
Scenari
Comunicare Domani. Lamberti (Polimi): “L’AI ci ucciderà, ma solo se resteremo fermi”. Williams (Ignition) “Costi più bassi e margini più alti per le agenzie che sapranno reinventarsi”
Nel corso di Comunicare Domani (vedi news correlata), due momenti di grande interesse e ricchi di spunti di riflessione sono stati quelli che hanno visto ospiti Lucio Lamberti, Ordinario di Marketing Analytics del Politecnico di Milano, e Tim Williams, Business & Revenue Model Strategist di Ignition Consulting Group, che hanno entrambi approfondito il ruolo che l’AI giocherà come fattore di ridefinizione dei modelli di servizio e di remunerazione dei costi delle agenzie di comunicazione.
Lamberti ha esordito smontando la narrazione secondo cui l’intelligenza artificiale starebbe già rivoluzionando l’economia. Che l’adozione sia massiccia lo confermano i numeri: l’88% delle imprese globali dichiara di avere progetti AI in corso. Eppure, nonostante percentuali così roboanti, il PIL non registra la scossa che ci si aspetterebbe. “Se la tecnologia stesse davvero sostituendo tutto e tutti, dovremmo vedere un’accelerazione che oggi semplicemente non c’è”.
La realtà è più sfumata: per esempio, solo l’1,1% dei lavoratori americani sarebbe completamente sostituibile. I più esposti sono i profili junior, proprio quelli su cui si regge la marginalità delle grandi agenzie. Un paradosso che, secondo Lamberti, rischia di far crollare modelli di business già fragili.
Nel suo ruolo di “outsider”, Lamberti ha potuto descrivere senza giri di parole il settore della comunicazione come un mercato che si è fatto male da solo: una guerra dei prezzi che spesso parte dall’offerta, servizi di misurazione regalati e dunque svalutati, grandi gruppi costretti da costi fissi elevati da un lato a cercare integrazioni e acquisizioni per crescere inorganicamente, e dall’altro a spremere proprio le figure meno costose – ma anche le più sostituibili dall’IA.
In questo contesto, la ricetta più gettonata è un mantra noto: puntare sulla consulenza strategica. Ma quante agenzie hanno davvero la struttura per farla? E, ancora: siamo sicuri che i clienti la vogliano davvero, o sono le agenzie a volerla imporre?
Lamberti non ha dubbi: l’AI abbasserà ulteriormente le barriere d’ingresso, favorirà un ritorno – per quanto forse effimero – dell’in-housing e renderà i clienti molto più preparati a valutare e contestare offerte e progetti. “Moriremo tra atroci sofferenze – ha ironizzato –: ma solo se continueremo a lavorare come abbiamo sempre fatto”.
Eppure, nonostante tutto, il marketing cresce del +8% annuo, molto più dell’economia italiana: “Il valore c’è – spiega Lamberti –, ma lo ottiene chi sa portarlo davvero. Non chi lavora a ore, ma chi sa offrire pensiero, creatività, fiducia, riconoscibilità”.
Il primo indispensabile passo da compiere è recuperare l’essenza stessa della creatività, in un mondo in cui l’AI rende tutto prevedibile. “L’imprevedibilità è ciò che ci fa crescere. L’AI appiattisce, noi dobbiamo sorprendere”, ha affermato Lamberti, invitando anche a misurare seriamente l’efficacia delle idee, accettando che alcune possano fallire.
C’è poi un tema più sottile: l’AI tende a produrre sempre risposte medie, alimentando una sorta di “bolla statistica” che rafforza l’omologazione. La sfida per le agenzie sarà quindi lavorare negli spazi che la macchina non vede, diventare “rompibolle”, persino cross-validando il lavoro di altre agenzie.
C’è poi un’altra frontiera ancora, quella del marketing progettato per un mondo dove gli umani convivono con agenti AI: clienti che delegano ai loro assistenti artificiali i compiti più noiosi, brand che devono essere leggibili sia dalle persone sia dagli algoritmi di raccomandazione, “Fino a quando arriverà il machine-to-machine, che nessuno sta esplorando ma che arriverà”.
Infine, l’argomento più umano: la differenza tra ciò che la tecnologia sa fare e ciò che noi sappiamo essere. L’AI lavora sul consenso, non sulla ragione; esegue, non interpreta; segue regole, ma non conosce la morale. Gli umani possono offrire ciò che Lamberti riassume nelle “4 R”: realtà, rilevanza, reazione, risonanza.
Chiudendo con una citazione di Edward Hopper – “Se avessi avuto le parole, non avrei mai dipinto” –. Lamberti ha lanciato un invito finale: non competere con la macchina sul terreno dell’esecuzione, ma su quello del senso, della visione, dell’impatto emotivo.
“Ciò che ci rende unici – ha concluso –,non è ciò che facciamo, ma il modo in cui diamo significato al mondo. Ed è da lì che dobbiamo ripartire”.
