Interviste
Proto (McCann): innovazione + investimenti = più qualità
Il Vice Presidente e Direttore Generale McCann Worldgroup Italia e Presidente Assap Servizi traccia, con un metro di confronto internazionale, il quadro della comunicazione italiana, toccandone tutti gli aspetti: gare, new media, trend emergenti nelle agenzie. E fa il punto sul Gruppo, che, nel 2006, ha un obiettivo di crescita del 10%.
Trascorsa la stagione estiva senza gravi scossoni nel delicato equilibrio di forze tra i colossi dell'adv, con l'arrivo di settembre aziende e agenzie riaprono i battenti e anche il macrocosmo della comunicazione si rimette in moto, con tutto quello che, tra pregi e difetti, oneri ed onori, luci ed ombre, si è lasciato alle spalle nel mese di agosto. Ecco dunque un 'promemoria' di fine estate, affidato alle riflessioni di Willi Proto (nella foto), Vice Presidente e Direttore Generale McCann Worldgroup Italia e Presidente Assap Servizi per ricordare successi e scivoloni nel mondo dell'advertising italiano. Un 'punto della situazione' stilato con un metro di confronto internazionale, che tiene conto dei fatti più recenti che nei primi mesi della stagione estiva hanno interessato il mondo vivace delle agenzie in Italia, delle Associazioni di Settore e delle imprese di comunicazione. Dalla relazione di Malgara all'Assemblea Upa, all'operato di AssoComunicazione; dal Festival di Cannes ai trend e ai new media emergenti, un'occhiata a volo radente per capire dove sta andando la comunicazione Made in Italy e quali sono le virate necessarie per raggiungere mete più ambiziose nel cammino verso la conquista delle alte dignità che l'advertising tradizionale e non si è guadagnato oltreconfine.
Come giudica il panorama della comunicazione italiana, dall'adv al btl ai new media, confrontandolo con quello internazionale?
In poche parole, siamo indietro. L'area allargata in Italia è depressa. Fa eccezione il settore delle promozioni, dove c'è una tradizione abbastanza consolidata. Mentre il direct marketing, il web, la corporate identity, il punto vendita, le fiere, le manifestazioni, ovvero i media che possono portare a diretto contatto con il target e che consentono di misurare i risultati in modo più concreto rispetto agli altri mezzi, sono proprio ora in fase di sviluppo, ma ancora non hanno preso il volo.
A quali fattori si deve questo ritardo?
La causa principale è l'assenza di un'utenza piccola, media e grande in queste aree. Quando in Italia si dice che c'è troppa pubblicità televisiva, in realtà si commette uno sbaglio, perchè l'advertising sul piccolo schermo è diffuso in Italia tanto quanto lo è in Inghilterra, Francia, Germania e Spagna. Se osserviamo le pressioni televisive e le frequenze degli spot negli altri Paesi, infatti, notiamo che sono le stesse di quelle italiane. Semplicemente, la pubblicità televisiva ci sembra troppa perchè manca tutto il resto.
Può darci qualche dato a riguardo?
Come ha sottolineato il presidente Giulio Malgara durante il suo intervento all'Assemblea Upa, si stima che in Italia siano circa 15 mila le aziende che ricorrono alla comunicazione come strumento per commercializzare i propri beni e servizi. Questo dato appare subito esiguo se confrontato con la Francia, in cui le aziende che fanno comunicazione sono circa 28.000, con la Germania, dove sono circa 35 mila (quasi il doppio di quelle italiane), con UK, dove sono 42 mila e con le 20 mila della Spagna, un Paese addirittura più piccolo dell'Italia. E' chiaro che da una maggiore quantità si diffonde anche una migliore qualità.
Cosa c'è, a suo parere, dietro a questo scenario poco confortante?
