Ricerche

Mpi e American Express annunciano i nuovi trend della meeting industry

Partecipanti in crescita, ma stabile il numero dei meeting; inflazione e recessione al primo posto tra i fattori critici; tecnologia e procurement sempre più fondamentali. Questi alcuni dei risultati della ricerca Future Watch 2008, somministrata a oltre 22mila database di meeting manager.
FW1.JPGMeeting Professionals International, community internazionale che riunisce oltre 22.000 professionisti di convegni in 68 capitoli e club di 60 differenti paesi, si impegna nello studio del settore della comunicazione e nell'aggiornamento e formazione dei propri associati.

In linea con la sua mission, MPI ha realizzato, in collaborazione con American Express, l'inchiesta Future Watch 2008, che sortisce da 1.643 risposte a questionari inviati a oltre 22.000 database di corporate o independent meeting manager fra Europa, Canada e Stati Uniti.

In particolare, 732 questionari provengono da fornitori, 611 da corporate meeting manager (ossia dalle figure aziendali a vario titolo incaricate di sovrintendere agli eventi) e 265 da agenzie specializzate (independent meeting manager).

Quest'anno, dunque, le risposte sono molte: 500 in più della già prolifica edizione 2007, e saranno ampiamente discusse durante la prossima European Meeting and Events Conference (EMEC), il nuovo appuntamento paneuropeo della community, in programma a Londra dal 18 al 20 aprile.

FW2.JPGIl primo dato dice che, alla fine del 2008, gli eventi risulteranno sostanzialmente identici, come numero, a quelli del 2007. In generale i planner che prevedono di realizzare cento o più meeting nell’arco dell’anno calano da 148 a 125, e sono in grande maggioranza statunitensi. L’assestamento dunque c’è, ma è su livelli medi.

Ciò che invece aumenta sensibilmente, e che controbilancia, almeno in parte, la mancata crescita della quantità di eventi, è il numero di partecipanti. I corporate planner prevedono che le loro audience cresceranno dell’11,2%, i planner associativi del 18,3%, mentre il dato totale, tenuto conto anche dei meeting istituzionali, aumenterà del 19,3%.

A fronte di questa realtà sostanzialmente stabile, cambieranno anche i budget, gli obiettivi e le strategie, che divengono prioritari per il 30% dei manager intervistati. E sebbene i preventivi siano attesi in diminuzione del 9,3% per le associazioni, i planner aziendali li attendono in crescita dell’11,4%, e in generale la meeting industry ne indica un aumento del 22,6%: un trend molto positivo, che frutterebbe, se costante, un raddoppio del giro d’affari in 3 anni.

Da notare che più di un quarto degli organizzatori (e quasi la metà di quelli aziendali) lavorano in società i cui budget per eventi sono superiori a 2,5 milioni di dollari. Ciò contrasta positivamente il trend di crescita dei meeting low budget (ossia dai costi inferiori a 50mila dollari). 
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Se, nel 2007, la maggioranza degli interpellati identificava nel terrorismo il principale fattore esterno d’influenza sulla meeting industry, nel 2008 questa voce precipita addirittura al decimo posto (con appena il 13,6%) e, in vetta alla classifica, figurano l’inflazione e la prospettiva della recessione economica.

Oltre i due quinti dei fornitori temono che una sfavorevole congiuntura comprometta i loro affari, e nella stessa percentuale il timore è espresso dai planner delle associazioni verso l’inflazione e l’aumento del costo della vita. In dettaglio, la paura di recessione è un 'top concern' per il 40% degli organizzatori americani, per il 24,1% degli europei e per il 22,8% dei canadesi. Anche l’inflazione è più temuta negli Stati Uniti (è stata indicata come fattore critico dal 36,2% dei planner locali, contro il 20% dei canadesi e degli europei).

Tra gli altri fattori d’influenza sono indicati i costi della benzina e dei propellenti, i cambiamenti tecnologici, il quadro legislativo e le questioni ambientali (collocate ai primi tre posti dal 19% degli interpellati).

Gli strumenti tecnologici rappresentano ciò su cui i meeting planner contano maggiormente, per massimizzare l’efficacia dei propri eventi. Al primo posto figurano i tool di verifica del feedback post-evento (indicati dal 54% dei questionari), che soddisfano quasi la metà degli utenti (contro un 27,1% insoddisfatto dei prezzi e un 22% deluso dalle funzionalità). Poi, in ordine decrescente: gli strumenti per facilitare i processi di RFP (Request for Proposal), indicati dal 39,7%; i software d’interattività (39,4), i siti Internet (39,3), gli audiovisivi (38), i tool per la logistica (35,4), i software Crm (28,9), gli strumenti di rilevazione delle presenze (28,8) e via dicendo sino al fanalino di coda, ossia i tool per accoppiare partecipanti posti su pari livello professionale (indicati solo dal 19% dei questionari e certamente più diffusi in alcune aree degli Stati Uniti che altrove).

