Foreign Office
In arrivo il report sui ‘rebates’ USA, realtà diffusa più di quanto si credesse
La media industry statunitense sta trattenendo il fiato in attesa di un report sullo stato della trasparenza e la reale diffusione dei ‘rebates’ (DN): una pratica sempre negata dagli operatori USA ma che stando alle prime indiscrezioni sul report dell’Association of National Advertisers è in realtà piuttosto diffusa. La reazione a tali voci da parte delle holding non si è fatta attendere.
Rebates = kickbacks. Come a dire: i DN sono tangenti.
Sono parole dure quelle che circolano negli Stati Uniti in vista della prossima pubblicazione del report commissionato dalla ANA - Association of National Advertisers (omologa della nostra UPA) a due società di consulenza, K2 Intelligence ed Ebiquity, che ha richiesto 8 mesi di ‘indagini’ e oltre 150 interviste in forma anonima a professionisti di agenzie, concessionarie e aziende.
Secondo le prime indiscrezioni, sembra infatti che le loro risposte abbiano confermato come la pratica dei ‘rebates’ - che in Italia sono definiti Diritti di Negoziazione - sia molto più diffusa di quanto non si pensasse: storicamente, infatti, benché conosciuti, applicati e in molti casi ormai anche accettati alla luce del sole in altri paesi - in Europa, in Cina o in Brasile, per esempio - gli sconti o i ristorni da parte delle concessionarie alle agenzie sotto forma di cash, spazi gratuiti o altri ‘benefit’, negli Stati Uniti non sono considerati una pratica comune e tanto meno legale.
I risultati dello studio potrebbero quindi creare negli Stati Uniti una vera e propria “tangentopoli media”, alzando ben oltre il limite le preoccupazioni dei marketer sul fatto che le agenzie media non abbiano a cuore l’interesse dei clienti ma il proprio, preferendo investire sui media dai quali l’agenzia stessa trarrà maggior profitto anziché quelli più adatti alla strategia, al target e in ultima analisi al ROI delle campagne dei brand.
Cresce dunque l’allarmismo anche fra le grandi holding della comunicazione, che però, prima ancora della pubblicazione, hanno difeso pubblicamente la legalità del proprio operato.
“Siamo in regola con tutte le leggi degli Stati Uniti e non accettiamo ‘rebates’ in questo paese - ha dichiarato al Wall Street Journal Colin Kinsella, ceo Havas Media North America -. Collaboriamo con i nostri clienti per ottenere il livello di trasparenza desiderato in ogni aspetto del nostro business”.
Stessa posizione ufficiale per Dentsu Aegis Network: “Non accettiamo rebates ‘nascosti’ e siamo convinti che gli attuali processi siano sufficientemente robusti e trasparenti per i nostri clienti”.
“Interpublic continuerà a modernizzare le sue pratiche e i suoi standard di trasparenza con l’evolversi della industry - si legge poi nel comunicato IPG -. Negli Stati Uniti non riceviamo alcuno sconto dai media sui volumi di spazi acquistati né usiamo il valore realizzato dalle nostre agenzie media per sfruttare tale credito in altre aree del business”.
La dichiarazione ufficiale di Omnicom sottolinea il disappunto per i toni che sta prendendo la discussione e per le accuse lanciate nei confronti dell’intera industry delle agenzie media: “Non abbiamo ancora visto i risultati della survey - precisa la holding - ma crediamo che per poter essere davvero utili alle aziende i risultati specifici dell’indagine andrebbero condivisi con le agenzie e i clienti implicati in pratiche considerate ‘a rischio’. Se queste pratiche esistono davvero, in quale altro modo potrebbero gli investitori risolvere il problema con le loro agenzie?”.
Fra tutte le holding, e a parte Publicis che ha preferito mantenere il silenzio in attesa della pubblicazione vera e propria, WPP è quella che ha scelto la strada più incisiva: “GroupM serve i migliori interessi dei suoi clienti secondo gli obiettivi definiti da loro stessi nei contratti. Ciò vuol dire che negoziamo questi contratti in buona fede, eseguendoli alla lettera e agendo non solo legalmente ma anche eticamente. Non abbiamo visto il report e non vogliamo commentare accuse anonime e non circostanziate. Abbiamo sempre sostenuto che se i clienti hanno domande per noi dovrebbero porgercele direttamente. In ogni caso, se se ci saranno affermazioni specifiche sull’operato di GroupM chiederemo all’ANA di conoscerne i dettagli per poter investigare a fondo e adempiere fino in fondo alle nostre obbligazioni contrattuali. E nel caso che questi dettagli non ci fossero forniti prenderemo i provvedimenti necessari per obbligare l’ANA, i suoi investigatori o i suoi advisor a fornirci quel materiale”.