E' chiaro che a fronte di una maggiore richiesta di servizi di comunicazione e di marketing da parte delle aziende, devono esistere più strutture professionali in grado di offrire consulenza e attività di comunicazione in senso sempre più strategico. In Italia ce ne sono poche e spesso sono anche sottopagate. E' una tradizione storica: è meglio retribuita la pubblicità televisiva rispetto a un programma efficace di Crm o a una buona promozione o a un innovativo sito web. Ancora non si capisce perchè sia meglio riconosciuta in termini economici un tipo di comunicazione con più lustrini rispetto ad altre forme meno appariscenti ma altrettanto efficaci in termini di diffusione presso il target di riferimento. E' uno dei misteri del mercato italiano. Ma c'è dell'altro.
Non ha notato, negli ultimi anni, qualche segnale di miglioramento?
Direi di sì. Soprattutto nei criteri di scelta e di valutazione economica dei mezzi sui cui pianificare. Ad esempio mi sembra che le aziende stiano gradualmente maturando la consapevolezza che richiedere a un'agenzia un piano media concentrato sul web non significhi semplicemente realizzare un sito internet. Dietro a una comunicazione sul web c'è un servizio commerciale e strategico ben strutturato che solo una buona agenzia, fatta anche di creativi di talento può offire. Invece, molto spesso, un servizio di questo livello viene mal retribuito a causa delle scarse risorse da investire nella sperimentazione e in una comunicazione di qualità. Comunicazione significa anche ricerca e sviluppo, un settore, questo, che vede l'Italia agli ultimi posti rispetto agli altri Paesi europei. Bisogna sperimentare di più e investire di più per raccogliere dei risultati.
Poche risorse significano dunque poca creatività di qualità?
Certamente. Una conseguenza degli scarsi investimenti in comunicazione da parte delle aziende è lo scarso livello della pubblicità italiana che ogni anno emerge a Cannes soprattutto se confrontato con l'eccellenza internazionale. Il Festival di Cannes rappresenta la punta di un iceberg, una grande vetrina dove ogni Paese cerca di mettere in mostra il meglio della propria creatività. Il fatto è che il nostro meglio non raggiunge mai il livello del meglio degli altri Paesi. Se ci fossero maggiori investimenti, lavorerebbero meglio le agenzie e avrebbero la possibilità di far leva su professionisti di talento, e anche la qualità della comunicazione ne trarrebbe giovamento.
In poche parole, perchè la pubblicità italiana non vince a Cannes?
Perchè è il risultato di una metodologia di lavoro non mirata all'eccellenza. Ogni anno, gli altri Paesi come ad esempio l'Inghilterra iscrivono a Cannes molte più campagne rispetto a noi, e di queste un buon numero viene premiato. L'Italia ne iscrive poche, e di queste, qualche volta, qualcuna viene premiata. E' dalla quantità e non solo dalla qualità dei lavori eccellenti provenienti dagli altri Paesi che ci si accorge come l'Italia sia ancora qualche passo indietro in termini di creatività e di metodologia di lavoro. Forse non si considera esattamente il valore della creatività.
Ovvero?
La creatività è una delle ricchezze fondamentali del nostro Paese e le buone idee hanno bisogno di buoni investimenti per poter essere trasformate in campagne pubblicitarie di successo. La ricerca dell'eccellenza creativa, inoltre, è un laboratorio in cui gli operatori – agenzie e clienti - devono lavorare a stretto contatto per un arco di tempo relativamente ampio e di certo la tendenza di alcuni marchi a rinnovare l'agenzia di anno in anno non favorisce la nascita di strategie e di campagne efficaci e distintive.
Un argomento, questo, che porta dritti alla questione delle gare...
Le gare "migliori" si limitano ad offrire alle agenzie un briefing su cui lavorare, ma non consentono di elaborare nei tempi necessari una strategia di lavoro in team con l'azienda per trovare i mezzi e le idee più adeguate al brand. Spesso, per ottenere un piano di comunicazione che funzioni, mirato all'eccellenza, serve tempo, le campagne si evolvono, aggiustano il tiro e alla fine si giunge alla soluzione ottimale. Le gare certamente non sono la metodologia migliore per raggiungere l'eccellenza creativa e spesso determinano uno spreco di risorse e di energie preziose da parte delle aziende e delle agenzie.
