando gli strumenti a loro più noti,  Google o Facebook. In tale contesto di 'paura liquida' come l’ha definita il sociologo Zygmunt Bauman, ovvero una paura onnipresente che colpisce ogni classe sociale, nel nostro settore sono emersi con forza tre aspetti. La risposta straordinaria di tutto il personale medico che è stata utilizzata per creare una semiosfera di simboli, immagini, storytelling in grado di promuovere positività, impegno, coraggio, senso di appartenenza a una popolazione coesa che si batte per il bene comune. Un aspetto prezioso, che ha contribuito sia a mitigare - in parte - il pericolo di derive estremiste che spesso si accompagnano a situazioni di incertezza, sia a modificare la rappresentazione sociale del medico, troppo spesso basata negli ultimi anni su gogne mediatiche perpetrate in molti casi solo a scopo sensazionalistico. Un maggior bisogno di 'coordinamento' tenendo conto della diversa situazione pandemica di ogni Regione - e omogeneità dell'informazione condivisa, per cercare combattere la diffusione di notizie imprecise o fuorvianti, o più semplicemente “fake news”. Ciò con l’obiettivo di provare a gestire le paure della popolazione, raccomandando al contempo i corretti comportamenti da tenere nell’interesse della collettività attraverso notizie e informazioni mediche dirette, ma anche mediante una comunicazione più implicita e di facile comprensione, basata su esperienze empiriche. È stato inoltre evidente come la popolazione sia talmente affamata di interazioni e certezze da prediligere contenuti in grado di accendere un dialogo o combattere l’ansia piuttosto che notizie provenienti da fonti autorevoli. Anzi, non è stato raro osservare la proliferazione di gruppi che hanno visto proprio nell’opposizione agli organi istituzionali e alle informazioni da essi veicolate il fulcro attorno al quale costruire la propria “percezione di appartenenza”.

 

Quali funzioni hanno giocato i social nella comunicazione sanitaria, considerato in particolare il diffondersi di fake news e gruppi di discussione con opinioni polarizzate?
Le fake news non sono un fenomeno nato con i social media, essendo sempre esistite, pur venendo amplificate da essi: ad esempio la morte di Napoleone per influenzare la Borsa nel 1814, il 'Great Moon Hoax'; del 1835, l'uomo di Piltdown del 1908, l'invasione aliena diffusa partendo da un adattamento della Guerra dei Mondi di H.G. Wells nel 1938. Ciò che cambia oggi è la velocità e la portata della diffusione, oltre alla credibilità delle informazioni condivise - pare ad esempio appurato come il fatto di essere follower di un altro utilizzatore o di un influencer abbassi le nostre consuete difese intellettive davanti a nuove fonti di informazione. A ciò va aggiunto come i canali digitali siano oggi un vero e proprio mercato di notizie e opinioni in cui gli inserzionisti - anche involontariamente - premiano i content provider maggiormente in grado di attirare audience, contribuendo al diffondersi di informazioni plausibili ma non verificate. Una dinamica scottante, specialmente quando l'informazione condivisa può impattare direttamente sulla vita delle persone. Un aspetto al centro dell’attenzione in questo momento per via delle questioni relative all’odio razziale che hanno, addirittura, portato alcuni grandi investitori di Facebook a sospendere i propri investimenti per dare un segnale inequivocabile sulla necessità trovare concretamente metodi di eliminazione di contenutiinappropriati dai social. Per combattere questa 'viralizzazione della comunicazione', noi in GVM abbiamo scelto tre item di comunicazione sui quali puntare. Prediligere una “slow communication”, prendendoci il tempo necessario, al di fuori delle pressioni dei media per fornire informazioni certe e rassicuranti, cercando di guidare chi ci contattava nel fare scelte consapevoli. Da sempre, ma in questo caso maggiormente, abbiamo scelto una comunicazione più sobria, meno artificiale e rielaborata rispetto alle prassi odierne, senza puntare a sovraesposizioni mediatiche di qualche giorno per poi essere dimenticati poco dopo. Ultimo ma non meno importante, continuare come sempre ad essere trasparenti, divulgando notizie corrette e utili anche quando apparentemente controproducenti a livello aziendale, nella consapevolezza che solo un cittadino a cui si mostra rispetto può convertire il proprio apprezzamento in fiducia e fidelizzazione di lungo periodo. Quest’ultimo può essere un percorso complesso, ma nel tempo compensa gli sforzi e le difficoltà incontrate.

