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USA: media buyer sotto accusa per scarsa trasparenza e 'rebates' (DN) diffusi in tutti i mezzi

Secondo lo studio di K2 Intelligence commissionato dall'ANA, tra le pratiche di business 'non trasparenti' più diffuse ci sono da annoverare gli 'sconti' cash offerti dalle media company alle agenzie media sulla base del budget totale investito per l'acquisto di spazi, gli spazi gratuiti offerti sui mezzi, i doppi listini per agenzie e holding company che negoziano tariffe separate con i media publisher a seconda che agiscano per conto dei clienti o 'direttamente', spesso rivendendo tali spazi con un mark up compreso tra il 30 e il 90%. Tali pratiche riguarderebbero tutti mezzi: digital, stampa, affissione e Tv. Ma le holding respingono al mittente ogni accusa, sostenendo che le risposte date in forma anonima alla survey K2 ne inficiano completamente il valore.
Secondo uno studio commissionato negli USA da ANA (Association of National Advertisers - nella foto Bob Liodice, presidente e CEO) le pratiche 'non trasparenti' nell'attività di media buying sono molto più diffuse nel mercato statunitense di quanto fino a un anno fa gli operatori non sospettavano neppure. Il report, realizzato da K2 Intelligence, è stato diffuso in questi giorni (per scaricarlo clicca qui). 
Per l'indagine, tra ottobre 2015 e maggio 2016 K2 ha intervistato 150 persone di varia estrazione - marketers, editori e concessionarie, manager o ex manager di agenzia, rappresentanti di società tecnologiche - nessuna delle quali è però stata identificata per nome o sigla di appartenenza (e la stessa ANA non ne è a conoscenza).
Dallo studio emergono differenze di posizione sostanziali che rendono difficile il rapporto di fiducia necessario tra investitore e agenzia media: per esempio, molte aziende si sono dette convinte che le agenzie partner siano tenute sempre e comunque ad agire nel loro interesse, senza se e senza ma; i rappresentanti di molte agenzie, al contrario, hanno dichiarato che il rapporto con l'azienda è definito unicamente attraverso il contratto tra le due parti.

Gli elementi sistematici di 'non trasparenza' - che in alcuni casi parrebbero sfiorare la plateale illegalità - messi in luce dal report di K2 Intelligence sono numerosi: per esempio, si sottolinea la grandissima differenza fra i casi in cui le agenzie media, proprio in virtù del mandato di agenzia, acquistano gli spazi in nome e per conto dei clienti, e i casi in cui invece le agenzie (o le loro holding di appartenenza) si comportano da 'principal', acquistando cioè direttamente gli spazi dai media per poi rivenderli ai clienti solo in un secondo momento - e con un sostanziale mark up. 
Inoltre, l'indagine rivela che parecchi senior executive del mondo delle agenzie non solo sono consapevoli di tali pratiche, ma ne sono spesso i promotori. E in un mercato come quello USA dove la pratica dei 'rebates' (diritti di negoziazione) è sempre stata considerata inesistente a livello formale e ufficiale, lo shock è stato forte.

Principali risultati dell'indagine

Tra le pratiche di business 'non trasparenti' che emergono chiaramente dallo studio di K2 Intelligence sono da annoverare: 
- i rebates (DN) pagati cash a fine anno dalle media company alle agenzie media sulla base del budget totale investito sui loro mezzi che le aziende intervistate hanno negato di aver mai ricevuto o quanto meno di non sapere se tali 'sconti' fossero stati loro restituiti;
- rebates offerti in forma di spazi gratuiti che le agenzie media potevano utilizzare anche per altri clienti;
- pagamenti extra sotto forma di 'accordi per servizi' per i quali gli editori o le loro concessionarie pagano le agenzie in servizi di altra natura, ricerche o consulenze, con un fee commisurato al budget speso per l'acquisto di spazi ma dal valore molto inferiore;
- come detto, un mark up sugli spazi venduti direttamente dalle agenzie ai clienti che secondo la ricerca varia dal 30 al 90%, con i buyer delle agenzie incentivati o pressati dalle holding company per indirizzare verso quegli spazi gli investimenti dei clienti indipendentemente dal fatto che tali acquisti siano o meno nell'interesse dei clienti stessi;
- un sistema di 'doppi listini' grazie ai quali le agenzie e le loro holding di riferimento negoziano tariffe separate con i media publisher, a seconda che acquistino gli spazi direttamente o in veste di agenti/intermediari per conto dei marketer;
- scarsa trasparenza, secondo le regole del mercato USA, anche nei casi in cui le agenzie media (o le loro holding) detengono quote o partecipazioni nelle media company o nelle società di Ad Tech.

Dallo studio traspare che le pratiche 'poco trasparenti' riguardano praticamente tutti i mezzi: digital, stampa, affissione e tv
Considerando in modo specifico i contratti stipulati tra advertiser e agenzia, anche se le pratiche in discussione risultano in alcuni casi consentite dai contratti stessi, si nota come gli investitori siano spesso privati di informazioni importanti: in alcuni casi le aziende sono addirittura del tutto inconsapevoli dei dettagli presenti nei contratti stipulati con le loro agenzie, in primis perché si tratta di accordi che per anni non vengono rivisti e aggiornati. 
Di fatto, il report di K2 Intelligence sottolinea uno scollamento tra gli investitori e le loro agenzie media: un business più complesso come quello attuale infatti richiederebbe una gestione più precisa e trasparente, che invece manca. 