LA RIVOLUZIONE DELL’IA
Secondo Tim Williams, consulente internazionale Business & Revenue Model Strategist di Ignition Consulting Group, l’industria della comunicazione sta entrando in una fase che non esita a definire “la più dirompente dei tempi moderni”. Il motore di questa trasformazione è l’intelligenza artificiale, che non solo modifica il modo in cui si produce creatività, ma impone di ripensare dalle fondamenta il modello di business delle agenzie.
La riflessione di Williams è partita dall’affermazione di Sam Altman, CEO di OpenAI, secondo il quale il 95% delle attività oggi svolte dalle agenzie potrà essere eseguito dall’IA in modo quasi istantaneo e a costo irrisorio. Una previsione che fino a poco tempo fa sarebbe stata derubricata a provocazione, ma che oggi suona come un anticipo del futuro. Molti clienti hanno già iniziato a ridurre gli investimenti o a trasferire internamente parte delle attività, supportati da strumenti che automatizzano compiti un tempo considerati altamente specialistici. Non stupisce che alcuni investitori parlino di una “grande estinzione”: 20 trilioni di dollari di valore dei servizi professionali destinati a svanire nei prossimi due anni.
In questo scenario, Williams intravede due certezze. La prima riguarda la fine inevitabile della fatturazione oraria. Se l’IA consente di completare in pochi secondi ciò che prima richiedeva ore di lavoro umano, misurare il valore in base al tempo diventa assurdo. Lo riconosce oggi persino Sir Martin Sorrell, che per decenni ha difeso il modello del billing a ore: le agenzie – dice – non avranno scelta se non passare a una logica basata sugli output, cioè sui deliverable, e sugli outcome, i risultati generati.
La seconda certezza è ancora più radicale: la necessità di trasformare le agenzie in imprese “productizzate”. Una parola che può spaventare – evoca standardizzazione, perdita di creatività – ma che secondo Williams è più vicina alla realtà delle agenzie di quanto si creda. La productizzazione non riguarda infatti gli output, che restano su misura, ma i processi che portano a quei risultati. Significa definire pacchetti, programmi, piattaforme che guidano il lavoro e ne rendono chiaro il valore. È la logica che da anni applicano le grandi società di consulenza, che già oggi ricavano fino al 70% dei ricavi da prodotti codificati.
La transizione è tutt’altro che teorica. TBWA, per esempio, ha ripensato la propria offerta in una serie di piattaforme e programmi. L’agenzia indipendente Beyond ha ridotto tutto a tre prodotti, rendendo immediatamente comprensibile a un cliente come lavora. E gli effetti economici sono impressionanti: un’agenzia che abbandona le ore e adotta un modello productizzato può raddoppiare i margini e aumentare in modo significativo i ricavi per dipendente. In altre parole, può finalmente diventare scalabile, crescere senza aumentare in parallelo il numero di persone.
Il ruolo dell’IA in questo processo è fondamentale. Non solo accorcia i tempi, ma consente di creare veri e propri prodotti: piattaforme che accelerano la produzione creativa, sistemi che analizzano dati e prevedono risultati, strumenti che testano migliaia di varianti in tempo reale. L’agenzia Known, per esempio, ha sviluppato Skeptic, un software capace di generare, distribuire e ottimizzare migliaia di combinazioni creative contemporaneamente. Viene venduto ai clienti come un servizio in abbonamento, in perfetto stile “AI-as-a-service”.
Questo nuovo ecosistema impone anche un nuovo modo di intendere il pricing. Non si paga più per lo sforzo ma per il valore, che può manifestarsi in un output a prezzo fisso, in un prodotto licenziato come software, o persino in un compenso legato del tutto ai risultati, come percentuali su revenue incrementali o lead generati. Paradossalmente, tutto questo rende possibile una combinazione che fino a poco tempo fa sembrava impossibile: prezzi più bassi per i clienti e margini più alti per le agenzie. L’IA consente infatti di ridurre drasticamente i costi senza diminuire il valore percepito.
La conseguenza, secondo Williams, è uno scenario di forte selezione naturale. Sopravvivranno solo le agenzie che sapranno reinventarsi, che adotteranno l’IA non come un gadget, ma come il pilastro di un nuovo modello organizzativo, commerciale e strategico. Le altre faticheranno o usciranno dal mercato.
Il suo messaggio finale è comunque all’insegna dell’ottimismo. Il momento, dice Williams, è difficile ma offre una possibilità storica. Basta agire subito: rivedere i listini, ripensare i processi, introdurre strumenti di IA in modo sistemico, ridefinire i ruoli, sviluppare prodotti propri e reinvestire i risparmi in innovazione. Una volta avviato questo circolo virtuoso, l’agenzia può diventare più creativa, più efficace e più profittevole di quanto sia mai stata. La rivoluzione è iniziata. Sta alle agenzie decidere se subirla o guidarla.
Tommaso Ridolfi

