Relazioni Pubbliche

Per la reputation delle imprese, più della pubblicità conta la relazione

È stata presentata oggi la seconda edizione della ricerca “Imprese e corporate reputation in Italia” promossa da Cohn & Wolfe e Research International. Nokia, Barilla, Bmw le aziende che godono della migliore reputation. Uno studio di Group M mostra che questa non è influenzata da forti investimenti pubblicitari.

La sensibilità ambientale e l'etica sono i fattori che concorrono maggiormente a determinare la reputation di un'impresa presso l'opinione pubblica, mentre per gli opinion leader contano di più la capacità relazionale e i prodotti e i servizi che essa produce. Se la reputation sembra essere in grado di influire sul valore economico di un'impresa, non è a sua volta influenzata dall'entità degli investimenti pubblicitari. Sono le principali evidenze emerse dalla seconda edizione della ricerca "Imprese e corporate reputation in Italia" promossa da Cohn & Wolfe e Research International, e presentata oggi, 14 dicembre, a Milano, alla presenza, fra gli altri, di Franco Guzzi, amministratore delegato di Cohn & Wolfe, e Sissi Semprini , vice presidente. "La reputazione, che comporta un diffuso e spontaneo consenso verso le imprese, è un paradigma sempre più importante per le relazioni pubbliche - ha dichiarato Semprini in apertura dell'incontro -, in un mercato in cui la competizione si fonda su risorse intangibili".

Lo studio ha preso in esame 100 grandi aziende che operano in Italia, attraverso 4.775 interviste effettuate nella primavera 2006, distribuite fra un campione rappresentativo dell'opinione pubblica (4.201 casi) e 574 opinion leader. I driver che influenzano la reputation sono diversi nei due target: per l'opinione pubblica riveste una grande importanza la "responsibility", che comprende la sensibilità socio-ambientale e la gestione etica, apprezzata dal 41,2% del campione, mentre gli opinion leader mostrano più interesse per l'"affinity", i valori d'immagine e la capacità relazionale (46,9%), oltre che per prodotti e servizi (30,8%).

Al primo posto fra le aziende che godono della più alta corporate reputation figura Nokia, seguita da Barilla e Bmw; al quarto posto Sony, quindi Philips, Luxottica, Samsung, Microsoft, Illy, Apple. Se per il target dell'opinione pubblica i primi tre posti sono invariati, per i soli opinion leader la classifica ha un volto differente: primo posto per Sony, seguito da Giorgio Armani e Apple.

Venendo invece ai settori, Tecnologia e Largo Consumo sono quelli che godono della migliore reputation presso l'opinione pubblica, mentre per gli opinion leader a questi si affiancano anche Fashion, Automotive ed Editoria .

Il grado di conoscenza di un'azienda non influisce sulla reputation, e lo dimostra la mappa che incrocia i valori di familiarità e reputation, in cui aziende come Alitalia e Trenitalia si collocano, per l'opinione pubblica, ai livelli più bassi di reputation, pur potendo godere di un'elevata familiarità. Invece, come detto, la reputation sembra incidere sul valore economico di un'azienda. Nel caso di imprese come Parmalat e Fiat, tra il 2005 e il 2006 si è assistito a un incremento della reputation e a un parallelo aumento del valore medio del titolo in Borsa. Viceversa, nel caso di Enel la reputation ha visto nello stesso arco di tempo un declino, cui ha fatto riscontro anche una diminuzione del valore del titolo in Borsa.

Budget diversi, uguale reputation

Le 100 aziende prese in esame nello studio precedente investono in pubblicità circa 3 miliardi di euro, che rappresentano un terzo degli investimenti complessivi  sul mercato italiano. I dati di un'analisi di Group M evidenziano che non c'è correlazione fra quanto le aziende spendono e il livello di conoscenza e reputation. Come ha infatti spiegato Matteo Cardani, chief strategic officer della struttura di Wpp , "correlando l'investimento medio in mezzi classici nel periodo 2001-2006 agli indici di knowledge e reputation emerge un dato sorprendente: aziende che investono budget molto diversi per entità hanno per il consumatore la medesima rilevanza". Così, Nokia e Barilla condividono gli stessi altissimi livelli di conoscenza e reputation, pur essendo gli investimenti della prima decisamente inferiori.

Anche le insegne della grande distribuzione stanno nel quadrante in alto a destra della mappa, pur investendo in pubblicità cifre non paragonabili a quelle di altri big spender. "Questo avviene - ha spiegato ancora Cardani – perché giocano un ruolo decisivo altri fattori, come l'esperienza diretta della marca e il coinvolgimento del consumatore". Le insegne della gdo possono contare su una media di 2 visite alla settimana da parte di ciascun adulto, un risultato che nessuna campagna può garantire e che porta le insegne ai livelli di conoscenza e reputation propri di aziende che investono 6 volte tanto. La capacità di coinvolgere i consumatori, poi, fa la fortuna dei brand di tecnologia. D'altro canto, colossi come Unilever e Procter & Gamble sono penalizzati dal fatto di spingere i singoli prodotti e non il company brand: a parità di penetrazione dei prodotti, quindi, registrano livelli di conoscenza e reputation inferiori a quelli di aziende con brand fortemente riconoscibili come Ferrero e Barilla.

"Lo studio evidenzia la complessità della costruzione della reputation – ha commentato in conclusione Franco Guzzi, amministratore delegato Cohn & Wolfe – Se la visibilità si compra, la reputation si conquista, e se l'immagine è un riflesso, la reputation è un giudizio. È importante allora che le aziende sviluppino la loro capacità di ascolto e quella di costruire relazioni. Senza dimenticare che non c'è più un unico consumatore o un unico strumento di comunicazione, e che le pianificazioni che prevedono un 95% di risorse nella televisione sono vetero-strategie. Agli strumenti che danno visibilità si devono affiancare quelli per la relazione e il dialogo, e qui un contributo fondamentale viene dalle nuove tecnologie".

Claudia Albertoni