Inchieste

La battaglia dell’attenzione si vince con la rilevanza

In uno scenario caratterizzato da un generale overload comunicativo, la via maestra per sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda dei propri interlocutori, incrementando le possibilità di conquistarne l’attenzione, consiste nel fornire contenuti interessanti, informativi e divertenti, piuttosto che meramente commerciali, attivando iniziative di branded content ed entertainment. Continua il giro di microfono tra i creativi del settore. Pubblichiamo il secondo articolo dell’Inchiesta Creatività uscita su NC - il giornale della Nuova Comunicazione (num. 60, giugno-luglio 2016).

La moltiplicazione dei canali di comunicazione, favorita dallo sviluppo tecnologico digitale, ha incrementato l’overload comunicativo, cui ciascuno di noi è esposto. Il segreto per emergere da questo ‘rumore di fondo’, che assorbe tutto in modo indifferenziato, non è alzare la voce, bombardando ancora di più il pubblico con messaggi ‘urlati’ e intrusivi, bensì puntare sulla ‘rilevanza’, ossia su una comunicazione creativa, in grado di conquistare l’attenzione delle persone, proponendo contenuti divertenti, originali, capaci di informare e intrattenere in riferimento a un certo tema, raccontando - al tempo stesso - qualcosa della marca, della sua identità e dei suoi valori. “Il futuro dei brand - afferma Marini (Lorenzo Marini Group) - è quello di diventare essi stessi editori, acquistando non più e non solo spazi tabellari, ma innestando nella cultura dei singoli mezzi lo storytelling della marca”.

“Il branded content - aggiunge Paolo Pollo, creative director Y&R Italia - sta acquistando un ruolo nevralgico e la sua rapida affermazione è lo specchio fedele di un mondo cambiato in fretta. Prima la comunicazione (pubblicitaria, ndr) era una parentesi fra i diversi contenuti editoriali, oggi le persone si attendono che sia un tutt’uno”, ossia che facciano parte del medesimo flusso. “Editare il posizionamento di un brand significa oggi vincere la partita della rilevanza - sostiene Siani (Dlv Bbdo) -. Far diventare il brand il contenuto, e non lo spot che lo interrompe, è cruciale. Comunanza di valori, capacità redazionale nell’editarli e coordinamento strategico dei player necessari a creare un branded content di successo sono le chiavi della comunicazione futura”.

Per coinvolgere le persone - precisa Carla Leveratto, direttore creativo Gruppo Roncaglia - occorre essere rilevanti, offrendo contenuti creativi interessanti in quel preciso momento. Il nostro approccio strategico si basa sul contextual marketing, ossia sulla capacità di comprendere il contesto mediatico in cui il consumatore è inserito in quell’istante. Le implicazioni in termini di brand communication sono ovvie: la marca non chiede più di interessarti a lei; è lei che si interessa a te. È come nelle relazioni tra persone: i risultati in termini di coinvolgimento, empatia e performance possono essere sorprendenti”.

A evidenziare la natura multifunzionale del branded entertainment è Giuseppe Mastromatteo, chief creative officers Ogilvy & Mather Italy: “All’interno del processo comunicativo di una marca, il branded entertainment può assumere qualunque ruolo e può porsi svariati obiettivi: può fare awareness, creare valore, informazione. Può vendere. Di certo ci vuole un’idea, altrimenti difficilmente funzionerà. E in ogni caso non esiste una formula che ne assicura il successo”, l’importante è non trascurare sensibilità e attenzione alla brand essence, perché è da lì che si inizia.

LA TECNOLOGIA È IL MOTORE, I CONTENUTI SONO IL CARBURANTE

Si sta diffondendo un nuovo modo di comunicare che mette al centro non più un prodotto, ma un sentimento o un’emozione da ricordare e condividere. “Se la tecnologia è oggi il motore del marketing, il vero carburante - afferma Bucci (Phd Italia) - sono i contenuti che veicoliamo, quelli che innescano tutti i processi di business. Il branded content risponde alla necessità delle aziende di creare contenuti di alto valore per il loro pubblico, che riescano a distinguersi dal ‘rumore’ che caratterizza la vita del consumatore di oggi. Contenuti in grado di raccontare le sfaccettature della marca, di rappresentare quell’universo di valori che ora, davvero, ha la possibilità di essere decodificato, re-interpretato e narrato. Inoltre, come dimostrano le nostre ricerche, le politiche di content marketing ben costruite sono in grado di muovere Kpi rilevanti, in termini di incremento dei valori di familiarità, riconoscibilità e intention to buy”.

