Evento musicale

Per il Macbeth Giò Forma inventa un secondo palco di 160mq: “Un esperimento inedito”. Una prima 'ibrida' dell’opera di Verdi: in presenza a teatro e al cinema, e in realtà aumentata in tv

Una complessità senza precedenti quella che lo studio di design e architettura milanese ha dovuto affrontare per l’opera ispirata alla tragedia di Shakespeare e rivista in chiave moderna. Un palco creato ex novo sollevato all’interno di 98 movimenti di scena. In linea con quanto sta accadendo nel mondo degli eventi, anche La Scala ha dato il via alla nuova stagione con uno spettacolo declinato in forma ‘ibrida’ per offrire in contemporanea agli spettatori differenti esperienze, a seconda della modalità di fruizione dello stesso.

Il Macbeth di Giuseppe Verdi ha aperto la nuova stagine del Teatro alla Scala di Milano, altrimenti noto come Piermarini in omaggio all'architetto che l'ha progettato.

Uno spettacolo, diretto da Riccardo Chailly, e contraddistinto da una forte impronta moderna voluta da Davide Livermore con una regia che ha riportato ai nostri giorni la vicenda insanguinata del re shakespeariano con attico lussuoso al posto del castello scozzese e un acsensore in scena per fare su e giù tra i piani alti in cui risiede il potere e i miseri livelli sottostanti.

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Una messa in scena emozionante e spettacolare, dove le scenografie sono state realizzate da Gio’ Forma, con la direzione di Cristiana Picco e Claudio Santucci (in foto rispettivamente al centro e a destra. A sinistra invece il terzo partner Florian Boje), appena 'scesi' dal palco del BEA Italia dove hanno curato design e scenografia della cerimonia di premiaizone (leggi news).

Abbiamo chiesto a Cristiana Picco, partner di Giò Forma e scenografa del Macbeth quale sia stata la complessità dell’opera verdiana.

“Sono tanti i punti complessi nelle movimentazioni sceniche dell’opera. Ad esempio i movimenti delle quinte che sparivano nel soffitto per creare i piani del nostro grattacielo, e che si componevano fluttuando nell’aria scendendo dall’alto colme di bilance luci. Come pure un muro di vidiwall sul fondo scenico con due enormi specchi ai lati, anch’essi movimentati, che oltre che allargare e dare un senso di infinito alle immagini si muovevano per far entrare ed uscire i personaggi ed alcuni elementi di scena. Si è trattato di un led davvero immenso oltre che inusuale per il linguaggio teatrale”.

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Ma la cosa mai fatta prima a La Scala è stata la creazione di una quinta dimensione nascosta nel sottopalco in una voragine immensa, una sorta di secondo palco: “una struttura di acciaio e ferro autoportante che entrava e usciva grazie all’armamento dei ponti teatrali. Questa scatola scenica, da noi chiamata waiting room, è diventata la stanza di Lady Macbeth e si è ispirata alla Neue National Galerie di Mies Van de Rohe. Lunga 20 metri e larga otto, per un’altezza di 8 metri la scatola, pur pesantissima, emergeva dal pavimento e sprofondava in pochissimo tempo, circa 40 secondi, nell’assoluto silenzio musicale diventando il nuovo palcoscenico sul quale si muovevano e ballavano circa 160 persone. Un’opera resa possibile grazie alle maestranze scaligere e agli ingegneri che in breve tempo sono riusciti a rendere tangibile questa idea”.

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L’allestimento del Macbeth ci parla delle città del nostro tempo, santuari della ricchezza e del dominio eppure fragili ed esposte a oscure minacce. Città le cui prospettive si moltiplicano e si riflettono come nel film Inception (Christopher Nolan, 2010), immagini di un inconscio tortuoso, di un io smarrito.

Le scene di Giò Forma ci mostrano uno skyline che rimanda a quello delle grandi città americane con il loro panorama di grattacieli. Negli interni troviamo la stessa dimensione metropolitana, arricchita di riferimenti ai classici dell’architettura novecentesca, da Frank Lloyd Wright a Ludwig Mies van der Rohe.

