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Branded Content con vista di Emanuele Landi. Streaming e nuovi modelli distributivi, una nuova frontiera per il branded content?
Ha fatto molto rumore di recente l’accordo tra Netflix e la Francia, in cui la piattaforma includerà il canale lineare più visto del Paese: TF1. Questo passaggio è davvero notevole. La principale piattaforma di streaming al mondo sta iniziando a trasformarsi in una piattaforma che distribuisce anche un grande canale lineare. Non un FAST channel, non un brand di nicchia, non un canale tematico temporaneo, ma un canale nazionale tradizionale.
È evidente che l’obiettivo sia rendere la piattaforma più dinamica e aumentare il tempo di permanenza degli utenti, da sempre linfa vitale per la stabilità dell’audience, che a sua volta alimenta il motore pubblicitario.
Il business della pubblicità, dopotutto, si basa su una logica semplice e immutata: “vedere audience, pagare cammello”.
Questa innovazione mi ricorda una sorta di versione 2.0 del modello di business di Sky e FOX, a cui ho avuto la fortuna di partecipare. All’epoca, Sky ospitava e aggregava canali terzi di ogni tipo, creando una piattaforma che, pur non basandosi ancora sulla fibra veloce, riusciva a mantenere gli utenti connessi in modo continuativo. Tanto che si aprì una querelle sulla rilevazione degli ascolti dei grandi canali terrestri trasmessi su Sky e sulle relative attribuzioni.
Al di là delle abitudini di consumo ancora da consolidare, è significativo che Netflix stia trasformando la propria “immanenza” in uno spazio capace di ospitare contenuti lineari. Se l’esperimento avrà successo, ci troveremmo di fronte a una notevole evoluzione del brand: Netflix potrebbe diventare una piattaforma che offre spazio ad altri operatori, ricevendo affiliate fees come accadeva con Sky?
Potremmo trovarci all’alba di una nuova era di mecenatismo editoriale, in grado di favorire la nascita di nuove esperienze lineari e di flusso.
Anche una tipologia pubblicitaria come il branded content trarrebbe enorme vantaggio da questa trasformazione. Il vero branded content ha bisogno di flusso e di contesto vivo per essere trovato e fruito. Oggi, nelle piattaforme OTT, è praticamente inesistente: quando c’è, nessuno lo vede perché non esiste un'infrastruttura adeguata per distribuirlo o valorizzarlo. Mancano sia i contesti editoriali adatti sia le professionalità necessarie. Con la trasformazione delle piattaforme streaming in ecosistemi editoriali dotati di canali lineari e flusso continuo, si apre uno scenario unico per il branded content, la crossmedialità, il controllo dei KPI e l’accesso a dati accurati e in tempo reale. Ma soprattutto, si crea una destinazione premium, desiderabile per tutti, grazie alla reputazione consolidata dello streaming anche tra i target meno giovani.
Se Netflix ingloba la TV lineare, cosa ne sarà dei grandi gruppi televisivi tradizionali? Un vecchio detto recita: “Quando un nemico diventa troppo forte, alleati con lui, non combatterlo.” Nel mondo dei media, questo principio si applica spesso. Ne sono
profondamente convinto. L’eccessiva frammentazione, sul lungo periodo, penalizza i player più piccoli. Il mercato
audiovisivo non premia le nicchie nel lungo termine, soprattutto se il modello di finanziamento si basa sulla pubblicità.
Cosa dovrebbero fare, allora, le grandi TV pubbliche e private? Sfruttare l’occasione o rafforzare il proprio ecosistema e resistere?
Al di là delle specificità di ogni singolo paese, questo scenario si è già verificato: Sky, in Italia, trasmette e trasmetteva canali Rai e Mediaset. Credo che il futuro stia nel bundling e nell’impacchettamento ben strutturati. È ciò che il pubblico desidera: trovare i contenuti dove è più comodo.
Netflix è il nuovo iPhone? E tutti i canali lineari diventeranno le sue app?
Per il branded content, non c’è dubbio: si tratta di un’opportunità rilevante.