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mizionewsletter. Il copywriter di Dio. La lezione comunicativa di Papa Francesco: "La realtà è superiore all'idea. I numeri dicono quanto è grande il tuo pubblico, ma non come raggiungere il cuore"

Nel giorno in cui è stato eletto come 267° Vescovo di Roma il il cardinale Robert Francis Prevost, in attesa di conoscerne lo stile comunicativo, pubblichiamo l'interessante riflessione di Mizio Ratti, Direttore Creativo e Partner delle agenzie Enfants Terribles e Hallelujah, dedicata alle doti comunicative uniche di Papa Francesco, recentemente scomparso, che aveva scelto la semplicità come superpotere per entrare in contatto con tutti i fedeli.

Nel giorno in cui il  Conclave ha eletto come 267° Vescovo di Roma il cardinale Robert Francis Prevost, vogliamo ricordare il suo predecessore, Papa Francesco e la sua grande capacità comunicativa, ben descritta nella mizionewsletter da Mizio Ratti,  nome noto nell'industry, Direttore Creativo e Partner delle agenzie di comunicazione Enfants Terribles e Hallelujah.

Riportiamo di seguito l'interessante riflessione di Mizio Ratti dal titolo 'Il copywriter di Dio' in cui si descrivono le doti comunicative uniche del Pontefice appena scomparso.

Ciao,

non parlerò di religione. Né di fede. Né di teologia. Parlerò di comunicazione. Perché che tu sia credente o meno, una cosa è certa: Papa Francesco è stato un comunicatore straordinario.

E no, non sto parlando di strategie di marketing celestiali o di campagne virali dal Vaticano. Parlo di come un uomo, con parole semplici e gesti autentici, sia riuscito a parlare al cuore di milioni di persone.

Più di 250.000 persone che hanno partecipato ai suoi funerali, l’imprevisto incontro tra Trump e Zelensky e l’inattesa offerta di pace di Hamas a Israele il giorno del suo addio, sono alcune conseguenze dell’emozione che ha suscitato la sua scomparsa.

 

La semplicità come superpotere comunicativo.

In un'epoca in cui la comunicazione è spesso un esercizio di stile, un gioco di parole vuote e slogan accattivanti, Papa Francesco ha scelto la via più difficile: quella della semplicità.

Dal suo primo "Fratelli e sorelle, buonasera!" affacciato al balcone di San Pietro, ha impostato un tono colloquiale, diretto, umano. Ha scelto di vivere in un alloggio modesto, ha salutato con un semplice "buon pranzo" dopo l'Angelus. Gesti che nella loro apparente banalità hanno avuto un impatto comunicativo potentissimo.

"La Chiesa non è una dogana" ha detto una volta. E ancora: "Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze". Frasi che non sembravano uscite dalla penna di un teologo, ma da quella di un copywriter.

Il suo linguaggio era disseminato di metafore: "Il confessionale non è una tintoria che toglie le macchie dei peccati", "i chiacchieroni sono terroristi che buttano la bomba e se ne vanno", "alcuni preti sono untuosi come le sardine". Immagini concrete, viscerali, che restavano impresse.

"Chi sono io per giudicare?" ha risposto quando gli hanno chiesto degli omosessuali. Cinque parole che hanno fatto più per il riposizionamento della Chiesa di quanto avrebbero potuto fare intere campagne di comunicazione. Una frase diventata headline mondiale, trend topic, oggetto di dibattito.

In un'epoca ossessionata dai dati, dai numeri, dalle metriche, Francesco ha saputo ricordarci che dietro ogni statistica c'è una persona. Mentre i brand inseguono algoritmi e big data per ottimizzare i messaggi, lui parlava di "cultura dello scarto" e di "globalizzazione dell'indifferenza". Ha contrapposto all'esattezza sterile dei numeri il calore imperfetto dell'esperienza umana.

Papa

 

"I pastori devono avere l'odore delle pecore" diceva. E questo odore lui lo aveva davvero. Perché prima di comunicare un messaggio lo viveva. La sua non era una strategia, ma il riflesso di una coerenza personale che traspariva in ogni parola.

E poi c'era la sua abilità nel creare momenti memorabili. Come quando ha abbracciato l'uomo sfigurato dalla neurofibromatosi, creando un'immagine potente che nessun art director avrebbe potuto progettare. O quando ha detto che i cristiani non dovrebbero avere "la faccia da funerale" ma essere testimoni di gioia. O ancora quando ha definito la Chiesa "un ospedale da campo dopo la battaglia" invece che un club esclusivo.

Certo, Francesco non è stato immune da gaffe e scivoloni comunicativi. Come quando ha usato il termine "frociaggine" parlando dei seminari, ha definito alcune suore "zitelle", o si è riferito alle famiglie numerose dicendo che i cattolici "non devono fare figli come conigli". Per non parlare di quando ha perso la pazienza con una fedele che gli tirava la manica, strattonandola.

Ma paradossalmente questi errori non hanno intaccato la sua credibilità, anzi, l'hanno rafforzata. In un'epoca di comunicatori iper-controllati e politically correct (escluso Trump, naturalmente), le sue imperfezioni ci hanno ricordato che anche il Papa è umano. E in un certo senso, questi momenti di autenticità grezza hanno contribuito a renderlo ancora più vicino alle persone comuni.

Mentre il marketing digitale si perde in ottimizzazioni e segmentazioni sempre più raffinate, lui ci ricordava che la comunicazione è prima di tutto un atto umano. Non un algoritmo, non un grafico, non una dashboard. Ma un ponte tra persone. Tra imperfezioni e fragilità.

In un mondo dove la presunta infallibilità dei dati è diventa quasi un nuovo dogma, Francesco ha portato la verità disordinata dell'esperienza vissuta. "La realtà è superiore all'idea", ha scritto nella sua esortazione apostolica. Era forse questa la sua più grande lezione di comunicazione: in un'epoca di realtà aumentata, virtuale, filtrata e misurata fino all'ossessione dai social, la verità nuda e cruda ha ancora un potere dirompente.

La lezione più grande di Francesco per chi fa comunicazione? I numeri ti dicono quanto è grande il tuo pubblico, ma non come raggiungere il cuore. Le metriche ti dicono cosa funziona, ma non perché una storia risuona nell'anima. I dati possono ottimizzare un messaggio, ma solo l'umanità e la capacità di comprendere le persone può renderlo memorabile.

Se un uomo di 88 anni, senza social media manager e senza consulenti d'immagine, è riuscito a parlare al cuore di milioni di persone meglio di brand con budget milionari e oceani di dati a disposizione, è il caso di ripensare a quello che crediamo di sapere sulla comunicazione efficace.

 

Mizio Ratti