Sarah Fallani, founder e Ceo di The Fairplay
Inchieste

Inchiesta. The Fairplay: ottimo inizio di 2019 con un +25% di fatturato rispetto all’anno precedente. A far la differenza un approccio che valorizza le innovazioni tecnologiche e le contaminazioni, all’insegna del live, digital ed emotional engagement

Continua il viaggio di e20express alla scoperta delle novità, delle vision e dei risultati ottenuti dalle principali agenzie che operano nel settore degli eventi e della live communication. Da gennaio di quest’anno, The Fairplay si presenta ai clienti con il concept ‘Many solutions, One partner’, proponendo un team di lavoro e un insieme di competenze adatti a curare la strategia di comunicazione in modo completo. Tendenze: l'interazione vocale è la nuova interfaccia su cui si sta creando molto velocemente un ecosistema di business ampio e pervasivo.

Con questa inchiesta facciamo il punto sull’andamento del mercato degli eventi e della live communication nel più ampio contesto della comunicazione.

In particolare intendiamo informare i lettori di e20express in merito alle novità, alle iniziative e ai risultati ottenuti dalle principali agenzie che operano nel settore.

Oggi pubblichiamo l’intervista a Sarah Fallani (in foto), founder e Ceo di The Fairplay.

Alla luce delle trasformazioni che caratterizzano il settore e cogliendo lo stimolo che viene dalle dichiarazioni (e provocazioni) del guru del marketing Seth Godin (i social non servono ai brand, riscopriamo l'attenzione, puntiamo su live e brand experience), come stanno evolvendo le vostre specializzazioni?

“In Fairplay abbiamo iniziato a mettere in discussione alcuni modelli di business un anno fa, quando nell’ottica di un riposizionamento dell’agenzia abbiamo cercato di prevedere quali sarebbero stati i ragionamenti strategici nel marketing per gli anni successivi. Questo ragionamento - unito anche al nostro modo di intendere questo business e di elaborare i brief che ci arrivano - ha descritto il nostro modo di catalogare le attività di comunicazione che decliniamo oggi in Live, Digital ed Emotional Engagement.

In questo ragionamento forse eravamo sulla stessa linea di pensiero di Godin: l’esperienza sui social è qualcosa che molti hanno capito che raramente porta risultati, ma che non ha ancora trovato un’alternativa valida e a oggi nessuno vuole prendersi il rischio di non esserci.

Il problema semmai è aiutare le aziende a comprendere che certi investimenti funzionano se si hanno le risorse economiche per attivare la soglia di attenzione. In questo non c’è alcuna differenza tra il vecchio adv in tv: soltanto chi ha adeguati budget può rendere quell’investimento efficace.

Trasmettere uno spot una volta sola non sposterà di un punto i risultati di business. L’alta accessibilità degli investimenti social ha permesso a tantissimi di provarci - spesso disperdendo risorse economiche -, ma sono veramente in pochi ad aver capitalizzato e ad aver capito che solo una buona idea e una protratta e costante presenza portano risultati, questo al netto ovviamente di concept particolarmente disruptive che però poche aziende hanno il coraggio di portare avanti. Detto questo, non possiamo non notare che molte aziende continuano a valutare le proprie attività puramente in chiave numerica e questo sposta spesso la bilancia a favore degli investimenti digital”.

Come sta cambiando il rapporto con le aziende clienti? Si parla sempre più spesso di rapporto di partnership, ma quali sono gli elementi chiave di questa ‘nuova’ relazione?

“Tanti nuovi strumenti, alta velocità di evoluzione, molte opportunità, tanta frammentazione. Questo è il riassunto di ciò che abbiamo visto nel nostro settore negli ultimi anni. Questo ha portato a una polarizzazione delle agenzie e a una frammentazione dei player che ruotano intorno a un progetto di comunicazione e partecipano alla sua realizzazione.

