
Branded Content
Content con Vista - media, marketing & AI di Emanuele Landi. Dal programmatic al generalismo digitale: il nuovo ciclo del contenuto tra global DSP, creatività e broadcaster nazionali
Da questa settimana la rubrica in esclusiva su AdvExpress, di Emanuele Landi (in foto), founder di Landi Consulting, cambia pelle. Il mercato dei media evolve rapidamente ed è importante offrire punti di vista larghi e analisi di case study che impattano profondamente il mondo del media e dei contenuti. Da un paio di settimane abbiamo iniziato a parlare delle evoluzioni dei media e della distribuzione del contenuto con riflessioni approfondite su alcuni casi studio e innovazioni globali e continentali.
Da oggi la rubrica assume il titolo di Content con Vista - media, marketing & AI. Analizzeremo ed approfondiremo casi studio e cambiamenti strutturali nel mondo del media, del contenuti e della pubblicità spaziando fino all’impatto pratico del’IA e sul futuro dei contenuti aziendali ed editoriali.
Per anni il programmatic advertising è stato raccontato come lo strumento che avrebbe reso più efficiente la pubblicità: aste in tempo reale, inventory invenduto rimesso a valore, abbattimento dei costi di transazione e prezzi più competitivi per gli inserzionisti. Oggi, però, la traiettoria sembra opposta.
L’annuncio della partnership fra Netflix e Amazon Ads — che renderà disponibile l’inventory pubblicitaria della piattaforma streaming attraverso Amazon DSP in 12 mercati, inclusa l’Italia — segna una svolta epocale. Non si tratta solo di un accordo tecnico, ma di un cambio strutturale: il programmatic non è più la corsia “cheap” del digitale, ma la porta d’accesso ad inventory super-premium, con CPM che si aggirano intorno ai 35 euro, più alti di quelli della TV lineare.
Centralizzazione globale, ridefinizione del locale
Con l’ingresso di Netflix in Amazon DSP, un HQ globale di un grande advertiser può acquistare inventory pubblicitaria su più Paesi con un’unica piattaforma.
HQ: ottiene listini uniformi, maggiore potere negoziale, accesso scalabile e dati integrati.
Netflix: protegge il valore del proprio inventory, evitando sconti aggressivi nei mercati meno efficienti.
Team locali: perdono la leva della negoziazione, ma mantengono un ruolo creativo, culturale e di integrazione con i media nazionali.
Questa spinta verso i DSP globali rappresenta una vera e propria delocalizzazione del mercato pubblicitario. Le grandi centrali globali e i marketer internazionali rafforzano il controllo centrale, mentre i centri media nazionali rischiano di diventare meri esecutori.
La leva dei volumi globali
Aggregando budget miliardari, gli HQ globali possono negoziare con Netflix, Amazon o Disney condizioni che nessun mercato nazionale riuscirebbe a ottenere: sconti su larga scala, priorità di accesso, deal pluriennali.
Il paradosso è evidente: il programmatic era nato per abbassare i costi, oggi centralizza e uniforma prezzi premium, ma allo stesso tempo dà agli HQ globali una leva negoziale molto più forte di qualunque centro media locale.
OTT globali vs broadcaster nazionali
Il confronto con i broadcaster tradizionali, come MFE, Rai Pubblicità o Sky Italia, è inevitabile.
Dimensione |
OTT globali (Netflix, Amazon, Disney+) |
Broadcaster nazionali (MFE, Rai, Sky Italia) |
Scala |
Accesso multi-country via DSP globali |
Focus locale, anche se con brand paneuropei |
Prezzo |
CPM premium (30–40 €), uniformi |
CPM più bassi, soggetti a negoziazione locale |
Dati |
Proprietari, integrati con clean room e retail media |
Campionari e data partnership limitate |
Logica di vendita |
Accordi HQ globali, commitment pluriennali |
Trattative annuali con centri media nazionali |
Forza distintiva |
Reach internazionale + targeting avanzato |
Relevance culturale, eventi nazionali, contesto locale |
Rischio |
Lock-in e standardizzazione |
Marginalizzazione sui budget globali |
La nuova MFE ad esempio dovrà reagire: puntare su alleanze pan-europee, rafforzare le proprie capacità di addressable TV, valorizzare il contenuto locale come asset irripetibile e spingere a livello regolatorio per riequilibrare la concorrenza con i giganti globali. E poi c’è Youtube che meriterebbe un capitolo a parte: Mountain view sta imponendo un suo standard free-to-online attraverso i suoi media che sono i creator. Una potenza devastante in US dove domina già la share of voice e un serio player anche in Europa con DV360 che si pone come la piattaforma generalista digital per eccellenza con pricing vari e segmentati ed una quota premium (con CPM cmq più convenienti degli altri OTT) che sta crescendo: in US Youtube ha raggiunto l’11.6% di share sulle CTV, un dato clamoroso che va preso come segnale anche per l’Europa perché i creator stanno diventando il nuovo standard di contenuto.
La cornice: il contenuto come nuova moneta
Al centro di questa trasformazione c’è il contenuto. Le piattaforme OTT stanno evolvendo da servizi on demand a veri e propri generalisti digitali: non solo serie e film, ma anche canali lineari (si pensi all’esperimento Netflix–TF1), sport, eventi live.
In questo modello, il contenuto diventa:
- Veicolo pubblicitario → genera inventory premium e attenzione qualificata.
- Generatore di dati → ogni interazione produce insight granulari.
- Input per nuovi contenuti → i dati alimentano algoritmi predittivi che creano prodotti sempre più adatti al pubblico.
- Ciclo autoalimentato → advertising più mirato, contenuto più rilevante, inventory ancora più premium.
Un circolo virtuoso in cui il valore non è più solo nello spazio pubblicitario, ma nel flusso continuo di contenuto + dati.
La trasformazione creativa del messaggio pubblicitario
Questa rivoluzione non riguarda solo i modelli di buying, ma anche la forma stessa della pubblicità.
Per decenni la logica dominante è stata quella dell’“one fits all”: un unico spot pensato per un’audience di massa, replicato uguale su tutti i canali. Oggi questo paradigma è in crisi.
- Dati come carburante creativo: la mole di dati generata dalle piattaforme serve a ispirare e plasmare il contenuto pubblicitario. Non più analisi ex post, ma ottimizzazione in tempo reale.
- Tecniche bandit applicate alla pubblicità: si possono testare simultaneamente più varianti creative e ridistribuire gli investimenti verso quelle che performano meglio mentre lo spot è on air.
- Fine dell’era broadcast uniforme: la pubblicità non è più un pezzo unico, ma una matrice modulare che si adatta ad audience e contesti diversi.
- La scala globale come moltiplicatore: con l’AI, il budget creativo non è più un costo passivo ma un asset strategico, perché genera varianti e adattamenti capaci di moltiplicare il ritorno.
La creatività diventa così un processo dinamico, misurabile e scalabile: non solo storytelling, ma story evolving.
Conclusione
La pubblicità si sta polarizzando:
- Da una parte i “generalisti” globali digitali capaci di offrire inventory premium centralizzate, dati integrati e potere negoziale concentrato sugli HQ internazionali.
- Dall’altra i broadcaster nazionali, che restano centrali nella cultura locale ma rischiano la marginalizzazione sui grandi budget globali.
Ma il vero punto non è solo dove si compra pubblicità: è come il contenuto — editoriale e pubblicitario — diventa la moneta centrale del nuovo ecosistema.
Un ciclo autoalimentato in cui creatività, dati e tecnologia predittiva trasformano i costi in investimenti e riportano la pubblicità al suo centro originario: essere contenuto essa stessa.