
Eventi
Think Digital/2 La tecnologia sta trasformando il mondo, ma fare innovazione costa e richiede alle imprese un cambiamento strutturale
'La tecnologia sta cambiando il nostro oggi e il nostro domani', questo il titolo del primo panel andato in scena all'evento Think Digital organizzato a Milano da GroupM.
Ad aprire la discussione lo speech di Norm Johnson, digital prophet di GroupM, che ha affermato: "Ci troviamo nella terza ondata della digital disruption - ha detto il manager - . Dopo il desktop e il mobile, ora è la volta dell'Internet delle cose. Saranno 52 miliardi gli oggetti connessi e già oggi negli Stati Uniti il 32% delle nuove connessioni mobili non è legato a cellulari. Soltanto il 5% di questi oggetti avrà una tastiera e si prevede che il 55% dei Millennials userà il voice search una volta a giorno".
"L'intelligenza artificiale rende più indipendenti e autonome le nostre vite. Nel 2021 saranno 1,83 miliardi i consumatori che interagiranno con l'intelligenza artificiale", ha detto Johnson.
E poi ci sono la realtà aumentata e la realtà virtuale. Si stima che saranno 46 milioni i dispositivi di realtà aumentata venduti, mentre la realtà virtuale non è cresciuta velocemente come ci si sarebbe aspettati".
"Noi abbiamo visto soltanto il 2% del cambiamento che la rivoluzione digitale poterà ai modelli di business e alla società - ha sottolineato Fabio Vaccarono, managing director Google Italia - . Attualmente sono 3,8 miliardi le persone connesse con una media di 2,2 device a testa. Nel 2020 le persone collegate alla rete raggiungeranno quota 6 miliardi. Questo significa che ogni business diventerà necessariamente digitale e internazionale".
"Vale la Legge di Varian: se volete capire il futuro della tecnologia, prendete e osservate le tecnologie già esistenti che oggi sono nelle mani di pochi – magari le persone più ricche o le aziende più innovative – e sappiate che entro pochi anni quelle stesse tecnologie saranno in possesso di metà della popolazione mondiale e entro dieci anni saranno in grado di coprire l’intero pianeta".
"Questo porta con sé alcuni corollari - ha continuato Vaccarono -: in primis il mondo è diventato piatto, anche se solo il 12% delle aziende dell'Unione Europea attualmente usa strumenti digitali per accelerare la crescita internazionale. Possiamo crogiolarci e pensare che il consumatore italiano è indietro, ma la verità è diversa. Pensiamo ad esempio all'ecommerce: è vero che le aziende italiane sono indietro, ma questo comporta semplicemente che gli italiani compreranno da provider stranieri".
"La seconda conseguenza è il fatto che il consumatore può sfruttare a proprio vantaggio l'asimmetria informativa - ha detto Vaccarono - . L'italiano medio negli ultimi tre anni ha processato il doppio delle informazione degli ultimi 100 anni e negli ultimi cinque ha triplicato le fonti prese in considerazione pre acquisto. Ciò significa che se non usiamo le nuove tecnologie per migliorare la gestione rapporto con consumatore sarà quest'ultimo ad avere tra le mani le redini del gioco".
"Infine, le aziende devono concentrarsi su ciò che sanno fare meglio e investire nelle loro core competence", ha detto il manager.
Giorgio Metta, vice direttore scientifico Istituto Italiano di Tecnologia, ha portato la platea a riflettere su come la grande quantità di dati oggi a disposizione e la capacità di elaborarli in modo veloce abbia portato alla crescita della robotica. In un tempo non molto lontano i robot saranno al nostro fianco nei negozi, negli ospedali e anche in casa, tanto che faremo fatica a ricordarci un mondo senza di essi.
Per Massimo Banzi, co-fondatore di Arduino, più persone contribuiscono a fare innovazione e maggiore diversità viene garantita. Per questo motivo è importante rendere la tecnologia il più possibile accessibile e fruibile da tutti, spiegando anche come utilizzarla.
"Per troppe aziende il digitale è una pellicola in cui avvolgere l'impresa così com'è, invece esso rappresenta un cambiamento strutturale - ha messo in guardia Alfonso Fuggetta, Ceo del Cefriel - . L'impressione è che manchi la consapevolezza profonda di questo cambiamento".
Inoltre bisogna rendersi conto che fare innovazione costa e che non è facile. Non si innova a costo zero, sia dal punto di vista organizzativo che di capitale umano ed è anche per questo che innovare per una piccola impresa diventa più difficile.
"La digital transformation impone il cambiamento di tutti i prodotti della catena del valore, poi non bisogna solo ascoltare i clienti, ma anche conoscerli, perché il cliente magari non sa esprimere un bisogno latente", ha chiosato Fuggetta.
D'altra parte, per comprendere il consumatore oggi abbiamo a disposizione i Big Data, che forniscono molte informazioni sul comportamento umano. "Dopo aver inventato i Big Data bisogna inventare il Big Understanding - ha detto Bruno Lepri, Head of Mobile and Social Computing Lab, Visiting Researcher MIT - . Bisogna prestare attenzione più che alla quantità dei dati alla costruzione di modelli di comportamento umano a partire da questi dati, garantendo allo stesso tempo la privacy al cliente".
Spunti interessanti su come si fa innovazione possono venire dall'osservazione delle startup, come ha messo in luce Massimiliano Magrini, Fondatore e Managing Partner di United Ventures.
"Il presupposto indispensabile per innovare è non essere contenti di come stanno le cose - ha spiegato Magri - . Poi non si può pensare di rifarsi alle norme adatte agli altri modelli organizzativi, dal momento che se ne vuole realizzare uno nuovo. E vale il detto 'Don't wait, take action', perché nelle startup prima si fanno le cose e poi si decide con quali mezzi, non il contrario".
E, ancora, gli startupper sanno bene che prima di arrivare a breakeven dovranno investire molto e che non è nemmeno detto che ci arrivino. Dal punto di vista organizzativo spesso non tutti gli aspetti sono chiari e organizzati, però ciò che caratterizza le startup è il pensiero differente. "Un modus operandi che dovrebbe essere ripreso anche dalle imprese tradizionali, se vogliono creare innovazione", ha sottolineato Magri.
Non dobbiamo però dimenticare che non tutto in tutto il mondo è governato da tecnologia, innovazione e startup. "Il 28% delle persone tra i 16 e i 74 anni in Italia non ha mai usato Internet - ha detto Massimiliano Bucchi, professore ordinario di Scienza,Tecnologia e Società all'Università degli Studi di Trento".
"L'apertura all'innovazione è strettamente correlata all'età e al livello di istruzione, inoltre bisogna tenere presenti tre aspetti importanti: l'innovazione è un processo collettivo, non è un processo lineare ed è un cambiamento sociale e culturale, non solo economico".
"Essa richiede sempre un po' di tempo per essere accettata ma poi viene vissuta con naturalezza. Il più grande innovatore? E' il tempo", ha chiosato Bucchi.
Serena Piazzi