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La tv rimane un brand defender, soprattutto se trasmette valori ed è social
Al primo appuntamento del road show organizzato da MindShare si è parlato di Televisione, mercati rilevanti, modelli competitivi virtuosi e funzione del servizio pubblico: lato telespettatori e lato investitori pubblicitari. A dibatterne voci autorevoli del settore quali Maurizio Carlotti, Vice Presidente operativo di Antena Très, Carlo Freccero, Direttore di Rai 4 e Giorgio Gori, Past Ceo di Magnolia.
La tv, il futuro di un'illusione. Se ne è parlato al primo appuntamento del road show di quattro tappe organizzato da MindShare per fare luce su tematiche di particolare attualità nella communication industry. Televisione, mercati rilevanti, modelli competitivi virtuosi e funzione del servizio pubblico: lato telespettatori e lato investitori pubblicitari. A dibatterne voci autorevoli del settore quali Maurizio Carlotti, Vice Presidente operativo di Antena Très, Carlo Freccero, Direttore di Rai 4 e Giorgio Gori, Past Ceo di Magnolia, moderati da Carlo Momigliano, Chief Marketing Officer presso MindShare.

Un incontro con un titolo da interpretare nell'accezione di illusione come errore che sottende un desiderio, così come è stato per gli investimenti sulla tv italiana definiti dall'AgCom un errore perchè eccessivamente elevati. Nessun errore ha ribadito il Ceo di MindShare Roberto Binaghi: "gli italiani hanno semplicemente voluto farlo".
Qual è stato l’impatto della TV commerciale sulla società?
Dei cambiamenti del panorama televisivo e delle loro profonde ricadute sulla realtà italiana, il direttore di Rai 4 (già direttore di Italia 1 e Rai 2) Carlo Freccero parla in un volume dal titolo “Televisione” (Bollati Boringhieri - collana “I sampietrini”) in cui si legge che 'trent'anni di tv commerciale hanno formato il gusto medio del Paese, la sua ideologia politica, l'adesione e il consenso al Berlusconismo. Ai saperi tradizionali si sostituisce il marketing, il sondaggio a cui si tende dare il valore di verità. La televisione con la sua logica quantitativa si oppone oggi al concetto di verità e coincide con l'affermazione del pensiero debole e della democrazia come maggioranza.'
Se “il medium è il messaggio”, ogni medium produce contenuti propri e risponde in maniera originale alle esigenze della società. Nel caso della televisione vale anche il contrario: la società stessa viene, sempre di più, condizionata a sua volta dal mezzo televisivo. Nella nostra storia siamo così passati da una televisione di classe, specchio di un’élite del paese, a una televisione ritagliata attorno al consenso esclusivo ed escludente della maggioranza, per arrivare oggi a una TV sempre più attenta alla moltitudine, la nuova società plurale nella quale siamo immersi. Da esperto di televisione qual è, Freccero propone un excursus del panorama televisivo italiano, dalla nascita del servizio pubblico all’avvento delle TV commerciali, fno ai generi contemporanei più in voga come reality e infotainment, mostrando come il piccolo schermo abbia influenzato il nostro modo di vedere le cose.
E' successo alla fine degli anni '70 quando, con il Portobello di Enzo Tortora, viene distrutto il pensiero di una minoranza elitaria per dare spazio e voce a un pubblico di massa che non vuole più essere pedagogizzato e la tv commerciale è il dispositivo del cambiamento in atto. Per Freccero "sono anni di frattura, di un cambiamento annunciato dal film La Febbre del Sabato Sera che anticipa nei contenuti la logica fondante degli show che popoleranno la tv degli anni successivi. Da qui cambia la storia. Anche quella televisiva in cui il professionista, che si occupa di strutturarne i contenuti, mette in forma quello che la storia mette sul tavolo. L'audience diventa, per chi fa televisione, una droga che ne condiziona la programmazione rappresentando la prima forma di interattività dove è il piubblico che decide cosa vedere.'
"E' il pubblico che fa la tv" puntualizza Giorgio Gori. "Chi fa la tv non è responsabile di ciò che va in onda, perchè fortemente condizionato dalla logica delle audience cerca di assecondare gli interessi del pubblico espressi nelle precedenti rilevazioni. Non è la tv che ha plasmato il sentire comune, ma al contrario ha dato forma ai gusti degli italiani registrati dalle rilevazioni degli ascolti. Questo il lato democratico della tv commerciale, che ha sfondato il muro del monopolio della tv di Stato con la funzione pedagogica del servizio pubblico." Così il manager, approdato alla tv commerciale nel 1984, giustifica anche il suo passaggio in Mediaset, come partecipazione a un'operazione democratica.
