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Space Available Here. Polpettology: come mescolare tutto con eleganza. E far diventare la comunicazione una palla insapore

La presentazione del libro di Daniela Brancati 'Polpettology, teoria e pratica del cibo più amato al mondo' offre lo spunto a Diaferia per riflettere sull'offerta pubblicitaria dell'attuale industry della comunicazione. "Quello che era un mestiere colto, intelligente e pieno di originalità, in tanti casi sta diventando sempre più simile ad un menu di un terribile fast food. Tante definizioni roboanti, tante confezioni colorate. Ma alla fine, dentro al panino, il cliente disattento potrebbe trovare, con un abile mix di ingredienti avanzati, una tondissima e microscopica polpetta riscaldata".

Ho avuto il privilegio di partecipare ad una recente presentazione di Daniela Brancati. Nella polpetteria milanese di Diego Abatantuono, abbiamo potuto gustare il suo ultimo volumetto, ironico saggio su storia, filosofia e ricette delle polpette: Polpettology, teoria e pratica del cibo più amato al mondo (2018, Manni editore).

Daniela, prima donna direttrice di TG in Italia, è amica e compagna di tante battaglie, inclusa quella per la produzione e messa in onda sui canali Rai di un mio spot per il suo premio Immagini Amiche (clicca qui). Fece parecchio rumore non solo perchè metteva in discussione la cultura dominante nelle agenzie di comunicazione, fino a pochi anni fa. Ma soprattutto perchè in tanti l'avrebbero voluta scrivere, quella sceneggiatura.

Guidato da quei ricordi, non ho potuto quindi fare a meno di notare come, nella filosofia della polpetta, si materializzi la metafora di ciò che sta succedendo nel mondo della comunicazione. Per una felice combinazione avevo proprio pubblicato su questo giornale, qualche mese fa, lo spot capolavoro di Joe Sedelmeir per Wendy  ed un primo, accorato grido di allarme. (leggi news).

Come non consideare infatti polpettine scadute le incredibili offerte di alcune società di consulenza che improvvisamente aprono divisioni di comunicazione? Alcune lo annunciano con i tradizionali squilli di trombe, altre lo fanno pubblicando sui maggiori social dei video corporate degni delle peggiori agenzie di pubblicità degli anni '80. E come non considerare polpettoni le proposte commerciali di tante società che fino a poco fa producevano corposi fogli di excel con pianificazioni media e che improvvisamente diventano centri di produzione creativa? Che mix di sapori producono alcune holding quando, con un coupe de poignet degno di un grande chef stellato, raccolgono e mescolano tutte le agenzie verticali in un team multidisciplinare dedicato ad un grande cliente, dichiarando con enfasi: “E' la nostra risposta alle società di consulenza, perchè solo noi sappiamo gestire tutti gli aspetti della equity della marca”?

E' il vantaggio di chi, come me, non solo ha vissuto i grandi momenti in cui i Creativi erano considerati dai Clienti i supremi e meravigliosamente reputati “Custodi della Marca”. Ma gode dell'indiscutibile vantaggio di esser un felice indipendente. Puoi osservare le polpette che vengono messe sul mercato e domandarti come sia mai possibile che i sapori si stiano omologando in modo così grossolano. Quello che era un mestiere colto, intelligente e pieno di originalità, in tanti casi sta diventando sempre più simile ad un menu di un terribile fast food. Tante definizioni roboanti, tante confezioni colorate. Ma alla fine, dentro al panino, il Cliente disattento potrebbe trovare, con un abile mix di ingredienti avanzati, una tondissima e microscopica polpetta riscaldata.

E ritorna la solita, classica domanda: in un mondo della comunicazione sempre più tecnologico, digitale, guidato dai dati e dall'Intelligenza Artificiale, come riconoscere il talento, l'originalità, l'efficacia, l'idea vincente? Davanti ad un mercato in cui tutti offrono tutto, anzi di più, sapientemente mescolato ed impolpettato, basta farsi sempre una semplice, cruciale domanda: “Where is the Beef?”

 

Pasquale Diaferia

@pipiccola