Editoriale

Zara e il consumatore 'abbandonato' a se stesso. È davvero perfetta la ricetta del brand?

Rapporto qualità prezzo non sempre economicamente sostenibile e più di un'ombra circa l'utilizzo di sostanze chimiche cancerogene nei processi produttivi. Ma, soprattutto, un personale di vendita e un servizio ai minimi termini. Zinola parla di 'consumatore abbandonato'. Croce e delizia del 'modello Zara' nell'articolo dell'esperta.
zinola.jpgRiprendiamo e pubblichiamo in version integrale un articolo dell'esperta di consumi Anna Zinola (nella foto) circa l'efficacia e le criticità del cosiddetto 'modello Zara', la catena di fast fashion affermata a livello globale.

L'articolo è pubblicato su 'La Nuvola del Lavoro', blog de Il Corriere della Sera rivolto ai giovani e dedicato ai temi più dibattuti, dall'occupazione ai social media.

Zinola ci offre una riflessione su uno dei modelli di commercio e vendita più affermati degli ultimi tempi. Uno spunto di attualità che, in maniera più o meno trasversale, tocca tutti noi


Prezzi convenienti, offerta in continuo cambiamento, prodotti molto simili a quelli appena visti sulle passerelle delle griffe di moda. È questa la ricetta di Zara, il brand di fast fashion che fa capo al gruppo spagnolo Inditex. Una ricetta in apparenza perfetta, che sembrerebbe consentire tanto all’azienda quanto ai clienti di ottenere un vantaggio. Ma è davvero perfetta? 

Analizzando un po’ più a fondo il modello Zara, alcune criticità emergono. A cominciare dal servizio. Per contenere i costi, l’azienda riduce al minimo il personale di vendita, che, peraltro, si occupa prevalentemente della gestione della merce (riassortire le taglie, piegare i capi, sistemare i camerini e così via). Ciò significa che, nei fatti, il consumatore è 'abbandonato' a se stesso: quando non trova una taglia o vuole sapere se un certo capo è disponibile in un’altra versione di colore deve fare da sé. 

Lo stesso discorso vale quando si cercano informazioni sulla composizione o le modalità di manutenzione dei capi. In questi casi le uniche indicazioni sono quelle scritte sull’etichetta. Certo, se si compera una t-shirt a 9.95 il tema della manutenzione non è centrale, ma lo può diventare nel caso in cui si opti per un cappotto da 149 euro. 

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Vi è, poi, il tema del rapporto tra qualità e prezzo. Il prezzo è tendenzialmente basso, ma la durata lascia spesso a desiderare, tanto che molti capi sono acquistati in una logica usa e getta: lo metto qualche volta e poi lo butto. C’è da chiedersi se, in un momento di forte contenimento della spesa come quella attuale, un approccio di questo tipo sia ancora economicamente sostenibile per il consumatore. In altri termini, ha ancora senso oggi comperare 4 golfini da 19,99 che dureranno pochi mesi quando, con gli stessi 80 euro, si può acquistare un golf che presumibilmente si potrà indossare per un paio di anni? 

Infine vi è la questione dei processi produttivi, come ha denunciato Greenpeace con il rapporto Dirty Laudry e l’annessa campagna di boicottaggio. Secondo quanto rilevato dall’organizzazione ambientalista, durante la produzione Inditex utilizza alcune sostanze chimiche cancerogene. Sostanze che vengono rilasciate direttamente nell’ambiente limitrofo ai luoghi di produzione e, in piccole quantità, sono trattenute anche dagli abiti venduti nei negozi della catena. Il gruppo, che in realtà non è l’unico coinvolto nella campagna di Greenpeace, ha dichiarato che, entro il 2020, eliminerà le sostanze tossiche dall’intera filiera produttiva. Ma il 2020 non è esattamente dopodomani e, intanto, i punti vendita continuano a essere riforniti di merce.

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Anna Zinola - Profilo

Dal 1993 si occupa di consumi. Dal 2003 insegna Psicologia del Marketing all'Università di Pavia. Ha scritto alcuni libri sulle tendenze di consumo.