Interviste

Harris Diamond (McCann Worldgroup): “Siamo i ‘best in class’ quasi ovunque e vogliamo esserlo anche in Italia. Con Daniele Cobianchi puntiamo a una crescita esponenziale dell’agenzia”

Intervista esclusiva ad Harris Diamond, Chairman e Chief Executive Officer di McCann Worldgroup, di passaggio negli uffici milanesi dell’agenzia per fare il punto della situazione con Daniele Cobianchi, che dallo scorso luglio ha preso le redini della sigla come Ceo di MWG nel nostro paese. Una chiacchierata a tutto tondo sull’andamento e le attese di Diamond per la sede italiana e su alcuni dei temi più caldi per le agenzie a livello globale.

Alla luce dei recenti cambiamenti organizzativi al vertice dell’agenzia e del suo andamento positivo, quali sono le sue attese per la sede italiana di McCann Worldgroup? Come e quanto prevedete di investire nel suo sviluppo?
L’Italia ha una popolazione numerosa, con un livello di istruzione mediamente alto, che ama le marche: per questo è sempre stata e continuerà a essere uno dei paesi principali del nostro network. Nonostante le preoccupazioni locali e internazionali per la vostra situazione politica, in questo momento per quanto riguarda il business il clima è favorevole e vediamo grandi opportunità: l’arrivo di Daniele Cobianchi e la sua carica di entusiasmo, gli investimenti che abbiamo fatto e continueremo a fare, e non ultimi i recenti successi nel new business [ndr: fra gli ultimi ricordiamo Opel e Carglass ] ci fanno guardare al futuro con ottimismo. Penso infatti ci siano buoni margini di crescita soprattutto pensando al bacino dei molti brand locali importanti che ancora non si
rivolgono ad agenzie globali come la nostra.

Parlando di fenomeni globali, uno dei principali trend di cui si discute attualmente è il cosiddetto ‘in-housing’ di parte dei servizi di marketing e comunicazione da parte dei clienti: un fenomeno partito dal digital e dal programmatic, ma che si sta trasformando in alcuni casi nella vera e propria costruzione di ‘reparti interni’ formati da persone scelte una per una dal pool di agenzie di cui si servono. Cosa ne pensa? È un fenomeno che sta toccando anche voi e i vostri clienti?
È vero che sta succedendo, ma non lo considero un rischio per noi. Molti clienti, infatti, e non da oggi, hanno provato a prendere quella strada salvo ricredersi dopo solo un paio d’anni per tornare a cercare idee ‘fresche’ all’esterno, rivolgendosi quindi nuovamente ad agenzie come la nostra che sono in grado di offrire loro una comprensione più ampia del mercato e dei consumatori. Non dimentichiamo che il lavoro delle aziende è quello di ‘fare’ prodotti, il nostro è quello di aiutarle a venderli. A volte, e questa è una scelta che per alcuni brand ha una sua logica, ci è richiesto di formare ‘team’ orizzontali che comprendono persone appartenenti alle nostre diverse sigle specializzate. Lo abbiamo fatto per esempio con L’Oreal o Nespresso. Ma prima di impegnarci in questo senso poniamo delle condizioni: la dimensione globale del cliente, l’entità dell’investimento, l’utilizzo da parte loro di più servizi del nostro gruppo.

 

Quando questo avviene, in molti casi, gli investitori sembrano voler riunire sotto il proprio tetto sia la parte creativa che quella media, ricostruendo le agenzie ‘a servizio completo’ di una volta… È davvero così? È questa la strada per l’integrazione, che forse si potrebbe chiamare ‘re- integrazione’, di tutti i servizi di comunicazione?
Il nostro approccio al lavoro per qualsiasi cliente è già integrato in tutti i sensi, quindi non credo che i clienti abbiano bisogno di questo. Siamo orgogliosi di avere gli specialisti numero 1 o numero 2 al mondo in tutte le discipline di cui ci occupiamo, dalle PR all’advertising, dalla produzione al marketing esperienziale o relazionale. McCann, UM, Momentum, Craft, MRM, Weber Shandwick
sono tutte ‘best in class’ nei rispettivi settori. Ma attenzione: questo posizionamento integrato non è una ‘proposta di vendita’, ma una vera e propria metodologia di lavoro in cui partiamo da un’idea e la sviluppiamo in ogni modo possibile e immaginabile. È un approccio al quale lavoriamo da moltissimi anni, e anzi forse siamo partiti fin troppo presto! Ma oggi, che è il momento giusto, tutto questo ci sta premiando.

 

Parlando di integrazione a un livello ancora più alto, un recente studio di Forrester ha previsto per le grandi holding della comunicazione un futuro di consolidamento per molte delle loro sigle dedicate alle diverse discipline. Pensa che sarà questo il futuro anche per IPG [ndr: insieme a Philip Krakowski, Harris Diamond è stato indicato come possibile successore di Michael Roth alla guida di Interpublic], e quale ruolo giocherà MWG al suo interno?
Ogni holding ha una sua storia, un suo percorso e un suo progetto strategico, ed è giusto che sia così. Per quanto ci riguarda l’unico ruolo di McCann Worldgroup in seno a IPG di cui posso parlare è quello di continuare a migliorare il suo business per generare profitti per i suoi azionisti. Tutto qui.