Una logica sondaggistica su cui la programmazione basa le sue scelte nel breve periodo, pronta a ritrattarle ad ogni cambio di ascolti, a danno di un palinsesto qualitativamente migliore se considerato in un orizzonte temporale di lungo periodo.
"In una democrazia bisogna rispettare il volere dei più" interviene Maurizio Carlotti. "L'intellighenzia ha sempre trattato con disprezzo la programmazione delle tv commerciali, fino a quando i 'guru' hanno ottenuto la licenza tv avviando palinsesti fatti da film, telefilm e cartoon. Anche perchè ogni impresa è volta a produrre profitto, e in un modello di business basato sulla pubblicità diventa fondamentale generare contatti sempre più numerosi assecondando i gusti delle masse."
Il paradigma Auditel ha condizionato tutto il panorama televisivo Rai compresa, che è andata via via assumendo la stessa natura della tv commerciale pubblicità compresa. Come può allora assolvere alla funzione di servizio pubblico finanziato dal canone e contemporaneamente assecondare le logiche commerciali che richiedono un palinsesto costruito in funzione degli ascolti?
Il problema di fondo del panorama televisivo italiano è rappresentato dal fatto che operatori con modelli di business differenti si trovano a competere in un unico mercato rilevante in cui ci sono le pay tv, le free, chi produce e vende contenuti, e la tv di stato al primo posto in Europa tra le emittenti pubbliche per ricavi pubblicitari (30%, seguita dalla Francia con solo l'11%).
Da qui, oltre al rischio di una predominanza della pay tv se Sky dovesse unirsi a Mediaset Premium (operazione permessa dall'Antitrust perchè operanti nello stesso mercato), l'effetto inflattivo generato sul costo dei GRP.
Ecco farsi strada il modello proposto per la tv di Stato da Gori, che indiscrezioni di settore danno in pole position per una super direzione tematica Rai contenuta nel piano industriale del Dg Rai Luigi Gubitosi.
Una Rai finanziata solo dal canone e un'altra in cui convogliare i canali che vivranno solo di pubblicità, al pari delle tv commerciali, permettendo di aumentare la capacità produttiva di GRP della Rai che passerebbero dall'attuale 100% al 178% del modello riformista che prefigura le due differenti tipologie di televisione pubblica. Per Gori la soluzione sta proprio nel suo modello che genererebbe così una corretta competizione tra Rai e Mediaset, lasciando alla parte finanziata solo dal canone la possibilità di sperimentare nuove forme televisive che richiedono di un arco di tempo maggiore per arrivare al successo di pubblico.
Carlotti non è d'accordo ricordando gli effetti disastrosi prodotti dal Decreto Biagio Agnes nel 1998 che hanno permesso alla Rai di vendere pubblicità ad un costo inferiore del -25% rispetto ai listini di Publitalia, il manager incalza: "la pubblicità nella tv pubblica non deforma solo il mercato dell'advertising ma anche la funzione principale di servizio pubblico che dovrebbe avere invece di inseguire le audience per ricavarne profitto. Io sono d'accordo con il modello di Gori a condizione che la Rai nella parte commerciale sia privata e che il 50% del canone ogni cittadino lo destini con il modello 101 al soggetto televisivo pubblico o privato che a sua opinione concorre maggiormente all'equilibrio e alla completezza del sistema stesso, perchè la Rai non può essere allo stesso tempo imparziale e pluralista. Il servizio pubblico deve essere imparziale e solo il sistema televisivo nel suo complesso di reti può essere pluralista. Inoltre se metà delle reti della rai, le più costose, è mantenuta dalla pubblicità, quella metà del canone potrebbe essere distribuito ai contribuenti o messo all'asta con un contratto di programma per la realizzazione di una trasmissione settimanale di novità editoriali."
Dopo l’introduzione del digitale terrestre e delle pay TV, la televisione sta vivendo una trasformazione epocale, ed anche il modo di guardarla sta cambiando rapidamente: diminuisce lo spettatore passivo, ed il pubblico cerca sempre di più un prodotto su misura, che spesso paga, confezionando da sé il palinsesto che preferisce.
