Partner

Ippolito (AGI): “Il trust è l’elemento fondamentale del nuovo rapporto in costruzione fra brand e consumatori: servono piattaforme credibili che diano alla marca e alla sua comunicazione un valore aggiunto”

Il boom straordinario registrato dai siti di news negli ultimi mesi è spiegabile con la ricerca da parte degli utenti di fonti qualificate, verificabili e per questo rassicuranti, spiega ai nostri microfoni Salvatore Ippolito, ad di AGI Agenzia Italia. Un ruolo di pubblica utilità di cui i brand possono giovarsi: sia pianificando la loro pubblicità in un contesto brand safe, sia utilizzando AGI Factory, il Brand Journalism Lab dell’agenzia, per la narrazione dei suoi contenuti chiave e della corporate reputation.

“Il bisogno forte da parte degli utenti è stato quello di un approccio alle news il più tranquillo e rassicurante possibile”: il riferimento non è chiaramente ai contenuti ma all’autorevolezza della fonte, ed è da qui che Salvatore Ippolito, Amministratore Delegato di AGI Agenzia Italia, parte per spiegare il successo registrato dai principali siti di news in questo periodo di emergenza. “Le agenzie di stampa, e AGI in prima battuta, sono le prime a ‘lanciare’ le notizie, svolgendo un ruolo di informazione primaria che è di pubblica utilità. In questo senso, dunque, le agenzie sono quelle cui tutti – sia gli informatori professionali, cioè gli editori, sia gli utenti finali – guardano con particolare attenzione perché la fonte è ovviamente verificata intrinsecamente e il tema delle fake news o della post-verità è superato all’origine”.

Negli ultimi mesi AGI ha dunque mirato a “Ribadire questo suo ruolo di informatori di trincea – afferma Ippolito –, attraverso un percorso di crescita dei lanci giornalieri già avviato prima del Coronavirus, ma che nell’ultimo periodo ha visto il numero delle notizie lanciate quotidianamente quasi raddoppiare: una quantità perfino soverchiante rispetto all’opportunità di poter leggere tutto nell’arco di una giornata”.

La presenza costante dell’agenzia, spiega Ippolito, si è tradotta in “Un approccio puntuale, tempestivo e soprattutto attento ai contenuti affinché fossero del taglio ‘giusto’, senza eccessivo allarmismo da un lato, né troppa superficialità dall’altro. Ai grandi approfondimenti abbiamo inoltre affiancato il lancio dei podcast e sfruttato al meglio il canale del nuovo sito, rinnovato proprio a metà febbraio”.

Uno sfrozo ripagato dai risultati, che secondo gli ultimi dati Audiweb registrano una crescita complessiva del +100%: “Evidentemente – chiarisce Ippolito – siamo di fronte a un evento che ha determinato una grande affluenza e una ancor più grande audience sulle properties digitali di tutti isiti editoriali classici, fenomeno del quale anche noi abbiamo beneficiato in misura importante. Ma all’interno di un contesto che ha premiato l’informazione giornalistica in generale, mi permetto però di sottolineare, con un po’ di autocelebrazione, che per quanto ci riguarda questa crescita è anche in virtù di un sito completamente rivisto e ripensato, in grado di accogliere un numero di contenuti più ampio e più profondo e di permettere una relazione con l’utente finale improntata su un percorso un po’ differente dal solito”.

Basta visitare il sito www.agi.it per vedere come la logica dell’agenzia sia stata in un certo senso trasferita all’interno del mondo website: “I contenuti sono infatti organizzati in modo da costruire delle storie: in ogni articolo che fa riferimento a un determinato tema si parla infatti di ‘developing stories’, si può verificare il minutaggio e vedere tutti gli aggiornamenti e i lanci successivi, senza saltare da un punto all’altro del sito”.

Per illustrare come le aziende stiano usando la piattaforma, Ippolito ‘sveste’ i panni del responsabile d’agenzia e rientra in quelli del comunicatore che ha indossato a lungo nel corso della sua carriera prima dell’approdo in AGI: “È importante considerare come da parte dei brand, soprattutto in questa fase, ci sia bisogno per esigenze di trust e di reputazione, di appoggiarsi a contenuti e a piattaforme che siano in grado di ‘non creare’ alcun problema nella mente dell’utente e del consumatore, già affollata di pensieri e preoccupazioni, evitando quindi che il messaggio intervenga su contenuti che non sono propri o che si rivelano inappropriati. Offrire una piattaforma di un certo tipo è quindi un elemento chiave”.