Da segnalare che per ciascuna voce c’è uno 'zoccolo duro' dal 5 al 7% che dichiara di non darle alcuna importanza o addirittura di non conoscerla neppure. E di tutte, circa il 35% lamenta i costi eccessivi.
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Una sorpresa positiva riguarda invece la diffusione degli eventi via web, prevista in crescita da 2 questionari su 5 (e da circa la metà dei corporate planner). Una tendenza che comunque non inficia la preferenza - ancora unanime - per i meeting face to face.

Alla voce outsourcing si registra una crescita graduale. Il 14,6% degli eventi (contro il 12,8% del 2007) sarà dato in appalto. Le aree più attive in questo senso saranno il Canada (i cui meeting planner esternalizzeranno il 40,3% in più rispetto allo scorso anno) e l’Europa (+26,9%). Tuttavia, ancora nella metà dei casi (50,5%) le aziende accentrano al proprio interno le responsabilità organizzative.

Diverso è il discorso del dipartimento aziendale cui fanno capo gli eventi. Tre questionari su quattro, e circa l’85% degli europei, affermano che il procurement (ufficio acquisti) gioca un ruolo nelle decisioni strategiche. In una scala da 1 a 5, il livello di coinvolgimento del procurement è pari al 3,26 in Europa, al 2,48 in Canada e al 2,68 su tutto il campione. Detto ciò, vanno fatti alcuni distinguo:
1) solo il 24% dei partecipanti ha affermato che l’ufficio acquisti ha saputo condurre a risparmi significativi;
2) solo il 26,7% si è detto certo che il procurement abbia saputo contrattare camere migliori, location più adeguate o servizi di livello più elevato;
3) il 42%, infine, ha lamentato che l’azione dell’ufficio acquisti ha creato 'significative frustrazioni e difficoltà' nei processi di contrattazione, nella tempistica o nel decision making.

FW5.JPGTuttavia, il 45% (58,8% in Canada e 66,7% in Europa) prevede il ruolo del procurement in ascesa nel 2008. Forse è per questo che le agenzie Pco stimano il proprio giro d’affari in calo del 17%.

Quando l’azienda contatta direttamente i fornitori, al 39,2% il campione esprime la volontà di volersi affidare per tutto il 2008 agli alberghi di città, che offrono il miglior rapporto qualità-prezzo, lasciando il 26,1% ai più costosi resort, seguiti dai grandi centri congressi, meno onerosi, ma non attrezzati per l’ospitalità.

Lo split delle singole voci ribadisce questa conclusione: i city hotel sono preferiti dai corporate (39,1%), dagli association manager (41,5%) e dalle stesse agenzie (37,3%), mentre sui resort, che pure restano la seconda voce, si registra già un calo drastico (20,4% per le associazioni, 28,3% per le agenzie e appena l’8,8% per gli enti governativi).

Circa i due terzi degli interpellati prevedono le tariffe alberghiere in crescita per il 2008, a fronte del 22% che le vede stabili e del solo 0,7% che ottimisticamente le crede in diminuzione.

FW6.JPGLe aziende dichiarano di aver maggiore sensibilità (81%) verso chi abbassa i prezzi, adotta contratti flessibili (78%), offre servizi extra e amenità on site (37%) ed è più proattivo verso di esse (29%). Viceversa i fornitori mettono sì al primo posto i prezzi competitivi (benché solo col 53,3% delle risposte), ma al secondo fanno seguire la rapidità di risposta alle RFP (52,6%) e al terzo le amenità on site (46,7%). Solo il quarto posto va alla proattività del partenariato (39,1%).

Nel 2007 il 90% degli americani dichiarava di voler effettuare i propri eventi all’interno degli Stati Uniti, relegando Canada ed Europa al 3% e addirittura dall’1%. Future Watch 2008 esamina il trend da un altro punto di vista. Nonostante i numeri, un quarto dei planner canadesi e appena il 7,4% degli statunitensi afferma che questa regionalizzazione ha portato a una riduzione significativa dei viaggi all’estero degli americani - e pur tuttavia il 58% dei canadesi e il 33,6% dei planner Usa si attendono un ulteriore calo delle trasferte nel 2008.

Per scaricare il file pdf completo della ricerca: www.mpiweb.org/cms/mpiweb/mpicontent.aspx?id=14098.