"Il digitale per la Rai" continua Freccero "dovrebbe essere una declinazione delle generaliste. In quest'ottica ha senso il modello di Gori ma di transizione verso un obiettivo a tendere che è quello di creare un sistema televisivo integrato in cui convivono due modelli: quello del grande schermo, magari in 3D, con i contenuti delle grandi major americane e quello della smart tv, dove regnano le logiche tipiche del web. Io penso che la soluzione Gori sia già in parte attuata, ci sono reti come Rai tre che sul fronte pubblicitario non contano quasi nulla. Il vero problema è Mediaset. Al contrario del servizio pubblico che ha sempre lavorato grazie alle cerimonie mediatiche come Sanremo, un tempo assecondava l'immaginario collettivo con trasmissioni di successo come il Grande Fratello. Oggi sembrerebbe essere venuta meno anche questa caratteristica a favore di una programmazione più anonima. Così come Sky non rappresenta certo la normalità per una pay tv riproducendo il modello delle reti generaliste. In uno scenario di questo tipo io penso che solo un sistema integrato possa riportare il nostro panorama televisivo alla normalità. Integrazione che ha dimostrato di essere vincente anche in politica con Beppe Grillo che ha portato in parlamento un movimento di nicchia, grazie all'utilizzo di tv-internet-piazza."
Guarda l'intervista video a Giorgio Gori e Carlo Freccero.
In uno scenario di questo tipo, in cui il potere della tv sul fronte pubblicitario assume una connotazione integrata soprattutto con i fenomeni social della rete, è doveroso chiedersi come “scaricare a terra” nell’offerta pubblicitaria l’ibridazione editoriale.
L'attuale modello di business basato sulla produzione di audience pubblicitaria a mezzo di audience editoriale non è più affidabile. La tv sta generando conversazioni fuori dal piccolo schermo attraverso i social network. Ed è anche lì che l'adv deve arrivare con attività non tabellari a forte interattività quali ad esempio l'applausometro studiato da Sky per le votazioni di X-Factor o iniziative che coinvolgano i telespettatori nella scelta del finale di programmi e serie.
"La tv sta bene" conclude Carlotti, "ed è lo strumento fondamentale per la difesa della marca e del servizio al cliente che caratterizzano produzioni di qualità. Con il proliferare dei prodotti in commercio, il secolo d'oro dell'adv sarà il ventunesimo perchè ci sarà la necessità di difendere più che mai le proprie marche e il mezzo televisivo rimarrà il migliore per farlo. E' necessario dunque investire nello studio delle audience per creare pianificazioni sempre più performanti. La tv commerciale rimane un brand defender, quindi dobbiamo tutelare il nostro sistema televisivo da stravolgimenti che potrebbero solo arrecare danni. Sul fronte commerciale il business model della tv è collaudato e ha ottenuto grandi vantaggi dalla rivoluzione digitale in atto, a differenza degli operatori del web che decideranno di penetrare questo mercato. La tv rimane ancora tra le pianificazioni più efficaci, motivo per cui un ulteriore taglio al costo per GRP potrebbe solo portare i broadcaster a tagliare i budget editoriali togliendo potenza al messaggio pubblicitario. Ne è una prova il grande problema di sostenibilità che ha Mediaset che nel 2012 ha perso 250 milioni di euro e si avvia a un risultato di Bilancio dell'anno in corso aleatorio come un terno all'otto."
La tv in Italia, nonostante la convergenza dei mezzi in atto, rimane comunque il cuore delle conversazioni parallele che si generano attorno alla propria programmazione. Il problema ci sarà quando l'infrastruttura digitale permetterà l'ingresso dei colossi della rete come Google sul mercato televisivo, perchè gli attuali broadcaster dovranno attrezzarsi per competere con realtà economicamente potenti.
Intanto conclude Freccero "il vero problema della tv odierna riguarda la programmazione. Della tv commerciale oggi salvo trasmissioni come Le Iene, quelle di Maria De Filippi e di Antonio Ricci, perchè oltre ad essere garanzia di audience trasmettono valori. Così come lo sono per il nuovo format adv adottato da Telecom (leggi news) e per l'elezione dell'ultimo Papa. Tutti fenomeni che associano valori alla produzione di audience. Nella trasmissione di valori il segreto della ripresa."