Tra questi spicca un preciso riferimento a Milano con un omaggio a Piero Portaluppi, che ha segnato il panorama urbano milanese con edifici come il Palazzo della società Buonarroti-Carpaccio-Giotto in Porta Venezia e Villa Necchi Campiglio. Nel 1926 Portaluppi disegnò “Tre case nuove strambe”, progetto mai realizzato per l’edifico S.T.T.S. in corso Sempione: nel secondo disegno la facciata è occupata da un colossale labirinto.

Questo labirinto torna in diverse dimensioni, architettoniche o decorative, e con molteplici funzioni come Leitmotiv dell’allestimento: affettuoso omaggio alla città e metafora dei tortuosi percorsi della mente dei protagonisti. Nelle sfarzose sale del palazzo di Macbeth e Lady si accumulano i simboli del potere, di cui fanno parte ricche collezioni d’arte, spesso con allusioni e omaggi ad artisti reali. Tra questi campeggia la statua di una pantera in cui si riflette la natura ferina di Lady.

Gianluca Falaschi ha firmato i costumi e D-Wok i video, guidata da Paolo Gep Cucco, ha creato i contenuti video e le scenografie virtuali, mentre le luci sono di Antonio Castro. Il Coro del Teatro alla Scala è stato diretto dal Maestro Alberto Malazzi, mentre le coreografie sono state concepite da Daniel Ezralow.

La cosa che lo ha reso uno spettacolo perfettamente al passo con i tempi pandemici odierni, in linea con quanto sta vivendo la event industry, è stata la sua declinazione 'ibrida': un'opera progettata per fornire allo spettatore in contemporanea differenti esperienze, a seconda della modalità di fruizione dello stesso.

Perché come si legge sul Corriere della Sera, l’impegno di Livermore è di "far diventare la prima della Scala cinema dal vivo", trasformando il palcoscenico in un set dove sperimentare le nuove tecnologie, telecamere, microcamere, ledwall. Un potenziale digitale che in tv ha avuto il suo apice in versione realtà aumentata. Aumentata a tal punto che la scena del sonnambulismo della Lady, in teatro limitata al suo aggrapparsi in camicia da notte su una passerella, sullo schermo televisivo ha assunto contorni da brivido. Una telecamera sistemata sopra la testa di Anna Netrebko ha consentito infatti un’inquadratura in verticale, dall’alto del grattacielo fino alla strada dove le auto si vedono piccole piccole. Un affacciarsi sul baratro capace di restituire quel senso di vertigine della caduta imminente voluto da Verdi.

Gli spettatori a teatro hanno dunque vissuto un’esperienza diversa da coloro che hanno visto lo spettacolo da casa in tv in diretta su Rai1 HD (canale 501) e su RaiPlay, dove potrà essere visto per 15 giorni dal 7 dicembre. L’impegno della Rai, in particolare del Centro di Produzione TV di Milano, è stato notevole grazie a uno staff impegnato per le oltre tre ore di trasmissione di 50 persone tra cameraman, microfonisti, tecnici audio e video, con 13 telecamere in alta definizione, 45 microfoni nella buca d’orchestra e in palcoscenico, 13 radiomicrofoni per i solisti.

La regia televisiva è stata di Arnalda Canali e l’evento è stato trasmesso in diretta anche su Radio3. Mentre Rai Com ha distribuito l’opera in diretta nelle sale cinematografiche di oltre 30 cinema italiani.  L’evento sarà disponibile anche in quelli di Spagna, Norvegia, Finlandia, Svizzera, Polonia, Olanda e Gran Bretagna.

Infine, a Claudio Santucci, altro partner dello studio che ha creato la scenografia del Bea abbiamo invece chiesto, ironicamente, se sia stato più complesso organizzare il Macbeth o il Bea di quest’anno. Ovviamente sorride alla battuta ma racconta le sue impressioni a una settimana dall’evento degli eventi. “Quella di quest’anno è stata un’edizione diversa, il fatto di essere seduti a tavola ha funzionato, abbiamo cercato di proporre un’esperienza immersiva grazie anche alle luci e ai laser che hanno animato lo show. Il palco era molto grande e di forte impatto anche per dare un segnale di forza da parte di un mercato che, nonostante tutto, non si ferma e va avanti. Aggiungo anche che è stato bello rivedere i colleghi, ci siamo ritrovati in famiglia a passare il Natale dopo due anni di assenza”.

 

MF