 

Se i social sono stati così popolari durante la pandemia, qual è stato invece il ruolo di modalità di comunicazione più tradizionali?
Sebbene la portata della comunicazione digitale si sia palesata con forza durante il periodo di quarantena, è importante ricordare sempre che una percentuale significativa della popolazione italiana non utilizza Internet come fonte di informazione (come molti anziani), o non sia nelle condizioni di poterlo fare a causa del digital-divide. In tale contesto le modalità di comunicazione più tradizionali, da un lato hanno consentito proprio di raggiungere questa porzione di cittadini; dall’altro sono state percepite come fonti più autorevoli rispetto alle controparti digitali.
Sui media tradizionali i messaggi veicolati dalle realtà sanitarie sono stati informativi piuttosto che legati al marketing, evitando così una comunicazione commerciale che sicuramente non sarebbe stata del tutto apprezzata considerate le complessità del momento. Non sono, tuttavia, mancate testate cartacee che si sono ispirate all’infodemia digitale, con una sovraesposizione di news poco utili nel lungo periodo che non hanno contribuito alla crescita sociale, essendo finalizzate a creare unicamente scalpore. Per non alimentare tale fenomeno e per ostacolare la discordanza di messaggi, GVM organizzata come prassi con una “diffusione centralizzata dell’informazione”, ha fornito ai media e di conseguenza ai cittadini un interlocutore unico - la sede del Gruppo - che era ed è sempre in contatto con le strutture nelle 10 Regioni. Abbiamo poi intrapreso un dialogo accurato e trasparente, evitando sensazionalismi e utilizzando un tono sempre pacato e razionale, anche in caso di attacchi mediatici.

 

D’ora in poi come cambierà la comunicazione sanitaria? È probabile un lento ritorno alle prassi e agli strumenti consolidati del passato o è già chiara la necessità di una qualche forma di evoluzione?
L’emergenza COVID lascerà diversi insegnamenti a chi saprà capitalizzare questa esperienza. Per la comunicazione del nostro settore sarebbe auspicabile un processo positivo di catarsi, per liberarsi dalle inefficienze, consolidando molte delle buone prassi emerse - in vari settori - durante il lockdown e non solo.
Naturalmente sarebbe importante che ci fosse una riflessione in termini sociologici e di costume, oltre che professionali, sulla manifestata volontà di “vendere notizie” solo se negative e sensazionalistiche.
In particolare si dovrà puntare su una comunicazione percepita sempre più come istituzionale, autorevole e utile, per abbattere la “certezza dell’incertezza”che ultimamente pare dominare a livello sociale. Sarebbe opportuno fare leva sui principi della memetica per creare contenuti sempre più interessanti e concreti, ma senza mai tradire la fiducia del paziente, senza la quale il settore avrebbe una manifestata difficoltà.
Sarebbe opportuno puntare su una maggiore omogeneizzazione dei messaggi veicolati sia offline che online, contrastando la dissonanza cognitiva provocata da informazioni discordanti o non coordinate tra differenti media.
Per arginare sempre di più le fake news specialmente diffuse tramite social, apparirebbe inoltre necessario andare oltre il semplice supporto esplicativo, fornendo più strumenti ai cittadini per renderli maggiormente autonomi nel valutare meglio le notizie, senza nascondersi dietro alla bassa alfabetizzazione informatica della popolazione o alla speranza che le piattaforme social migliorino (lo vogliono?) i propri algoritmi di censura, troppo legati “solo” alla necessità di guadagno.
Sarebbe infine funzionale allo scopo che il mondo medico cambi la sua visione nei confronti della comunicazione, la cui importanza è compresa a pieno ancora da pochi, mettendo in atto percorsi di crescita che coinvolgano insieme medici, strutture e professionisti della comunicazione, nella consapevolezza che non necessariamente ciò che è interessante o comprensibile per il personale medico lo è anche per il paziente e viceversa, compresi i media stessi.