Maria Ferrucci

Un incontro con un titolo da interpretare nell'accezione di illusione come errore che sottende un desiderio, così come è stato per gli investimenti sulla tv italiana definiti dall'AgCom un errore perchè eccessivamente elevati. Nessun errore ha ribadito il Ceo di MindShare Roberto Binaghi: "gli italiani hanno semplicemente voluto farlo".
Qual è stato l’impatto della TV commerciale sulla società?
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Se “il medium è il messaggio”, ogni medium produce contenuti propri e risponde in maniera originale alle esigenze della società. Nel caso della televisione vale anche il contrario: la società stessa viene, sempre di più, condizionata a sua volta dal mezzo televisivo. Nella nostra storia siamo così passati da una televisione di classe, specchio di un’élite del paese, a una televisione ritagliata attorno al consenso esclusivo ed escludente della maggioranza, per arrivare oggi a una TV sempre più attenta alla moltitudine, la nuova società plurale nella quale siamo immersi. Da esperto di televisione qual è, Freccero propone un excursus del panorama televisivo italiano, dalla nascita del servizio pubblico all’avvento delle TV commerciali, fno ai generi contemporanei più in voga come reality e infotainment, mostrando come il piccolo schermo abbia influenzato il nostro modo di vedere le cose.
E' successo alla fine degli anni '70 quando, con il Portobello di Enzo Tortora, viene distrutto il pensiero di una minoranza elitaria per dare spazio e voce a un pubblico di massa che non vuole più essere pedagogizzato e la tv commerciale è il dispositivo del cambiamento in atto. Per Freccero "sono anni di frattura, di un cambiamento annunciato dal film La Febbre del Sabato Sera che anticipa nei contenuti la logica fondante degli show che popoleranno la tv degli anni successivi. Da qui cambia la storia. Anche quella televisiva in cui il professionista, che si occupa di strutturarne i contenuti, mette in forma quello che la storia mette sul tavolo. L'audience diventa, per chi fa televisione, una droga che ne condiziona la programmazione rappresentando la prima forma di interattività dove è il piubblico che decide cosa vedere.'
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Una logica sondaggistica su cui la programmazione basa le sue scelte nel breve periodo, pronta a ritrattarle ad ogni cambio di ascolti, a danno di un palinsesto qualitativamente migliore se considerato in un orizzonte temporale di lungo periodo.
"In una democrazia bisogna rispettare il volere dei più" interviene Maurizio Carlotti. "L'intellighenzia ha sempre trattato con disprezzo la programmazione delle tv commerciali, fino a quando i 'guru' hanno ottenuto la licenza tv avviando palinsesti fatti da film, telefilm e cartoon. Anche perchè ogni impresa è volta a produrre profitto, e in un modello di business basato sulla pubblicità diventa fondamentale generare contatti sempre più numerosi assecondando i gusti delle masse."
Il paradigma Auditel ha condizionato tutto il panorama televisivo Rai compresa, che è andata via via assumendo la stessa natura della tv commerciale pubblicità compresa. Come può allora assolvere alla funzione di servizio pubblico finanziato dal canone e contemporaneamente assecondare le logiche commerciali che richiedono un palinsesto costruito in funzione degli ascolti?
Il problema di fondo del panorama televisivo italiano è rappresentato dal fatto che operatori con modelli di business differenti si trovano a competere in un unico mercato rilevante in cui ci sono le pay tv, le free, chi produce e vende contenuti, e la tv di stato al primo posto in Europa tra le emittenti pubbliche per ricavi pubblicitari (30%, seguita dalla Francia con solo l'11%).
Da qui, oltre al rischio di una predominanza della pay tv se Sky dovesse unirsi a Mediaset Premium (operazione permessa dall'Antitrust perchè operanti nello stesso mercato), l'effetto inflattivo generato sul costo dei GRP.
Ecco farsi strada il modello proposto per la tv di Stato da Gori, che indiscrezioni di settore danno in pole position per una super direzione tematica Rai contenuta nel piano industriale del Dg Rai Luigi Gubitosi.
Una Rai finanziata solo dal canone e un'altra in cui convogliare i canali che vivranno solo di pubblicità, al pari delle tv commerciali, permettendo di aumentare la capacità produttiva di GRP della Rai che passerebbero dall'attuale 100% al 178% del modello riformista che prefigura le due differenti tipologie di televisione pubblica. Per Gori la soluzione sta proprio nel suo modello che genererebbe così una corretta competizione tra Rai e Mediaset, lasciando alla parte finanziata solo dal canone la possibilità di sperimentare nuove forme televisive che richiedono di un arco di tempo maggiore per arrivare al successo di pubblico.