Cosa proporrebbe come alternativa alle gare?
Meglio fare una selezione delle agenzie sulla base delle loro credenziali, interpellando solo quelle che, sulla base dei lavori realizzati, appaiono le più adatte alle esigenze del marchio. Si sceglie la migliore e con essa di lavora in modo integrato alla definizione di strategie e iniziative da sviluppare nel tempo. Questo metodo all'estero è già diffuso da anni e i risultati già si conoscono.
Crede che le associazioni possano fare qualcosa su questo fronte?
Assocomunicazione, ad esempio, già da tempo si sta occupando di trovare una linea comune tra le agenzie per affrontare la questione della remunerazione e delle gare. Molto è stato fatto anche per riunire in Associazione tutti i settori dell'area allargata, che ora hanno pari dignità e pari rappresentanza nel Consiglio di AssoComunicazione. Upa, invece, mi sembra ancora un po' tradizionale nel suo approccio. Il fatto, ad esempio, che nell'assemblea annuale si parli anche delle aree allargate, non mi sembra ancora sufficiente per denotare la volontà di far emergere questi strumenti non alternativi, ma validi tanto quanto una comunicazione tradizionale. Da un'associazione articolata come Upa mi aspetterei una pluralità di voci più evidente, soprattutto nelle questioni più importanti.
Quali sono i prossimi passi da fare per dare una spinta all'area allargata?
E' semplice: più innovazione e più investimenti. Anche le grandi aziende che hanno a disposizione grossi budget da destinare alla pubblicità tradizionale dovrebbero dedicare quote significative dei loro investimenti anche alle aree emergenti. Le piccole aziende, invece, dovrebbero riflettere se sia meglio investire le proprie risorse limitate in una piccola campagna sui media tradizionali o se non sia più efficace, ad esempio, un piano di comunicazione diretto sul web.
La diffusione dei media non tradizionali corre parallela ad una strutturazione delle agenzie in senso sempre più integrato. Pensa che questo fenomeno rifletta un trend ben preciso del mercato italiano?
In effetti sì. Se esistono queste imprese, significa che c'è anche un mercato di riferimento, che, tra l'altro, negli ultimi anni risulta essere particolarmente vivace. Lo dimostra la crescita a doppia cifra delle società che si occupano di eventi, direct marketing, promozioni, sponsorizzazioni e web, mentre, dall'altra parte, l'adv rallenta. Ma, rispetto al contesto internazionale si tratta di uno sviluppo ancora rallentato.
Le agenzie tendono a strutturarsi in senso sempre più integrato. Pensa che questo sia il primo passo per riappropriarsi del loro ruolo di consulenti strategiche?
Credo di sì, soprattutto nel caso in cui un cliente chieda allo stesso gruppo di occuparsi in termini globali della sua strategia di comunicazione, dall'adv al media. Lo stereotipo più frequente, tuttavia, vede ancora il cliente addossarsi il ruolo di stratega, mentre assegna all'agenzia un compito soprattutto creativo.
Come vanno le società di btl all'interno di McCann Worldgroup?
Noi in Italia, come Worldgroup, registriamo nell'area allargata un giro d'affari pari a circa il 25%, arrivando qualche volta anche al 30% del totale, e con questi dati siamo decisamente un buon esempio di gruppo in cui tutte le agenzie lavorano in modo integrato, coprendo tutte le aree di comunicazione. Crescono anche i clienti che chiedono una strategia di comunicazione globale, che possa essere declinata sui vari media. Ma si tratta ancora di dati e cifre che, e confrontati ad esempio con quelli americani, in cui il btl rappresenta il 50% del fatturato, mostrano ancora larghi margini di crescita.
