Scenari
IPG Warehouse. Mobile e intelligenza artificiale. Pro e contro
Giuseppe Caiazza, Ceo IPG Mediabrands / McCann Worldgroup Italia, riflette sulle implicazioni della sempre maggiore diffusione di mobile e intelligenza artificiale.
Mi trovo davanti a uno schermo su cui è proiettato un video di otto anni fa (febbraio 2010): parla Eric Schimdt - allora amministratore delegato di Google - e quello che dice è: 'Tra qualche anno sarà tutto mobile'. In otto anni non solo questa “premonizione” è diventata realtà, ma ci sembra anche scontato che sia così. Ve lo immaginate un mondo in cui non si possa fare un acquisto dal nostro telefonino? O in cui se vi viene fame, ma è domenica e non avete voglia di uscire, non possiate ordinare un pasto da una delle tante piattaforme di food delivery? O, anche più semplicemente, immaginatevi di dover raggiungere un posto che non conoscete e vi troviate senza connessione, niente Google Maps, niente rete per fare una telefonata… Cosa fareste?
Cosa faremmo, oggi, senza la tecnologia mobile? E come è potuto accadere tutto così velocemente? Sembra un’eternità che facciamo uso del mobile, ma non è così: sono fenomeni esponenziali, che accorciano i tempi impiegati per percorrere una stessa distanza. Ci sono voluti secoli per inventare la prima linea telefonica, rimasta pressoché uguale per circa un secolo, in 40 anni poi è successo di tutto: il primo telefono cellulare, il primo smartphone, le videochiamate, le app, l’intelligenza artificiale.
Cinque i punti cardine di questo cambiamento, raccolti su IPG Warehouse, la piattaforma che analizza ricerche ed approfondimenti legati a temi sociali e di attualità.
Più velocità, più opportunità
Nel giro di pochi anni sono comparse e diventate comuni cose che non avremmo saputo immaginare. Nel 2010 l’unico modo per fare una telefonata video era via Skype, oggi possiamo farlo da ogni app di messaggistica che usiamo normalmente per comunicare con amici e colleghi. Le app oggi ci conoscono più di quanto ci conosciamo noi stessi. Pensate a Spotify che vi suggerisce la musica che vi potrebbe piacere (e ha quasi sempre ragione). O ad Uber che è probabilmente in grado di stimare e ottimizzare gli spostamenti delle persone meglio del trasporto pubblico grazie proprio all’utilizzo dei dati. O a Facebook, che sa molte più cose di noi stessi di quante noi stessi ne sappiamo (ci ricordiamo tutti i like che abbiamo messo a tutti i nostri amici)? Ci stiamo insomma spostando verso un’economia basata sui dati e sulla capacità di attivarli per offrire servizi, prodotti e comunicazione sempre più mirata alle esigenze del singolo individuo grazie ad applicazioni e piattaforme che diventano ecosistemi aperti che interagiscono tra di loro. Con la nuova tecnologia 5G che ne diventa il propulsore, permettendo la trasmissione dei dati e delle informazioni a velocità siderali
Più velocità, più rischi.
Questa velocità però ha un prezzo. Non si sono accorciati solo i tempi per coprire le distanze, ma anche quelli della memoria umana. La tecnologia accorcia tutto: il nostro cervello è così tanto stimolato e così tanto concentrato sul presente che tutto è, o deve essere, immediato. Conseguentemente ricordiamo meno e siamo più vulnerabili alle cosiddette fake news, che a volte, come abbiamo potuto constatare negli ultimi anni, possono condizionare pesantemente i comportamenti di intere comunità. L’indigestione di informazioni ci rende anche più superficiali, mettendo a rischio anche la nostra sicurezza. Ci dimentichiamo della nostra privacy e non stiamo attenti a molte cose di cui nella vita reale, invece, ci preoccuperemmo. Se uno sconosciuto ci fermasse per strada e ci chiedesse il nostro indirizzo email, non glielo daremmo. Allora perché lo lasciamo con così tanta facilità sul web, dove spesso non vediamo nemmeno la faccia di chi ce lo sta chiedendo, né ne conosciamo le intenzioni? Il caso Facebook e Cambridge Analytica è solo la punta di un gigantesco iceberg.
Regolamentazioni più stringenti ed educazione digitale
Poiché esiste il rischio concreto di concentrare sempre di più il potere delle grandi piattaforme digitali che sono in grado più di altri di utilizzare appieno i dati e le tecnologie, sono quindi necessarie, verrebbe da dire quasi naturali, azioni molto più stringenti da parte dei legislatori a tutela dei cittadini. In questo senso, la direttiva GDPR che debutta il prossimo 23 Maggio in Europa, rappresenta un primo ed importante tentativo di disciplinare meglio il gigantesco baratto che ha coinvolto tutti noi che abbiamo ceduto informazioni private, a fronte di accesso a servizi gratuiti (e-mail, app, social network, etc…) senza minimamente interessarci a dove i nostri dati andavano a finire o, peggio ancora, a quale uso si facesse degli stessi. Ma sarà la nostra educazione digitale (e soprattutto quella dei nostri figli), insieme alla consapevolezza di questi aspetti, che, al di là della regolamentazione, rappresenterà l’aspetto chiave per una chiarezza di rapporto tra l’utente e il mondo digitale.
Baby Intelligenza Artificiale...
L’Intelligenza Artificiale è stata protagonista della recente edizione del Mobile World Congress. Va chiarito però che siamo ancora a uno stadio elementare, è come se fosse un bambino di 3/4 anni, quindi con possibilità di crescita esponenziale nei prossimi anni. Le interazioni oggi possibili sono infatti abbastanza banali, le più diffuse e visibili sono quelle vocali, ma da Alexa a Siri a Cortana, tutte le assistenti vocali parlano ancora in maniera frammentata e sconnessa. Nel giro di pochi anni invece riusciranno a fare conversazioni più fluide portando con sé anche un coinvolgimento emotivo perché verranno introdotti anche elementi visuali e non solo uditivi. Viviamo in un mondo che produce sempre più dati e che ha già a disposizione tutte le tecnologie per sfruttarli e renderli 'intelligenti'… in altre parole, l’intelligenza artificiale diventerà presto adulta…
Grandi opportunità per i brand
Dal punto di vista creativo questa è una grandissima opportunità: i brand devono incominciare a pensare strategie adatte e adattabili all’Intelligenza Artificiale e al grande tema della‘customer centricity’, cioè della capacità di un brand di ingaggiare e costruire una vera relazione con l’utente offrendo contenuti, messaggi offerte e prodotti per lui rilevanti, in qualsiasi momento.
Una sfida affascinante che verrà ulteriormente velocizzata dagli sviluppi esponenziali della ‘Realtà Virtuale’. Solo quelli che riusciranno ad abbracciarla per tempo, saranno in grado di affrontarla adeguatamente e vincere. È chiaro però che, di fronte a così tante opportunità, anche il paradigma della creatività cambia radicalmente, trasformandosi in un esercizio sempre meno individuale, dove la capacità di aggregare competenze e tecnologie diverse, diventerà il vero fattore critico di successo.
SP