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Content con Vista - media, marketing & AI di Emanuele Landi. Dal cannone allo stetoscopio: serve un Chief Content & Community Officer

Il Founder di Landi Consulting, partendo dalla consapevolezza che oggi lo spot non è più 'the king' in tv, che i film tradizionali catturano un'attenzione più distratta di un tempo e non incrementano l'efficacia utilizzando i creator “alla vecchia maniera”, riflette sulla necessità di una nuova figura strategica per le aziende in grado di "mettere insieme spot, creator, streaming e community, di ascoltare, capire, orchestrare. Perchè i brand che vogliono crescere devono fare i conti con la loro community".

C’era un tempo in cui lo spot era la bacchetta magica del marketing. Il 30 secondi era il re: tutte le risorse stanziate per lui, il marketing ridotto (erroneamente) a pura pubblicità. Piazzavi il tuo king in TV con la giusta pressione e il gioco era fatto.

Oggi lo spot c’è ancora. I grandi marchi lo usano come paradigma rassicurante. Ma la domanda — provocatoria ma necessaria — è: ce n’è davvero ancora bisogno? E soprattutto, cos’è uno spot oggi?

Secondo il Journal of Advertising Research, oggi serve il 25% di pressione in più per ottenere lo stesso effetto di un tempo. Intuibile: frammentazione dei mezzi, attenzione parcellizzata, duplicazioni. Per aprire la scatola di tonno serve il bazooka. Più budget, meno resa.
E la risposta che molti mi confidano off records è sempre la stessa: “Pianifico i primi due-tre operatori e mi tolgo il pensiero”.


Dove si è spostato il pubblico

In Italia, oltre il 60% del consumo video delle nuove generazioni (18–34 anni) avviene già su piattaforme digitali (YouTube, social e streaming), contro meno del 40% sulla TV tradizionale (fonte: Comscore 2024).

YouTube da solo raggiunge 42 milioni di italiani ogni mese, più di qualunque broadcaster tradizionale (fonte: Google).

AGCOM conferma la crescita strutturale del digitale: oltre 36,5 milioni di utenti sui servizi VOD gratuiti e 15,9 milioni su quelli a pagamento (2024)

Alla TV lineare rimane spazio, ma soprattutto sugli eventi live: sport, grandi show, momenti “tutti insieme davanti allo schermo”. E qui scatterebbe la solita ricetta: spot a Sanremo, quattro storie con un creator e via. Funziona? Può darsi. Ma il punto non è questo.


Il vero tema: come funziona l’attenzione

Gli spot tradizionali garantiscono controllo: brand safety, messaggio intonso, zero rischi.
Ma l’attenzione che catturano è sempre più distratta.
E usare i creator “alla vecchia maniera” — un paio di storielle carine e una promo sbrigativa — non sposta granché.

I dati lo dicono chiaramente:

  • I creator generano fino all’80% di brand recall vs il 40% degli spot (Nielsen).
  • L’influencer marketing porta un ROI medio di 5,2 a 1 (vs 1,2 della TV tradizionale in UK, Ebiquity).
  • Il 70% delle decisioni di acquisto Gen Z è influenzato da community e creator (Deloitte).

Questi non sono “numerini da report”: sono il segnale di una democratizzazione radicale delle scelte del pubblico.
Il brand non è più granitico, scolpito nel marmo. È dinamico, evolve con la cultura, i bisogni e le conversazioni reali.


Il brand lo fa chi lo usa

Vale per chiunque, non solo per i giganti.
Che tu venda biscotti o soluzioni IT, il brand oggi lo fa chi lo usa, non chi lo fabbrica.
Bisogna ascoltare: capire bisogni reali, problemi concreti, percezioni nella testa del cliente.

Nel mondo dell’intermediazione era più facile: c’era chi ti diceva cosa pensare — la TV, le multinazionali, gli esperti certificati.
Oggi no. Non vuol dire cedere ai capricci del pubblico. Vuol dire che le ragioni d’acquisto sono cambiate e non coincidono più col messaggio patinato e perfetto.


Marchi in crisi, marchi che ascoltano

I brand legacy sono in difficoltà. Nike è un esempio.
Chi resiste? Chi ha capito che serve creare cultura di brand. Non vendite lampo da performance marketing, ma valore esponenziale e duraturo.

Guardiamo allo streaming: Netflix ha vinto creando un’adesione culturale quasi religiosa, parlando con il suo pubblico e cambiando continuamente metodo.

Ne ho parlato anche nel mio podcast:

  • Con Chiara Grillo di Unilever, che ha raccontato come la democratizzazione del racconto unita all’AI abbia cambiato il destino di un brand storico come Algida.
  • Con WeRoad, che non vende viaggi ma entusiasmo ed esperienze, e lascia che siano i clienti a fare il brand.

Serve un nuovo ruolo

Per questo oggi serve un Chief Content & Community Officer.
Non un supereroe, ma qualcuno che sappia:

  • mettere insieme spot, creator, streaming e community,
  • usare lo stetoscopio più che il cannone,
  • ascoltare, capire, orchestrare.

La TV non è morta, per carità. Ma non può più essere l’unico centro del villaggio.
I brand che vogliono crescere devono accettare una realtà semplice: non decidono più da soli chi sono. Lo decide anche la loro community.