Il prossimo passaggio, continua Bucci, ha a che vedere con “la creazione di storie agibili e modificabili in ‘real time’, contenuti agili, multipiattaforma e integrati in un flusso narrativo fluidificato, ma non controllato, dal brand stesso”. “Un branded content funziona - interviene Pedrazzini (Cayenne) - nella misura in cui la marca è in grado di ingaggiare il target con insight rilevanti, per farli divenire essi stessi generatori dei contenuti. È quindi il pubblico stesso che genera i contenuti, mentre i brand devono agire quali validatori e attivatori di relazioni e facilitando la condivisione dei contenuti. Le coordinate creative rimandano, in questo caso, alla capacità di identificare un forte insight in grado di generare engagement, farlo convergere in un contenitore credibile e brandizzabile, e dargli una forma e un linguaggio rilevanti per il target”.

Sulla stessa linea è anche Bonetti (synUosa - Artefice Group), che afferma: “La chiave sta nel piantare il seme dell’idea, iniziare il racconto e fissare dei punti di ancoraggio, lasciando lo spazio al pubblico di creare una propria storia, in modo tale che il coinvolgimento e l’immersione nell’esperienza sia totale”.

NON CONFONDERE BRANDED CONTENT E PRODUCT PLACEMENT

Ma attenzione, precisa Mori (UM), il branded content non ha nulla a che vedere con le operazioni di product placement e con tutte quelle iniziative di visibilità totalmente avulse dal contenitore che le ospita. “Un buon principio guida del branded entertainment di qualità rimanda alla capacità di generare una storia che nasca insieme all’identità della marca e alle sue necessità di comunicazione e di business. Se il contenuto germina direttamente dai valori del brand, ci sono buone opportunità che il risultato sia credibile, generi intrattenimento e, in ultima istanza, risulti efficace”.

La vera sfida di un buon branded content, secondo Bruno Bertelli, ceo & executive creative director Publicis Italia e di recente nominato anche global chief creative officer Publicis Worldwide, è quella di non creare alcuna forzatura a seguito dell’unione fra marca e contenuti. “Dal canto nostro - aggiunge -, cerchiamo di sviluppare, per ogni cliente, ogni anno, due progetti importanti di branded content, che vengono poi sostenuti ‘day by day’ attraverso i social”.

Volendo riassumere in un grafico matematico le coordinate principali dell’agire l’agire creativo di oggi, seguendo il ragionamento di Ventimiglia (H-Art), possiamo porre sull’asse delle ascisse i bisogni concreti, i problemi veri da risolvere, perché alla base deve esserci sempre una conoscenza profonda e reale del consumatore. Mentre sull’asse delle ordinate, possiamo collocare l’autenticità e la credibilità della risposta che il brand offre. “Il tutto - come sottolinea Ventimiglia - condito con un approccio umano, conversazionale, realmente aperto e orientato a migliorare la componente di valore offerta ai clienti”.

Tuttavia, come ricorda Palmer (Serviceplan), “molto dipende dai prodotti e dalle marche per cui lavoriamo. Brand cool e prodotti emozionali di settori come, per esempio, auto, moto, musica, moda e drink, devono sforzarsi un po’ meno per interessare il pubblico. Viceversa, marche di prodotti meno emozionali, spesso arricchiscono i propri branded content con elementi push, con lo scopo di farli performare un po’ di più e così nascono delle comunicazioni zombie, che fanno dubitare sul vero valore del branded content”.

Alla fin fine, comunque, spiega Giorgio Brenna, ceo Leo Burnett Italia e continental western Europe, “a far la differenza è l’idea creativa: se hai un’idea forte, questa esploderà, viceversa se è povera e debole, non andrà da nessuna parte. Ecco perché è fondamentale avere dei grandi talenti creativi, che sappiano sviluppare idee potenti, riconoscerne il potenziale e intorno a queste creare delle piattaforme multicanale”. Ma c’è anche chi, come Francesco Giromini, ceo e presidente Bright.ly, ritiene che il branded content, inteso come contenuto legato al brand, sia già finito: “Il valore - afferma - oggi non sta più nella comunicazione di prodotto, ma nell’esperienzache esso fa vivere. Per fare ciò è necessario creare un percorso che passi non solo dal momento della vendita, ma anche dalla fase precedente e da quella successiva alla vendita stessa. Questo vale in particolar modo per il mondo del lusso, dove l’esperienza legata al brand diventa l’elemento differenziante, che porta alla conversione concreta in termini di acquisto”.

Mario Garaffa

 

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Inchiesta Creatività:

Articolo 1: ‘Il coraggio di sperimentare

Articolo 2: ‘La battaglia dell’attenzione si vince con la rilevanza

Articolo 3: ‘Strategia e dati per indirizzare il flusso creativo

Articolo 4: ‘Festival di Cannes, il moltiplicatore della reputazione