Dopo l’introduzione del digitale terrestre e delle pay TV, la televisione sta vivendo una trasformazione epocale, ed anche il modo di guardarla sta cambiando rapidamente: diminuisce lo spettatore passivo, ed il pubblico cerca sempre di più un prodotto su misura, che spesso paga, confezionando da sé il palinsesto che preferisce.
"Il digitale per la Rai" continua Freccero "dovrebbe essere una declinazione delle generaliste. In quest'ottica ha senso il modello di Gori ma di transizione verso un obiettivo a tendere che è quello di creare un sistema televisivo integrato in cui convivono due modelli: quello del grande schermo, magari in 3D, con i contenuti delle grandi major americane e quello della smart tv, dove regnano le logiche tipiche del web. Io penso che la soluzione Gori sia già in parte attuata, ci sono reti come Rai tre che sul fronte pubblicitario non contano quasi nulla. Il vero problema è Mediaset. Al contrario del servizio pubblico che ha sempre lavorato grazie alle cerimonie mediatiche come Sanremo, un tempo assecondava l'immaginario collettivo con trasmissioni di successo come il Grande Fratello. Oggi sembrerebbe essere venuta meno anche questa caratteristica a favore di una programmazione più anonima. Così come Sky non rappresenta certo la normalità per una pay tv riproducendo il modello delle reti generaliste. In uno scenario di questo tipo io penso che solo un sistema integrato possa riportare il nostro panorama televisivo alla normalità. Integrazione che ha dimostrato di essere vincente anche in politica con Beppe Grillo che ha portato in parlamento un movimento di nicchia, grazie all'utilizzo di tv-internet-piazza."
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L'attuale modello di business basato sulla produzione di audience pubblicitaria a mezzo di audience editoriale non è più affidabile. La tv sta generando conversazioni fuori dal piccolo schermo attraverso i social network. Ed è anche lì che l'adv deve arrivare con attività non tabellari a forte interattività quali ad esempio l'applausometro studiato da Sky per le votazioni di X-Factor o iniziative che coinvolgano i telespettatori nella scelta del finale di programmi e serie.
"La tv sta bene" conclude Carlotti, "ed è lo strumento fondamentale per la difesa della marca e del servizio al cliente che caratterizzano produzioni di qualità. Con il proliferare dei prodotti in commercio, il secolo d'oro dell'adv sarà il ventunesimo perchè ci sarà la necessità di difendere più che mai le proprie marche e il mezzo televisivo rimarrà il migliore per farlo. E' necessario dunque investire nello studio delle audience per creare pianificazioni sempre più performanti. La tv commerciale rimane un brand defender, quindi dobbiamo tutelare il nostro sistema televisivo da stravolgimenti che potrebbero solo arrecare danni. Sul fronte commerciale il business model della tv è collaudato e ha ottenuto grandi vantaggi dalla rivoluzione digitale in atto, a differenza degli operatori del web che decideranno di penetrare questo mercato. La tv rimane ancora tra le pianificazioni più efficaci, motivo per cui un ulteriore taglio al costo per GRP potrebbe solo portare i broadcaster a tagliare i budget editoriali togliendo potenza al messaggio pubblicitario. Ne è una prova il grande problema di sostenibilità che ha Mediaset che nel 2012 ha perso 250 milioni di euro e si avvia a un risultato di Bilancio dell'anno in corso aleatorio come un terno all'otto."
La tv in Italia, nonostante la convergenza dei mezzi in atto, rimane comunque il cuore delle conversazioni parallele che si generano attorno alla propria programmazione. Il problema ci sarà quando l'infrastruttura digitale permetterà l'ingresso dei colossi della rete come Google sul mercato televisivo, perchè gli attuali broadcaster dovranno attrezzarsi per competere con realtà economicamente potenti.
Intanto conclude Freccero "il vero problema della tv odierna riguarda la programmazione. Della tv commerciale oggi salvo trasmissioni come Le Iene, quelle di Maria De Filippi e di Antonio Ricci, perchè oltre ad essere garanzia di audience trasmettono valori. Così come lo sono per il nuovo format adv adottato da Telecom (leggi news) e per l'elezione dell'ultimo Papa. Tutti fenomeni che associano valori alla produzione di audience. Nella trasmissione di valori il segreto della ripresa."
Maria Ferrucci