Fairplay è un’agenzia di medie dimensioni con un panel di clienti costituito da aziende che vanno dalle  start up ai grandi gruppi, anche internazionali. È da questi ultimi che abbiamo intercettato la ricerca di una dimensione di business dell’agenzia tale da consentire un rapporto quasi sartoriale, ma il più possibile ampio, per rispondere a molte esigenze, avendo comunque un unico team di lavoro.

Da questa esperienza, da gennaio di quest’anno ci presentiamo ai clienti con il concept 'Many solutions, One partner', perché quello che proponiamo è un team di lavoro e un insieme di competenze adatti a prendere in carico la creazione di una completa strategia di comunicazione e seguirne tutta l’esecuzione. Ci assicuriamo che un fil rouge concettuale mantenga il focus sugli obiettivi di business qualunque sia l’attività in cui si declinano, questo anche quando queste attività escono dal perimetro delle soluzioni che possiamo fornire in-house. In questo siamo ‘partner’: non è più solo l’esecuzione del lavoro al centro del risultato, ma un concetto più alto, più sfumato, potente e delicato: il concept alla sua base”.

Parliamo dell’andamento dell’agenzia, come è iniziato il 2019? Quali previsioni di fatturato avete sviluppato per la chiusura dell’anno in corso?

“Abbiamo iniziato il 2019 con un +25% di fatturato sull’anno precedente, realizzato in un periodo in cui abbiamo notato meno coraggio ad affrontare grandi investimenti in comunicazione, questo a favore di progetti più cautelativi.

Fin dall’inizio dell’avventura di Fairplay ­- che quest’anno festeggia il suo settimo anno - abbiamo scelto di non essere verticali su specifici settori, perché vediamo che proprio dalla contaminazione delle idee spesso si riesce a portare innovazione, in un ambito in cui l’effetto 'wow' e la novità sono richiesti praticamente in ogni brief.

I nostri clienti spaziano dalla moda alle assicurazioni, dai brand di sport all’orologeria, dal B2B al B2C. Per esempio, provare a essere disruptive e adottare un engagement pensato per il B2C a un settore corporate ci ha portato risultati e soddisfazione dei clienti.

La conseguenza di questo approccio forse ci ha aiutati a rimanere al riparo da alcune turbolenze ma, come detto prima, abbiamo un business model abbastanza dinamico in alcune sue componenti, perché le aziende che nascono e prosperano facendo un’unica cosa non sono destinate a sopravvivere ancora a lungo”.

L’utilizzo di nuove tecnologie è sempre più importante negli eventi. Quali innovazioni avete introdotto o avete intenzione di introdurre? Quali benefici può ricavarne il settore della live communication?

“Abbiamo creato un technology hub! Siamo rientrati poco più di un mese fa dal Ces di Las Vegas, che indubbiamente rappresenta la vetrina internazionale che anticipa tutte le tecnologie che avremo a disposizione nel corso dell’anno, e in alcuni casi, degli anni a venire. Siamo andati con l’idea di fare scouting di risorse, startup, tecnologie e idee da portare qui in Italia, sia in ottica di business partner, sia di soluzioni da proporre ai nostri clienti.

Per noi la tecnologia è una delle tre leve di engagement, che abbiamo messo al centro del nostro business model, anche se l’abbiamo etichettata come Emotional, perché crediamo diventi interessante da sfruttare solo quando capace di generare un’esperienza coinvolgente, senza complicare l’idea.

Dal Ces una tendenza fortissima l’abbiamo vista: l’interazione vocale è la nuova interfaccia su cui si sta creando molto velocemente un ecosistema di business ampio e pervasivo. Amazon e Alexa stanno guidando il settore. In Italia forse le aziende lo percepiscono ancora come un gioco domotico, ma c’è potenzialmente in ballo una rivoluzione forte quanto è stata quella degli smartphone 11 anni fa. Noi abbiamo scelto di esserci fin dall’inizio e stiamo già proponendo ad alcuni grandi gruppi soluzioni pioneristiche che le aiutino a dominare, per primi, nuove opportunità di comunicazione retail o l’ecosistema vocale domestico”.

Mario Garaffa