Scenari

Report Media & Entertainment Mediobanca: Netflix prima per ricavi al mondo come singola piattaforma. Nel nostro Paese, la Rai primo gruppo per fatturato. Nel 2021 il giro d’affari del settore radiotv italiano a quota 8,5 miliardi di euro (+4,6% sul 2020)

Lo studio ha fotografato il settore a livello mondiale e italiano, analizzando le performance dal 2019 al 2022 dei principali gruppi italiani e dei 20 maggiori player privati mondiali di cui nove statunitensi, 8 europei e uno rispettivamente in Giappone, Messico e Sudafrica.

Nei primi nove mesi del 2022 crescono dell’8,2% i ricavi delle principali società internazionali di Media & Entertainment rispetto allo stesso periodo del 2021. Lo certifica il nuovo Report Media & Entertainment realizzato dall’Area Studi Mediobanca.

I risultati ottenuti da Netflix (+8,1%) sono allineati alla media seppure in forte rallentamento rispetto alla crescita che ha caratterizzato il periodo della pandemia (+24,0% var. 2020/19 e +18,8% var. 2021/20). Lo stesso lasso di tempo ha impresso una forte accelerazione al cambiamento nei comportamenti degli spettatori, soprattutto se nativi digitali.

La crescita dello streaming mostra alcune criticità come la saturazione del mercato e l’inasprimento della competizione con l’ingresso dei giganti del WebSoft anche nel comparto dei contenuti originali. Queste tematiche mostrano la crucialità dell’infrastruttura tecnologica, rendendo improcrastinabili maggiori investimenti a livello di singolo Paese.

I ricavi dei servizi in streaming sono aumentati del 14,8% pari a una quota di circa il 17% del giro d’affari totale. In crescita anche gli incassi da produzione e distribuzione di contenuti (+4,1%, pari al 18,4% dei ricavi) e la raccolta pubblicitaria (+2,0%, pari al 19,8%). In diminuzione del 4,9% (19,7% del totale)gli abbonamenti alla Pay TV tradizionale, a causa di una modalità di accesso ai contenuti media sempre più on demand e frammentata.

A livello di redditività industriale, l’ebit margin si è attestato al 12,5%, in calo dello 0,7%  sul 2021. Tra i sei operatori con redditività superiore alla media, cinque sono statunitensi e uno è europeo (la francese TF1, 13,7%).

Sul podio si collocano Fox al 24,5%, AMC Networks al 22,5% e Netflix al 21,4%. ProSiebenSat.1 ha segnato la peggiore performance tra tutti gli operatori internazionali crollando di 13,2 punti percentuali, al -3,8%, meglio solo del -5,2% della statunitense Lions Gate e del -5,3% della neocostituita Warner Bros. Discovery.

Crescono del 18,6%, tra il settembre 2022 e lo stesso mese del 2021, gli utenti dei servizi in streaming. Walt Disney è il 1° player per numero di abbonati su scala globale con le sue tre piattaforme (Disney+, Hulu e ESPN+) che insieme raggiungono quasi i 236 milioni. A livello di singola piattaforma, Netflix conferma la prima posizione con 223 milioni di abbonati (pari al 24,3% del mercato), seguita da Prime Video (22,8%) e, a distanza, Warner Bros. Discovery (10,3%, quasi 95 milioni di abbonati) e la Paramount Global (7,2%, oltre 66 milioni).

Nel 2021 il giro d’affari aggregato dei 20 principali operatori internazionali privati ammontava a 324,1 miliardi di euro (+12,2% rispetto al 2020), generato per circa l’85% dai player a stelle e strisce, con sei di essi inclusi nella Top10 della classifica per fatturato guidata da Comcast.

Il primo gruppo non statunitense è la francese Vivendi, settimo con ricavi a 9,6 miliardi di euro, la lussemburghese RTL Group si colloca in nona posizione (6,6 miliardi di euro), seguita da ProSiebenSat.1 (4,5 miliardi di euro), di cui il 29,9% è detenuto dal Gruppo MFE.

Nel triennio 2019-2021, i ricavi dei colossi privati del settore televisivo sono cresciuti in media dell’1,8%, con il continuo sviluppo delle piattaforme streaming che ha bilanciato il rallentamento delle TV tradizionali.

Netflix che segna un CAGR del +21,4%, distanziando Sony Picture, in seconda posizione con un +10,6%. In terreno negativo cinque operatori, tre dei quali europei, con la statunitense Walt Disney che registra il maggiore calo (-7,7%).

