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NC. Publicis, non c'è creatività senza strategia

Alla base di ogni progetto vi deve esser un concetto solido e rilevante, capace di generare intrattenimento e coinvolgimento. Lo afferma Bruno Bertelli (Publicis Worldwide), che in questa intervista racconta quale sia per lui il significato di creatività e cosa ha pensato quando gli hanno proposto il ruolo di direttore creativo globale.

Da pubblicità in senso stretto a intrattenimento più ampio, strettamente correlato alla contemporaneità: è questa l’evoluzione della creatività negli ultimi anni, il cui must oggi è la rilevanza. Lo spiega in questa intervista sull'ultimo numero di NC - Nuova Comunicazione, Bruno Bertelli (nella foto), ceo & executive creative director Publicis Italia e global chief creative officer Publicis Worldwide.

Come a suo avviso è cambiato negli ultimi anni il ruolo della creatività nella comunicazione? E che cos’è oggi per Publicis la creatività?

Certamente è cambiato molto. L’evoluzione vera e propria è iniziata nei primi anni 2000, quando la pubblicità è diventata intrattenimento. Lo sforzo è diventato per le agenzie di pubblicità quello di rendere notiziabile l’iniziativa di comunicazione, diventando quasi delle agenzie di Rp. Con i social media si è passati a un ulteriore livello in cui il metro di giudizio è la rilevanza. Ma dato che una cosa è interessante oggi, ma domani non lo è più, la velocità e la prossimità all’evento a cui ci si riferisce sono fondamentali. Il risultato è che oggi la comunicazione è molto più legata del passato alla contemporaneità, molto più condizionata da quello che succede nel mondo in cui viviamo. In un tale quadro, per Publicis è di fondamentale importanza la parte strategica: proprio perché non si possono inseguire freneticamente i trend che nascono di continuo, è importante avere un approccio molto solido nella definizione della strategia, per poi passare a utilizzare gli strumenti del momento in favore del brand.

Lei è da qualche mese direttore creativo globale di Publicis, una delle principali agenzie su scala internazionale. Quali sono le maggiori sfide legate a questo ruolo? Come mette in pratica il suo concetto di creatività?

La nomina è arrivata inaspettata: quando mi hanno chiamato a Parigi mi è venuto un coccolone! Quello di direttore creativo globale è un lavoro molto stimolante di coordinamento di tutto il network e di contatto con i grandi brand clienti. Molto importante è motivare i vari team creativi nei diversi Paesi, trasmettendo loro la filosofia dell’azienda per cui lavorano. In questa nuova funzione mi faccio portavoce dell’idea di una creatività basata su un impianto strategico molto solido.

Che cosa un creativo italiano può dare a livello globale in un ruolo del genere? E che cosa invece riceve dagli altri Paesi?

In quanto italiano non ho la pomposità di un americano o di un inglese, e sono più concentrato su problematiche concrete. È indubbio che l’essere italiano crea molta simpatia. Ma rimane il fatto che nel mondo pubblicitario quello che conta di più è ciò che sei riuscito a fare nel settore, indipendentemente da dove vieni. Quello che noto con molto piacere è che nelle sedi estere ci sono moltissimi creativi italiani di talento.

L’internazionalità è ormai una cifra di Publicis Italia, che è hub globale per Heineken. Ce ne può parlare?

Avere al proprio interno figure professionali provenienti da tanti Paesi diversi è sicuramente un grosso stimolo dal punto di vista creativo. Culturalmente le persone hanno modi di pensare e arrivare alle idee molto diversi: ad esempio, i sudamericani hanno un approccio più naif e spontaneo, mentre gli anglosassoni sono molto più cerebrali. 

L’integrazione dei mezzi è ormai data per assodata da tutto il mercato: quali sono oggi le maggiori criticità nel metterla in pratica, mantenendo gli obiettivi specifici dei clienti?

Questo è un tema ormai superato, di cui non si dovrebbe neanche più parlare, tanto è assodato. Ormai oggi si scelgono i media e si cerca di farli ‘esplodere’, puntando a ottenere il massimo con quello che si fa. Il fronte su cui si sta imparando tanto è quello del digital, che consente di studiare in maniera molto approfondita il comportamento dei consumatori. 

Come integrare i big data nella creatività?

Penso che sia un tema di cui tutti parlano, ma che non è mai stato davvero affrontato: solo nel direct marketing si stanno cominciando a utilizzare i dati, ma in questo ambito la pubblicità non è ancora entrata. E poi trovo che il bello della creatività sia proprio il fatto di essere un po’ randomica, non calcolata per filo e per segno: se fosse tutto preciso nel minimo dettaglio si perderebbe la sua anima, che la rende naturalmente virale.

Ci racconta una case history a cui è particolarmente affezionato?

Vorrei citare il progetto Renault Business Booster, rivolto alle piccole aziende a gestione familiare, in cui convivono generazioni diverse. Con questa iniziativa abbiamo fatto leva sulle divergenze fra padri e figliche spesso mettono in crisi queste imprese, proponendo, attraverso un tour di 15 tappe, i veicoli commerciali Renault come soluzione per potenziare il business. Il progetto, nato per il mercato italiano ma poi esteso a tutta Europa, si è aggiudicato un bronzo nella categoria ‘Media’ al Festival di Cannes 2016. Nel dettaglio, l’iniziativa ha fatto leva su campagne tv, stampa, radio e display, e su un tour su tutto il territorio nazionale. Da segnalare anche una piattaforma online, sviluppata in collaborazione con il team Google, che comprende un’app progettata ad hoc, un template Google Sites dedicato alle aziende e video interattivi. Il concept creativo del progetto è diventato anche un format tv ‘Sos Family Business’, sviluppato con la unit Branded Entertainment di Publitalia, quattro puntate che sono andate on air su Italia 2 e Mediaset Premium in prima serata.