Anche in McCann Worldgroup è in corso l'integrazione delle competenze?
Il cliente lo percepisce e chiede una strategia integrata? Certamente. Sono sempre di più i clienti che si riferiscono a più società del nostro Gruppo in base alla loro diversa specializzazione, chiedendo un piano di comunicazione integrato. Prima invece era un atteggiamento più occasionale. Si tratta soprattutto di grandi multinazionali straniere, mentre le imprese italiane tendono ancora a mantenere il coordinamento strategico e ad appaltare i servizi di comunicazione a società esterne.
Può farci qualche nome?
Ad esempio Unilever, L'Oreal, Nestlè, Ups, Mastercard, Microsoft, mentre tra gli italiani c'è Mulino Bianco . Si affidano alle nostre società chiedendo il meglio in base alle loro competenze, sapendo che lavoreranno in modo sinergico.
Tra le nuove forme di comunicazione che si stanno affermando, gli eventi sono al primo posto in termini di crescita. Cosa ne pensa?
L'evento ha, tra le sue migliori qualità, quella di poter 'toccare con mano' il proprio successo, è possibile cioè verificarne immediatamente l'impatto sul pubblico in base al coinvolgimento e alla partecipazione della gente. Cornetto Free Music, ad esempio, è diventato ormai un'icona della comunicazione sul territorio, capace di attrarre ogni anno nella sua orbita milioni di persone, portando il brand a diretto contatto con il target di riferimento all'interno dei luoghi preferiti di aggregazione, in una cornice musicale di grande richiamo.
E il web?
Internet, invece, richiede un più assiduo e articolato lavoro di verifica della sua efficacia, ma è comunque un grande strumento per contattare il target facendo leva soprattutto sull'interattività tra brand e utenti. Certamente è una forma di comunicazione meno glamour di un'evento, ma altrettanto 'direct' in termini di impatto sul pubblico.
A che punto è la diffusione dei concept store di marca?
Siamo a metà cottura. Per alcuni brand rappresenta una strategia interessante per diffondere il brand sul territorio richiamando il target in un luogo deputato, ma la sua efficacia in termini i ritorno economico dipende dal mercato. Negli Usa, ad esempio, da anni si sono sviluppati una cultura e un'abitudine a collaborare con l'azienda, che hanno trasformato il punto vendita in un luogo pieno di stimoli.
Che ingrediente manca per far diventare il punto vendita un punto di forza anche in Italia?
Una forza politica ed economica che sia fortemente determinata a un'investimento in questa direzione. Fare comunicazione nei punti vendita significa coprire tanti settori, quindi il costo unitario di ciascuna operazione non può essere elevato, altrimenti l'investimento globale sale alle stelle impedendo all'azienda un'adeguata copertura territoriale. E poi serve un aiuto in questa direzione anche da parte della distribuzione organizzata.
Ora uno sguardo a McCann Worldgroup. Come va il Gruppo?
Uno dei punti di forza di McCann Worldgroup e una delle soddisfazioni maggiori sono i clienti storici, che ogni anno, con un programma di comunicazione serio, tendono a incrementare i propri investimenti perché sono soddisfatti delle nostre strategie e dei nostri servizi, consapevoli che una strategia articolata nel tempo porta a un risultato concreto e di grande soddisfazione su tutti i fronti.
Qualche nome?
Unilever, Nestlè, Microsoft, Opel, Mulino Bianco, L'Oreal.
Dunque questo sarà un anno positivo per il Gruppo
Direi di sì. Il primo semestre si è chiuso con un +7-8% per l'adv, e con una crescita a doppia cifra sul fronte delle altre discipline, che ci consente un incremento globale del 10-12%. Un segno positivo dovuto soprattutto all'incremento degli investimenti da parte dei nostri clienti. La nostra fonte primaria di new business è la marca che cresce e, in alcuni casi, l'affidamento di nuovi brand di uno stesso marchio. E poi l'arrivo, ogni anno, di nuovi clienti.
