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In edicola il 20 marzo "Essere umani", un numero di Vanity Fair per l'inclusività

Alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale il periodico di costume, cultura, moda e politica torna in edicola per prendere posizione contro il razzismo. In copertina, a incorniciare i tanti punti di vista presenti nel numero, una portabandiera dei diritti delle minoranze, la tennista afroamericana Serena Williams. Insieme a lei Lupita Nyong’o, Chadia Rodriguez e Raphaela Lukudo.

Simboli, volti, voci, esempi. Un intero numero di Vanity Fair per dire basta a ogni forma di razzismo. È ora di tornare a “essere umani” scrive Simone Marchetti, direttore del settimanale di Condé Nast, nell’editoriale che introduce le tante storie dedicate all’inclusione in edicola proprio alla vigilia del 21 marzo, Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale.

"Quello che sta succedendo in Italia e nel mondo negli ultimi mesi è l’esatto opposto" argomenta Marchetti "il razzismo è dilagante ed è grave perché proviene dall’alto, da rappresentanti istituzionali che lo legittimano e lo giustificano. Cosa fare, ci siamo chiesti. La risposta è questo numero di Vanity Fair, un giornale che vuole prendere posizione contro il razzismo".

In copertina, a incorniciare i tanti punti di vista presenti nel numero, una portabandiera dei diritti delle minoranze, la tennista afroamericana Serena Williams. Insieme a Williams, come in un flusso ininterrotto di ragioni, nessi e vicende legate da un filo invisibile, Lupita Nyong’o, attrice già premio Oscar, autrice di “Sulwe”, un libro autobiografico in cui la protagonista, una bambina, vorrebbe poter schiarire la sua carnagione.

"Ovunque guardi" dice Lupita "ti accorgi che la società dà un valore più alto alla pelle chiara. Mi ci è voluto molto tempo per combattere quegli stereotipi e piacermi come sono". L’accettazione di se stessi e la modernità di un mondo giovanile che non guarda ai tempi bui ma si proietta in un futuro che al di là degli slogan, è giù multietnico nei fatti, nelle strade e negli ambienti dove le coppie miste sono la regola, ritma il numero di Vanity Fair e restituisce una melodia utile a combattere l’ignoranza e ad allontanare la paura. Parola di ragazzi di diverse nazioni che si amano negli istituti scolastici da nord a sud senza chiedersi il passaporto o di Chadia Rodriguez, la donna più famosa della scena trap nazionale, figlia di genitori marocchini, che dice di non avere mai subito razzismo: "Noi giovani siamo più avanti degli adulti: per noi non contano niente le origini, non ce ne frega niente, siamo tutti uguali. Mi sento figlia del mondo. Se non ci fossero state le migrazioni, a quest’ora non starei qui a parlare".

Ragionamenti non distanti da quelli di Raphaela Lukudo, campionessa azzurra di seconda generazione che ai Giochi del Mediterraneo del 2018 ha vinto l’Oro. "Non vorrei più ritrovarmi" dice "a un punto in cui si nota il colore della mia pelle. E vorrei dire che l’Italia è un Paese dove l’integrazione esiste, ma non sempre è così. Io sono fortunata". E nelle molte vicende, non tutte luminose, non tutte consolanti raccontate nel numero, Vanity Fair lascia spazio anche ai propri editorialisti. Alle vicende apparentemente minime narrate dal grande scrittore israeliano Eshkol Nevo: "Razzismo, antirazzismo, parole grosse. Alla fine sono i piccoli momenti a decidere" o alle cristallizzazioni della storia messe in evidenza da Mattia Feltri, autore di un acuto parallelismo tra l’antisemitismo novecentesco e il razzismo di oggi.

"Quando il pregiudizio finisce col prevalere sul giudizio" dice Feltri "al fondo della strada c’è il lager". Per non vedere più segregazioni, guardare con fiducia al futuro e rendere anche plasticamente irrilevanti i confini con l’ambizione di mettere al centro l’uomo e le sue vicende, Vanity Fair prevede anche la traduzione in inglese di alcuni articoli allo scopo di raggiungere il maggior numero possibile di persone. Perché “essere umani” è una formula universale. Si può dire in qualsiasi lingua, lasciando parlare solo quella del cuore e dell’accoglienza.