Ricerche

Fondazione Barilla al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino: il cibo è una delle parole più ricercate sul web, ma pochi si interessano al tema della sostenibilità

La Fondazione è presente, con i suoi esperti e partner, in due diversi momenti alla quarta edizione della kermesse in corso, nel capoluogo piemontese, fino al 23 febbraio, per parlare del cibo a 360 gradi, al di là del gusto. Focus sull’adozione di diete sostenibili per ridurre le emissioni di CO2 e aumentare la consapevolezza dei cittadini europei.

Gli italiani amano il cibo (e non solo a tavola). Amano parlarne, informarsi e fotografarlo. Il 51% dei nostri connazionali discute di cibo tutti i giorni - percentuale che sale al 58% fra i giovani tra i 18 e i 34 anni (Ricerca Squadrati / “Italiani che parlano di cibo: un dibattito infinito” ) - e anche quando fa una ricerca su Google o altri motori sono proprio “Cibo” e “Food” (Google Trends)  alcune delle parole più ricercate.

Il cibo è anche al centro delle nostre foto: l’hashtag #food raccoglie oltre 321 milioni di post a livello mondiale su Instagram. Dati importanti se si pensa che 1 italiano su 2 si informa proprio sul web - il 55% della popolazione usa motori di ricerca e social media per farlo (Agcom, Rapporto sul consumo di informazione) -. Eppure, soprattutto online, si parla di cibo solo – o quasi - in relazione al gusto, mentre l’appeal scende quando si tratta di parlare del modo in cui lo produciamo. Perché se parliamo di cibo non si può trascurare l’impatto ambientale che genera la sua produzione. Nonostante questo, l’analisi delle ricerche online degli italiani mostra come - tra le keyword associate a “sostenibilità” – l’aggettivo “alimentare” sia tra i meno ricercati. Meno, ad esempio, della “sostenibilità economica”.

Proprio per stimolare il dibattito sulla sostenibilità, la Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) è presente, con i suoi esperti e partner, in due diversi momenti alla quarta edizione del Festival del Giornalismo Alimentare di Torino in corso fino al 23 febbraio, per sottolineare come mai in questo momento sia necessario ripensare il nostro modo di produrre, distribuire e consumare il cibo e anche per incoraggiare i media a raccontare il cibo al di là del semplice gusto e a mettere in evidenza i paradossi del nostro sistema alimentare proponendo soluzioni concrete per superarli.

MANGIARE BENE E AIUTARE IL PIANETA? SI PUÒ

Trasporti, riscaldamento degli edifici e utilizzo di energia elettrica hanno avuto un grande impatto sull’ambiente, contribuendo ai cambiamenti climatici che oggi vediamo. Eppure, l’impatto maggiore sull’ambiente deriva da quello che mettiamo nel piatto: la produzione di cibo causa il 24% delle emissioni di gas serra globali, più di industria (21%) e trasporti (14%). Ecco perché parlare di cibo in chiave sostenibilità diventa fondamentale e se ne discuterà oggi, venerdì 22 febbraio, dalle 17:10 alle 18:00, nella Sala Cavour, nel corso del panel “La sostenibilità inizia da come mangiamo e come beviamo”. Durante l’appuntamento Alessandro Galli (Global footprint network) illustrerà perché il nostro stile di vita è sbilanciato e la nostra impronta ecologica troppo alta.

L’assunto è che mangiamo troppo, usando troppe risorse della Terra e anticipando così ogni anno l’Overshoot Day, giorno a partire dal quale esauriamo le risorse disponibili della Terra.  Una giornata che, in poco meno di 50 anni, è passata dal ricorrere il 29 dicembre, nel 1970, al cadere il 1° agosto nel 2018. In pratica sono stati “persi” circa 30 giorni di autosufficienza del Pianeta ogni 10 anni ed oggi, per sostentarci, usiamo l’equivalente di 1,7 pianeti. Invertire questo trend è possibile: se sostituissimo il nostro consumo di carne con alimenti di origine vegetale e se riducessimo i nostri sprechi alimentari del 50%, potremmo far slittare la data di 38 giorni. E c’è di più, riducendo del 50% la componente di carbonio nella nostra impronta ecologica, a livello mondiale, sposteremmo la data in avanti di ben 93 giorni.

Nello stesso panel, Simona Castaldi, professoressa dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e Research Manager del progetto europeo Su-Eatable Life racconterà questa iniziativa finanziata dalla Commissione UE, il cui obiettivo è quello di dimostrare che è possibile ridurre le emissioni di CO₂ e l’impronta idrica relativa al consumo di cibo, per cercare di aumentare la consapevolezza e il coinvolgimento dei cittadini sullo stretto legame tra cibo, salute dell’uomo e quella del Pianeta.

La Fondazione Barilla, in collaborazione con GreenApes, Wageninen University e la Sustainable Restaurant Association. Su-Eatable Life, punta a dimostrare, attraverso una serie di esperimenti svolti presso università e mense aziendali, tramite l’implementazione di un sistema informativo digitale facile e di pronto utilizzo, che è possibile coinvolgere i cittadini dell’UE a modificare le proprie diete, per apportare vantaggi all’ambiente e alla nostra salute. Nella prima fase, Su-Eatable life coinvolgerà 5.000 cittadini UE in mense universitarie e mense aziendali, e attraverso piatti “sostenibili” aiuterà a risparmiare circa 5.300 tonnellate di CO2 e 2 milioni di metri cubi di acqua.

IL CIBO, CAUSA DI MIGRAZIONI CHE PUO’ DIVENTARE UN DRIVER DI INCLUSIONE.

Un famoso detto arabo recita: “Non conosci realmente qualcuno finché non ci mangi insieme”. Il cibo, infatti, rappresenta storicamente un linguaggio universale, che riesce a mettere intorno allo stesso tavolo persone di culture profondamente diverse. Sarà l’inclusione attraverso il cibo uno degli argomenti principale del panel “Cibo e migrazioni. I migranti scappano per il cibo e con il cibo possono avvicinarsi alle nuove culture che li accolgono”, venerdì 22 febbraio, dalle 16:10 alle 17:00, nella Sala Giolitti. Tra i partecipanti al dibattito, Lucio Caracciolo (Presidente Macrogeo) che illustrerà anche la correlazione esistente tra cambiamenti climatici e flussi migratori.

Nel mondo, infatti, oltre 257 milioni di persone si spostano ogni anno, all’interno della propria nazione o al di fuori e a guidare le migrazioni sono soprattutto motivazioni legate all’insicurezza alimentare (ogni punto percentuale di aumento dell’insicurezza alimentare porta l’1,9% della popolazione a spostarsi, mentre lo 0,4% fugge per ogni anno aggiuntivo di guerra).

MG