Eventi

OBE Summit/2. Oltre il Branded Content, oggi le marche devono ‘essere’, prendere posizione e ‘disegnare’ la propria personalità per ogni touchpoint. Il doppio salto da storytelling a story-being e da Lovebrand a Grateful Brand

Dagli assistenti vocali allo streaming audio e video, dalle campagne improvvisate in lockdown al ripensamento della responsabilità sociale come scelta fra umanità e business: il Summit OBE ha dato voce a diversi interventi che, pur se apparentemente lontani fra loro, hanno contribuito a portare avanti il discorso su cosa sia oggi un brand, quali i suoi contenuti e i suoi valori fondanti, e come si possano e si debbano comunicare.

Fra i numerosi esponenti della industry, italiani e non solo, intervenuti per confrontarsi e portare la propria testimonianza sul palco di OBE Summit 2020, di cui ADC Group è media partner, uno dei primi spunti è arrivato da Wally Brill, Head of Conversation Design Advocacy & Education di Google (gold sponsor dell’evento), che ha illustrato le nuove e numerose opportunità che gli assistenti vocali offrono ai brand nel relazionarsi con i consumatori e che spaziano dall’entertainment interattivo allo shopping, dai giochi al customer service. “Il tema è che quando si conversa e si interagisce con le persone attraverso questo genere di device connessi, la marca deve mostrare la sua personalità”.
Come? Attraverso la sua ‘persona’ – Brill ha usato il termine nel suo significato inglese di ‘immagine pubblica’ – che dà a ognuno la possibilità di cogliere a pieno il senso e le sfumature di un testo: “In un mondo di schermi la ‘persona’ si esprime attraverso contenuti sonori e sound design, contenuti visivi, interaction design, tipografia. Ma quando ascoltiamo una voce bastano pochi secondi per attribuirgli automaticamente e inconsciamente un’età, il sesso, il livello di istruzione, lo status sociale, e anche la sua provenienza. Ma non solo: perché sempre in pochi secondi la nostra mente inferisce da quei tratti anche la sua intelligenza, affidabilità e gradevolezza. Ecco perché è indispensabile che le marche costruiscano la propria ‘persona’, o saranno i consumatori a farlo per loro, attraverso un vero e proprio design delle possibili conversazioni che non possono essere lasciate al caso. Esattamente come la comunicazione attraverso qualsiasi altro touchpoint”.

02 diMontigny

 Oscar di Montigny (foto sopra), Chief Innovability and Value Strategy Officer di Banca Mediolanum, ha proposto una riflessione sul fatto che la 'fuga in avanti' compiuta durante il periodo del lockdwon e in questa fase di distanziamento sociale ci sta dando “La possibilità di farci nuove domande rispetto al senso delle cose. Trust, fedeltà, trasparenza o responsabilità sociale sono tematiche già

superate e trovo preoccupante che si debba ancora discuterne, perché dovrebbero essere condizione di partenza e necessaria per qualunque rapporto: con le community di stakeholder o shareholder di un'azienda, fra la domanda e l'offerta, con il mercato verso il quale un brand si propone”.

La provocazione di di Montigny parte da considerazioni linguistiche sul tema della gratitudine: “Secondo il dizionario, gratitudine vuol dire ‘memoria di un beneficio ricevuto e prontezza a dimostrarlo’. Trasportato nel marketing, dove la memoria si chiama brand awareness, e la prontezza è nel word of mouth, questo concetto di gratitudine deve essere l’unica cosa cui un’azienda deve tendere. Awareness e passaparola sono quindi le uniche due leve che consentono a un'azienda di sopravvivere e a una società di consulenza di svolgere bene il proprio mestiere”.

Di Montigny non si riconosce più nei Lovebrand di Kevin Roberts, e la sua provocazione è quella di andare oltre, parlando di ‘Grateful Brand’: perché la gratitudine è già di per sé lealtà e fedeltà, ma nasce in una nuova territorio che non è quello del saper fare o del saper raccontare: è la dimensione dell’essere, in cui occorre passare dallo story-telling allo story-being. “Ci vogliono la volontà e il coraggio di entrare per primi in questo territorio, e il ruolo della comunicazione è dare un nuovo orientamento al 'sistema'. La domanda è: come si fa a diventare un grateful brand? Non ho la risposta – ha concluso – ma so che da un lato c’è l’umanità e dall’altro il business, e la responsabilità sociale oggi è scegliere da che parte stare”.