L’andamento del settore radiotv in Italia

Nel 2021 il settore radiotelevisivo italiano ha recuperato parte del terreno perso durante la pandemia, raggiungendo un giro d’affari di 8,5 miliardi di euro (+4,6% sul 2020), ma ancora inferiore agli 8,7 miliardi di euro del 2019 (-2,6%).

La ripresa non è stata omogenea tra i vari comparti: il mezzo che cresce di più (11,2%) è la radio (0,6 miliardi di euro nel 2021). Segue la TV in chiaro (+9,7%, a 4,8 miliardi di euro), mentre prosegue il calo della TV a pagamento (-3,6% a 3,1 miliardi di euro). La Pay TV tradizionale ha registrato un ridimensionamento (-14,9%) a fronte dello streaming che cresce a doppia cifra (+32,0%), tanto da consentire al comparto di aumentare il proprio peso specifico sui ricavi complessivi della TV a pagamento fino al 32,3% (incidenza più che doppia rispetto al 2019). Le piattaforme online continuano a espandersi arrivando a rappresentare l’11% del settore nel 2021.

Rispetto al 2020, i ricavi pubblicitari sono cresciuti del 13,4%: +13,3% quelli della TV e +14,2% quelli della radio.

Nel 2021 i ricavi degli otto principali operatori Media & Entertainment italiani sono cresciuti del 3,4% sul 2020 (però inferiore del 6% rispetto al 2019), grazie principalmente alla continua espansione del segmento S-Vod (+40,5%) e alla ripresa del mercato pubblicitario (+14,5%). Ancora sottotono i ricavi della Pay TV (-15,1%).

Il mercato italiano si conferma concentrato, con i primi tre operatori televisivi (Rai, Sky e Mediaset) che sviluppano oltre l’80% del giro d’affari complessivo.

Nel 2021, la Rai è in prima posizione in termini di fatturato (2,7 miliardi di euro, +6,7% sul 2020. Seguono Sky (2,5 miliardi di euro, -10,4% sul 2020) e Mediaset (2,0 miliardi di euro, +11,7%). Prosegue la crescita esponenziale delle piattaforme online, grazie soprattutto a Netflix che può già contare su quasi 5 milioni di abbonati (+50% rispetto al 2019). Questi numeri consentono all’operatore S-Vod di sviluppare nel nostro Paese un giro d’affari stimato attorno ai 550 milioni di euro(+35% sul 2020 e +70% rispetto al 2019), con una proiezione verso i 600 milioni nel 2022.

A livello occupazionale, nel 2021 diminuiscono gli organici sia sul 2020 (-1,9%) sia sul 2019 (- 2,8%). Tra i broadcaster tradizionali solo La7 ha incrementato il proprio livello occupazionale in entrambi i periodi.

L’ebit margin chiude in territorio negativo, scendendo al -5,2% nel 2021 (-6,1 punti percentuali rispetto al 2019). In netta controtendenza: Paramount (+9,7 p.p.), Walt Disney (+5,8 p.p.) e Mediaset (+5,0 p.p.).

Per l’intero 2022 si stima un calo del 4% dei ricavi complessivi dei principali operatori italiani del settore, in virtù dell’ulteriore contrazione della Pay TV tradizionale e del rallentamento della raccolta pubblicitaria (che dovrebbe chiudere l’anno con un -5%), sempre controbilanciati dalla crescita dello streaming. In tale ambito, l’Italia deve però colmare il gap con i principali Paesi europei quanto a diffusione delle reti VHCN (Very High Capacity Networks).

Il mercato televisivo pubblico europeo e il canone

Con 8,9 miliardi di euro, il servizio radiotelevisivo pubblico tedesco registra a livello europeo il giro d’affari più elevato, più del triplo rispetto a quello italiano (2,6 miliardi di euro).

L’Italia (Rai) si distingue quanto a redditività industriale: nel 2021 l’ebit margin della TV pubblica italiana si è attestato al 3,6% (in diminuzione di 0,2 p.p. sul 2020), davanti al 3,2% del Regno Unito e al 2,5% della Spagna (unica in miglioramento, +5,9 p.p. sul 2020), mentre permane in territorio negativo la Francia (-1,1%).

All’Italia spetta infine il più basso canone unitario fra i maggiori Paesi europei, inferiore anche alla media europea (0,25 euro al giorno per abbonato contro gli 0,32 euro medi). Molto più onerose per i contribuenti la TV pubblica tedesca (0,58 euro giornalieri), quella britannica (0,50 euro) e francese (0,38 euro). Nel 2022 solo 77,8 euro dei 90 euro (pari all’86%) sborsati da ogni abbonato sono stati incassati dalla Rai, un’incidenza anche in questo caso inferiore alla media europea (90,5%).