 

Altro trend globale è quello che vede le società di consulenza entrare sempre più frequentemente nell’arena del marketing: hanno messo prima di tutto un piede nella porta del digitale, ma oggi che digital è praticamente tutto, non pensa che che nella catena del valore della nuova comunicazione il loro ruolo sia destinato ad aumentare? Ritiene che la loro concorrenza rappresenti un pericolo o una minaccia per un network come il vostro?
Su questo argomento la penso esattamente come l’ex chairman di WPP, Sir Martin Sorrell: non vedo alcuna minaccia per il nostro futuro arrivare dalle grandi società di consulenza. È vero che hanno messo il piede nella porta del digital, ma lì sono rimaste: l’unico terreno su cui sono nostri competitor è quello tecnologico, ma alla fine noi continuiamo a vincere in più del 75% dei casi. E quando si tratta di comunicazione che implica una relazione con il consumatore loro non partecipano neppure. Ci sono dei settori in cui possiamo effettivamente competere – penso per esempio all’e-commerce –, ma la differenza è proprio nell’approccio: loro partono dal punto di vista della connettività e della tecnologia; noi dalla ‘dimensione umana’ e dal lato creativo, che è ciò caratterizza la maggior parte del nostro staff.Diciamo che guardiamo con attenzione le loro mosse e la loro evoluzione nell’area dei servizi di marketing, ma senza particolari timori o preoccupazioni.

 

Parlare di digitale e tecnologia ci porta per forza di cose a parlare di dati, che oggi sono diventati protagonisti di una specie di nuova corsa all’oro. Come e quanto MWG sta investendo e lavorando da questo punto di vista? Come si bilancia il mantra del ‘messaggio giusto, al consumatore giusto nel momento giusto’, promesso da Big Data e Programmatic, con la necessità di una creatività capace di raggiungere e colpire il più alto numero di persone possibile? In altre parole, esiste o può esistere secondo lei una ‘creatività data-driven’?
La risposta è sì, ma anche no. Mi spiego. Per MRM, che opera nell’ambito del relationship marketing one-to-one, il successo nel suo lavoro dipende dalla disponibilità del consumatore a fornire informazioni su di sé, e questo rende i dati essenziali e direi di più, vitali. Ma quando invece parliamo di McCann e di una campagna di ‘advertising’, anche se questo termine va messo fra virgolette, non ci rivolgiamo ai singoli ma continuiamo a parlare a gruppi di persone aggregate per classe socio-demografica, sesso ed età, professione o quant’altro. Certo i dati anche in questo caso sono fondamentali e lo stanno diventando sempre di più, anche per dare insight ai creativi. Ma è sempre stato così. Il tema vero legato ai dati è quello della privacy, e di quanto le persone capiscono o si rendono conto di ciò che stanno facendo quando autorizzano i brand ad adoperare le informazioni su di loro. E questa problematica si lega a quella della trasparenza, perché fin dagli anni Sessanta siamo considerati ‘persuasori occulti’. A parte il fatto che essere persuasori era ed è effettivamente il nostro lavoro, possiamo e dobbiamo fare tutto alla luce del sole, chiarendo perfettamente quali dati raccogliamo e adoperiamo. E ripeto, dobbiamo essere sicuri che sia chiaro soprattutto al consumatore. Da questo punto di vista in Europa siete molto più avanti che negli Stati Uniti, e anche se il GDPR ha reso più costoso per noi lavorare con i dati, obbligandoci a investire e adeguarci alla nuova direttiva, in un certo senso ha reso il nostro lavoro migliore.

 

Altro tema globale particolarmente caldo è quello della ‘diversity’: qual è la posizione di McCann
Worldgroup e che cosa state facendo in proposito?

Il retaggio della nostra industry è quello molto ben dipinto da una serie come ‘Mad Men’: in altri termini, stiamo sicuramente arrivando a occuparcene con colpevole ritardo. Ma lo stiamo facendo e stiamo progredendo perché credo che finalmente sia stato capito che non si tratta solamente di essere ‘politicamente corretti’: la diversità, di religione, razza o genere, è anche una questione di business. Per noi si tratta di un mezzo per dar vita a idee che entrano in risonanza con le persone. Prendiamo la politica: nell’epoca post Lehman Brothers, in tutto il mondo la gente ha iniziato ad avere problemi e a contestare il ‘successo’ delle elite. E sono arrivate la Brexit, Trump e tutto il resto… Non solo i politici ma anche il marketing negli ultimi anni non si è accorto di questo
profondo cambiamento. E anche per questa ragione abbiamo estremo bisogno di persone con background ‘diversi’ che ci aiutino a capire meglio la gente. Per questa ragione i nostri Senior in tutte le discipline ‘vertical’ hanno sempre più spesso un background professionale e culturale eterogeneo e ‘diverso’.
In tema di diversità ricordo infine il caso di Fearless Girl, una delle nostre campagne più premiate degli ultimi tempi: è un’idea che poteva venire in mente solamente a due donne che si sono rese conto della situazione e del clima economico e politico dell’era Trump e che avevano il cliente giusto per svilupparla. E oggi la statua della ‘ragazza senza paura’, è diventata un’icona della diversità di genere.

 

A proposito dei creatività e premi, McCann Worldgroup è una delle agenzie più premiate al mondo ed è considerata uno dei network più creativi in assoluto. Qual è la sua opinione sui premi e sulla loro importanza per i clienti?
Parliamoci chiaro: alla fine, ciò che i clienti ci chiedono sono incrementare le vendite e migliorare il valore dei loro brand. Il loro criterio di scelta resta perciò quello dell’efficacia. Ma la creatività e i premi sono importanti, e non solo per il nostro personale: credo infatti che ogni premio vinto contribuisca soprattutto a costruire ‘cultura’, tanto in agenzia quanto in azienda. Quest’anno siamo davvero orgogliosi del Leone di Bronzo vinto da McCann Worldgroup Italia con la campagna The Voice of Voices  per il Centro Clinico Nemo. E a proposito di ‘best in class’, altrettanto orgogliosi siamo del Chief Creative Officer Alessandro Sabini, l’art director #1 del 2018 secondo il vostro ADCI!

 

Tommaso Ridolfi