Ippolito cita una recente ricerca recenti dell’Advertising Association britannica, dalla quale si evince che l’atteggiamento favorevole nei confronti della pubblicità si è dimezzato nell’arco di poco più di 20 anni dal 50% al 25%: l’elemento cardine che risulta diminuito è proprio il trust, la percezione di fiducia nei confronti degli annunci pubblicitari. Pur non avendo sotto mano dati in proposito, Ippolito ritiene che ci sia stata un certo tipo di evoluzione in questo senso anche da parte dell’universo italiano, poi cita una diversa indagine svolta dall’associazione della stampa globale:

“In questo caso – annuncia Ippolito –, si vede invece come proprio l’elemento di trust riconosciuto ai contenuti editoriali sia capace di muovere in senso positivo anche il trust nei confronti della pubblicità”.

“Se si è capaci di sviluppare dei contenuti appropriati su una piattaforma editoriale – cartacea, digitale o televisiva –, di riflesso ne guadagnano anche gli annunci pubblicitari che risiedono su quella determinata piattaforma. La qualità dei contenuti si dimostra quindi fondamentale anche per il traino positivo che è in grado di svolgere per la pubblicità, e l’importanza del nostro ruolo raddoppia proprio perché affianca a quello dell’utilità pubblica dell’informazione primaria un valore aggiunto di reputazione e credibilità, e in ultima analisi trust, per la pubblicità che veicoliamo all’interno delle nostre piattaforme”.

Oltre alla comunicazione pubblicitaria classica, ospitata dal sito, Ippolito ricorda poi una seconda tipologia di utilizzo da parte delle aziende: “Torno a quel che dicevo prima sull’importanza per ibrand di stabilire con i consumatori un nuovo rapporto, su parametri e su basi differenti: per farlo la marca avrà bisogno di raccontarsi. Il rapporto identitario che bisognerà in qualche modo ricostruire o costruire su basi differenti non può che partire dagli elementi chiave propri del brand, dell’azienda e della corporate reputation: tutti elementi che possono essere raccontati – anche se faccio sempre fatica a utilizzare queste parole ormai assolutamente inflazionate – attraverso gli strumenti classici dello storytelling e della narrazione”.

Ippolito ricorda AGI Factory, la struttura lanciata recentemente proprio per aiutare le aziende nel costruire contenuti di marca e che si muove con la massima attenzione in questo ambito.

“Sappiamo che sicuramente la pubblicità nella sua accezione classica stava già ‘poco bene’ prima di questa emergenza – dice Ippolito –. Non voglio costruire similitudini scorrette rispetto alle teorie evoluzionistiche, ma se un meteorite impatta sulla superficie terrestre non c’è da stupirsi più di tanto che qualche dinosauro scompaia… Fuor di metafora, tornando al tema dei contenuti, l’approccio che preferiamo è quello tipico del nostro modo di essere che è quello di un Brand Journalism Lab: l’approccio giornalistico è quello che ci consente di ‘entrare virtualmente’, mai come in questo caso, nelle aziende clienti per raccoglierne gli elementi chiave come la reale
attitudine e il purpose, di cui giustamente oggi si parla moltissimo, su cui si può costruire l’ancoraggio profondo da parte di un utente nei confronti di un’aziende o di una marca”.

Da un punto di vista professionale, è convinto Ippolito, la costruzione di un brand non solo è “Quanto di più attraente e divertente ci sia, ma è davvero un aspetto fondamentale, che a ben guardare, anche sotto il profilo del linguaggio adoperato rappresenta quasi un ritorno alle regole del mondo pubblicitario e alle radici di come si costruisce il rapporto fra marca e consumatore. In generale, quindi, parlerei di un metodo e di un approccio, non di una soluzione specifica, che in questa fase riesce a rivisitare e a mettere quasi in discussione quelle che sono le fondamenta di un brand o di un linguaggio di corporate reputation”.

E guardando al futuro prossimo? “Premesso che parlare di fase 2 o 3 in questo momento sembra ancora paradossale – risponde Ippolito –, credo che quel che ci accompagnerà nel ‘dopo’ sarà un po’ questa rivisitazione degli elementi chiave delle nostre attività: abbandoneremo un po’ di cose superflue e ci dedicheremo a cose più importanti, che costruiscono per noi stessi e per le aziende. Mettiamola così: un cambio di armadi da cui prendere un po’ di cose che sarà meglio buttare via”.