TR
Sono parole dure quelle che circolano negli Stati Uniti in vista della prossima pubblicazione del report commissionato dalla ANA - Association of National Advertisers (omologa della nostra UPA) a due società di consulenza, K2 Intelligence ed Ebiquity, che ha richiesto 8 mesi di ‘indagini’ e oltre 150 interviste in forma anonima a professionisti di agenzie, concessionarie e aziende.
Secondo le prime indiscrezioni, sembra infatti che le loro risposte abbiano confermato come la pratica dei ‘rebates’ - che in Italia sono definiti Diritti di Negoziazione - sia molto più diffusa di quanto non si pensasse: storicamente, infatti, benché conosciuti, applicati e in molti casi ormai anche accettati alla luce del sole in altri paesi - in Europa, in Cina o in Brasile, per esempio - gli sconti o i ristorni da parte delle concessionarie alle agenzie sotto forma di cash, spazi gratuiti o altri ‘benefit’, negli Stati Uniti non sono considerati una pratica comune e tanto meno legale.
I risultati dello studio potrebbero quindi creare negli Stati Uniti una vera e propria “tangentopoli media”, alzando ben oltre il limite le preoccupazioni dei marketer sul fatto che le agenzie media non abbiano a cuore l’interesse dei clienti ma il proprio, preferendo investire sui media dai quali l’agenzia stessa trarrà maggior profitto anziché quelli più adatti alla strategia, al target e in ultima analisi al ROI delle campagne dei brand.
Cresce dunque l’allarmismo anche fra le grandi holding della comunicazione, che però, prima ancora della pubblicazione, hanno difeso pubblicamente la legalità del proprio operato.
“Siamo in regola con tutte le leggi degli Stati Uniti e non accettiamo ‘rebates’ in questo paese - ha dichiarato al Wall Street Journal Colin Kinsella, ceo Havas Media North America -. Collaboriamo con i nostri clienti per ottenere il livello di trasparenza desiderato in ogni aspetto del nostro business”.
Stessa posizione ufficiale per Dentsu Aegis Network: “Non accettiamo rebates ‘nascosti’ e siamo convinti che gli attuali processi siano sufficientemente robusti e trasparenti per i nostri clienti”.
“Interpublic continuerà a modernizzare le sue pratiche e i suoi standard di trasparenza con l’evolversi della industry - si legge poi nel comunicato IPG -. Negli Stati Uniti non riceviamo alcuno sconto dai media sui volumi di spazi acquistati né usiamo il valore realizzato dalle nostre agenzie media per sfruttare tale credito in altre aree del business”.
La dichiarazione ufficiale di Omnicom sottolinea il disappunto per i toni che sta prendendo la discussione e per le accuse lanciate nei confronti dell’intera industry delle agenzie media: “Non abbiamo ancora visto i risultati della survey - precisa la holding - ma crediamo che per poter essere davvero utili alle aziende i risultati specifici dell’indagine andrebbero condivisi con le agenzie e i clienti implicati in pratiche considerate ‘a rischio’. Se queste pratiche esistono davvero, in quale altro modo potrebbero gli investitori risolvere il problema con le loro agenzie?”.
Fra tutte le holding, e a parte Publicis che ha preferito mantenere il silenzio in attesa della pubblicazione vera e propria, WPP è quella che ha scelto la strada più incisiva: “GroupM serve i migliori interessi dei suoi clienti secondo gli obiettivi definiti da loro stessi nei contratti. Ciò vuol dire che negoziamo questi contratti in buona fede, eseguendoli alla lettera e agendo non solo legalmente ma anche eticamente. Non abbiamo visto il report e non vogliamo commentare accuse anonime e non circostanziate. Abbiamo sempre sostenuto che se i clienti hanno domande per noi dovrebbero porgercele direttamente. In ogni caso, se se ci saranno affermazioni specifiche sull’operato di GroupM chiederemo all’ANA di conoscerne i dettagli per poter investigare a fondo e adempiere fino in fondo alle nostre obbligazioni contrattuali. E nel caso che questi dettagli non ci fossero forniti prenderemo i provvedimenti necessari per obbligare l’ANA, i suoi investigatori o i suoi advisor a fornirci quel materiale”.
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