Francesca Mortari, Director YouTube Southern Europe, e Federica Tremolada, Managing Director Southern and Easter Europe di Spotify, hanno approfondito l’evoluzione dell’influencer marketing e l’esplosione dello streaming video e audio nella fase di lockdown, mentre Alberto Chiapponi, Integrated Marketing Communication Director di Campari Group, ha presentato le
iniziative realizzate per il brand Aperol e soprattutto le riflessioni a monte che hanno portato a decidere di comunicare durante l’emergenza. “C’erano diverse ragioni per non farlo – ha raccontato –: l’incertezza, i continui e improvvisi cambi di scenario, la difficoltà di interpretare il sentiment generale, il fatto stesso che Aperol fosse un brand che vive di socialità. Dall’altro lato,
abbiamo pensato che, proprio in un momento così particolare in cui non lo si poteva fare, la voglia di stare insieme non è mai mancata ed era comunque elevatissima: abbiamo visto nascere nuove forme di socialità digitale che hanno riempito le nostre serate, e non ultimo perché c’era un’occasione per fare del bene”.

È nata così l’operazioni ‘Together we can’ in partnership con Rockin’ 1000, che ha registrato un enorme successo in termini di partecipazione, di visualizzazioni (più di 5 milioni) e di reach (oltre 10 milioni). Un’iniziativa replicata poco dopo avvicinandosi questa volta al mondo della danza che ha segnato nuovamente numeri altissimi di views e interactions, e grazie alla quale sono stati donati 100 euro per ogni video UGC ricevuto).

Quali gli ingredienti di questa formula di successo?
“La velocità e il cambio di paradigma – ha affermato Chiapponi –: eravamo abituati a pianificare e programmare un anno per l’altro, che ci ha portato, ma in questo caso dall’idea all’online sono bastate 3 settimane. Poi la flessibilità: dall’idea originale alla realizzazione finale il progetto è cambiato decine di volte, e anche questo è stato un insegnamento molto importante. E infine
l’istinto, che anche in mancanza di ricerche di mercato ci ha consentito di non fermarci e andare avanti”.


Dopo gli interventi di Marco Pezzana, CEO di Vis, e Nick Young, Group Brand & Commercial Director di Banijay Group, l’ultima parte del Summit è stata condotta da Marco Girelli  (foto sotto), CEO di Ominicom Media Group, che insieme a Stefano Mancuso, Professore Ordinario presso la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze, e a Tommaso Valle, Head of Corporate Relations di
McDonald’s, ha parlato di una prospettiva ‘bio-ispirata’ che permetta alle aziende (di qualunque ordine e grado) di sopportare le pressioni che in questo momento gravano su di esse.

04 girelli

 

“La prima – ha detto Girelli – è la domanda che oggi la gente pone ai brand: ‘tu cosa fai per migliorare il mondo?’. Pretendono che facciano delle cose, quindi il purpose passa da progetto ad azione e non la si può più spostare o rimandare. La seconda pressione è legata a quanto successo in America e di nuovo alla richiesta da parte delle persone di non essere discriminate, qualunque sia il motivo. La terza è l’insostenibilità delle nostre organizzazioni tradizionali: burocratiche, lente, contrarie a tutto ciò che la digitalizzazione ci ha insegnato”. Agenzie e clienti, ha aggiunto Girelli, dovrebbero parlare insieme di queste cose, perché una svolta, un cambiamento è ineluttabile se vogliamo avere un futuro.

Mancuso ha proposto di ispirarsi al mondo naturale: “L’organizzazione delle piante – ha commentato – è radicalmente diversa da quella animale (e umana): le piante non hanno un capo, una testa che governa degli organi, ognuno dei quali è specializzato in particolari funzioni e che dà agli animali il grande vantaggio – ma è l’unico – di potersi muovere. Traslato alle nostre organizzazioni civili, sociali o politiche, se qualcosa impedisce il passaggio delle informazioni dal capo agli organi, per esempio i filtri della burocrazia, quelle organizzazioni non hanno più ragion d’essere. Al contrario, quella delle piante è un organizzazione ‘diffusa’, decentralizzata che gli permette di sopravvivere e di diffondersi”.

“L’esperienza di questi ultimi mesi – secondo Valle – ha sottolineato in modo ancora più forte l’importanza per le aziende di avere un ruolo di protezione, di radicamento e di presenza diffusa all’interno delle comunità in cui operano. Oggi che parliamo di branded content e branded entertainment, tutto questo tema della narrazione e dello storytelling credo che sia una richiesta ai brand da parte dei consumatori di esprimersi e prendere la propria posizione, il proprio valore: che sono le fondamenta sulle quali un’azienda decide di costruire il proprio business”.


TR