A questo proposito, ANA sta lavorando alla messa a punto di linee guida per la stesura dei contratti che dovrebbero garantire una maggiore trasparenza nelle attività di media buying, ma nel frattempo ha elaborato una serie di raccomandazioni per tutte le aziende associate:
- riesaminare meticolosamente i termini e le condizioni contrattuali stipulate negli ultimi anni
- avviare programmi di formazione del proprio management in tema di contrattistica, sopratutto nell'area della filiera digitale
- confermare o riaffermare le basi secondo cui il loro centro media può o deve agire, se come 'principal' (acquistando per proprio conto e poi rivendendo gli spazi) o come semplice 'incaricato'
- assicurarsi che non siano presenti conflitti di interesse ed eventualmente stabilire procedure per risolverli qualora ne emergessero
- verificare che i contratti consentano un audit 'completo', non solo nei confronti della propria agenzia media ma anche, se necessario, a livello di holding.

La reazione delle holding

Già lunedi (come anticipato da advexpress: vedi news), anticipando la diffusione del report e sula sola base dei rumor circolanti, tutte le principali holding avevano espresso molte perplessità sullo studio K2/ANA. Alla pubblicazione una reazione ancor più 'calda' non si è fatta attendere, a partire da Publicis Groupe (nella foto a dx il suo chairman Maurice Levy): "L’ANA ha reso un disservizio ai suoi membri, a tutti gli investitori, alle agenzie e alla intera industry pubblicando uno studio che fa affidamento su dichiarazioni anonime, che riguardano situazioni che coinvolgono società e/o individui sconosciuti per tranciare giudizi ad ampio spettro, non corroborati da prove e non verificabili, nonostante avessimo invitato da tempo l'ANA a rivelare nomi e casi sospetti".
Publicis, prosegue la nota, "si impegna a comprendere e a rispettare le esigenze di trasparenza dei clienti in tutti i casi, e ciò fa parte del processo di negoziazione con ciascuno di loro. Siamo limpidi e cristallini: ci impegnamo a rispettare pienamente i termini di ogni contratto cliente-agenzia, e abbiamo regole rigidissime per controllare queste pratiche”.

Da parte sua, GroupM (nella foto a sx il chairman di WPP Group, Sir Martin Sorrell) contesta l’obiettività dello studio, e dei suoi autori, che andrebbe esaminata e verificata attentamente: “Non si può lasciare che lo studio offuschi l’intera industria, ne tutte le società che ne fanno parte. Come abbiamo affermato fin dal principio delle investigazioni di K2, GroupM non sollecita né accetta diritti di negoziazione o altre revenue nascoste in qualsiasi forma da parte dei media partner statunitensi. Né accettiamo fee ‘di servizio’ da venditori senza mettere al corrente i clienti. Siamo più che diretti con i clienti quando parliamo dei nostri prodotti media proprietari del valore che forniscono, e loro possono liberamente e consapevolmente scegliere ogni volta di partecipare o meno".
Ancora una volta, quindi, GroupM chiede che l’ANA "Condivida con noi gli eventuali casi specifici che riguardano il nostro gruppo, permettendoci così di continuare a mantenere e a rispettare gli accordi contrattuali”.

Jerry Buhlman, CEO Dentsu Aegis Network, ha definito il report inconsistente per la sua metologia non obbiettiva e dall’input anonimo: “Le pratiche cui si riferisce questo studio non esistono nel nostro business americano. Le nostre modalità di acquisto di spazi media sono solide e trasparenti per i nostri clienti, oltre a essere soggette a processi rigorosi che ne verificano la conformità: tutti i nostri clienti hanno la facoltà di controllarci in qualsiasi momento con i loro audit. Inoltre, siamo orgogliosi dei nostri sforzi intensi e focalizzati in tema di conformità della nostra condotta, delle nostre pratiche e dei controlli”

La controreplica di Liodice

“Lo studio - è la replica di Liodice - non mai avuto alcuna intenzione di fare nomi o denunciare casi specifici, né di stabilire se le pratiche dibattute fossero legali o meno così come non era nostro compito verificare eventuali violazioni contrattuali. Volevamo però evidenziare due aspetti importanti: il primo è che la complessità dello scenario attuale ha profondamente cambiato le regole del gioco… e personalmente non credo che tutte le parti in gioco siano correttamente aggiornate su queste nuove ‘regole di ingaggio’. Il secondo aspetto, ma strettamente collegato al primo, è che i marketer devono comprendere che quando le agenzie media interpretano il nuovo ruolo di acquirenti/venditori piuttosto che agenti, la relazione va impostata secondo criteri completamente diversi".
Liodice e K2 non hanno infine mancato di sottolineare come 5 delle 6 principali holding mondiali - ma di nuovo, senza fare i nomi - abbiamo rifiutato le richieste ufficiali di collaborare all'indagine rendendo i loro executive disponibili alle interviste: "In ogni caso, fra le nostre fonti, ci sono addetti di alto livello presenti e passati di tutte e sei".

SP/TR