Quale società del Gruppo è cresciuta di più quest'anno?
Decisamente Momentum, la nostra società di eventi, al cui timone ci sono l'ad Simone de Martini, responsabile del business clenti, e l'altro ad Luciano Milanese Responsabile delle Operations. L'agenzia nei primi sei mesi ha messo a segno un +25%. Quel che più la contraddistingue è la cultura dell'evento fortemente integrato nella strategia di comunicazione. Anni fa, ad esempio, si organizzavano per lo più grandi convention rivolte alla direzione vendita. Oggi, invece, l'evento è soprattutto una comunicazione di grande richiamo sul territorio che fa capo a un concept forte che l'agenzia, declina contemporaneamente su più media.
Parliamo anche delle altre componenti. Può delinearci l'attuale struttura di McCann Worldgroup in Italia?
Ormai da due anni a questa parte ci siamo consolidati. Il Gruppo è presieduto da Giuseppe Usuelli, AD e Chairman EMEA, Milka Pogliani, Presidente e Direttore Creativo Esecutivo e il sottoscritto come Vice Presidente e Direttore Generale. A queste responsabilità si sono però affiancate risorse strategiche centralizzate quali la direzione marketing affidata a Michael Arpini e la funzione di Growth Officer a Simone De Martini. Le società di McCann Worldgroup inItalia coprono le diverse discipline della comunicazione e collaborano e condividono capacità ed esperienza in modo da offrire il miglior servizio integrato di consulenza con l'obiettivo di migliorare le performance dei clienti. Ogni società mantiene però la propria identità.
Cominciamo dalla pubblicità e dal media
McCann Erickson Italia è l'agenzia più grande. E' presieduta da Anna Innamorati Presidente; l'AD è Giuseppe Cogliolo; il Direttore Generale è Manuela Morpurgo. Il media invece è gestito da Universal McCann, che è guidata da Giorgio Rossi Presidente ed AD, e dal Direttore Generale Pinuccia Dagradi.
Chi fa la parte da leone delle attività della cosiddetta 'area allargata'?
Innanzitutto la già citata Momentum, che cura eventi, promozioni e sponsorizzazioni. Seguono MRM Partners, che si occupa di CRM e online marketing communication guidata dal Presidente ed AD Michele Sternai. Molto interessante anche l'attività di RGB McCann Healthcare che, con la guida di Tullia Redaelli Spreafico - AD e General Manager - , si occupa della comunicazione healthcare, un settore che anche in Italia dovrebbe avere uno sviluppo parallelo a quello dei mercati più maturi come Inghilterra, Usa, Germania. Completano il quadro Weber Shandwick che gestisce le relazioni pubbliche con la direzione del Presidente Furio Garbagnati e Linda Bulgheroni, Amministratore Delegato e FutureBrand Giò Rossi Associati (AD Susanna Bellandi) dedicata a corporate identity e consumer branding.
Quali obiettivi avete?
L'ambizione è di crescere a due cifre come gruppo globale, raggiungendo quest'anno almeno +10%. Riteniamo infatti di avere le risorse necessarie per giustificare questa performance, come una struttura di società specializzate in tutte le discipline che oggi, più che mai, sono diventate le principali fonti di business.
Qual è, per concludere, la ricetta per consentire alla comunicazione italiana di fare 'il salto di qualità' avvicinandosi ai risultati internazionali?
Oltre a quanto detto sopra, aggiungerei che sarebbe ora che le agenzie, invece di sfidarsi instaurando meccanismi di competitività che non portano da nessuna parte, facessero squadra in modo intelligente. Soprattutto perchè oggi i nostri concorrenti non sono all'interno del Paese, ma all'estero, dove stanno crescendo dei giganti.
Elena Colombo