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Branded Content con Vista di Emanuele Landi. La fandom è la nuova misura del successo di un prodotto editoriale…e di una marca?

Nel quinto appuntamento con la rubrica in esclusiva per ADVexpress, il Founder di Landi Consulting riflette: "Nel cambiamento in corso che vede i creator importati in realtà editoriali (Tubi, BBC studios) e realtà generaliste inglobate in tv streaming (Netflix, Prime con TF1 e France Television) c’è una grande opportunità per le marche: tornare ad avere un contesto editoriale, ricco, ben chiaro e super misurabile dove creare storie lunghe e dove capitalizzare la forza del messaggio. La marca ed il prodotto devono diventare narratori forti e presenti."

Stiamo assistendo ad un cambio di paradigma negli ultimi tempi. Alcuni grandi e grandissimi creatori di contenuto tradizionali cambiano modello di distribuzione. Sembra che l’esclusività stia lasciando il passo ad una sorta di whatever it takes Draghiano.

Tf1 distribuisce il suo contenuto su Netflix, France television su Prime Video, BBC studio semina i suoi contenuti su tutte le piattaforme possibili anche quelle gratuite raccogliendo share e revenues. Anche Tubi apre ai creators aprendo uno spazio per loro. Come racconta Evan Shapiro nella sua ultima intervista di media Odissey il caso di BBC studio è molto interessante perché rappresenta un passaggio non banale di un grande produttore di contenuti tradizionale e pubblico.

Come afferma una top manager di BBC studio, il cambiamento dei parametri di KPI è il passaggio fondamentale. Dalle views che è una metrica di vanità ma poco sistemica alla fandom che detta così può sembrare altrettanto eterea invece no perché avere fan coinvolti che ti cercano con continuità, ti imitano, ti comprano è fondamentale. E’ una regola aurea delle grandi major dell’intrattenimento ma oggi i canali distributivi sono cambiati. Youtube è la currency principale, i creators indipendenti i nuovi IP da conquistare.

BBC STUDIOS dominando tutti i touch point distributivi in modo coordinato aumenta le proprie revenues pubblicitarie su youtube (+111%) sfruttando la sua forza vendita e monetizza le content sales sulle altre piattaforme a cui vende i contenuti e soprattutto conquista un pubblico globale trasformando i propri asset come animazione kids in un content globale con fan in tutto il mondo. Un modello questo tipico delle vecchie major cinematografiche ma evoluto con contenuti personalizzati per ogni piattaforma e distribuiti ovunque non più e non solo sulle piattaforme proprietarie. Il modello esclusivo è quindi morto? Sicuramente non se la passa bene perché si è capito che il pubblico si prende dove si trova già invece di costruire curve di acquisizione costosissime.

Questi nuovi paradigmi distributivi giocano un ruolo straordinario anche per i racconti di marca. Se i produttori di contenuto cercano fan in modo evoluto modificando le storie, anche le marche dovranno farlo e per farlo servirà trovare una nuova modalità di narrazione, non una ottimizzazione estrema, “one fits all”, ma un vero piano editoriale, un mix di storie che generi altre storie e appunto un fandom.

Il fandom non è un dato generico, impalpabile, è il carburante per la sopravvivenza di una marca. Noleggiare temporaneamente quel creator o quell’influencer non basta più, serve una trasformazione narrativa. La marca ed il prodotto devono diventare narratori forti e presenti. Ed è misurabile in un modo che anche io ho provato in passato. Agire come un creator significa che altri saranno ispirati e creeranno altri contenuti sul tuo prodotto. E quei contenuti genereranno valore a soldi di advertising.

Immaginate ora se invece di un broadcaster sia una marca a comportarsi così. La creazione di IP proprietari magari tratti da una feature di prodotto o di un brand che diventano ispiratori di altri contenuti: promozione scalabile, personalizzata, coinvolgimento, spunti di promozione apertura verso nuove fonti di revenues da merchandising.

La recente vicenda del fallimento della Del Monte al netto delle complessità finanziarie ci restituisce una conferma a quanto dico: quando le abitudini di consumo cambiano e il prezzo diventa la variabile vincente un brand se non ha fondamenta solide e connessione potente crolla. Quel servizio o quel prodotto non ha più ragion d’essere. Del Monte aveva creato un brand ultranotorio ergendosi ad alfiere della qualità. “L’uomo del Monte ha detto si” e non importava che fosse frutta conservata, il deal era: ti porto la frutta migliore che c’è, controllata. Anche se questo non era vero non importava, la percezione era granitica.
Quando questo paradigma è crollato e il credito di credibilità si è consumato, l’azienda ne ha risentito.

In questo cambiamento epocale in cui i creator vengono importati in realtà editoriali (Tubi, BBC studios) e realtà generaliste vengono inglobate in tv streaming (Netflix, Prime con TF1 e France Television) c’è una grande opportunità per le marche: tornare ad avere un contesto editoriale, ricco, ben chiaro e super misurabile dove creare storie lunghe e dove capitalizzare la forza del messaggio.

Ed ecco che in un contesto del genere dove i dati e la misurazione diventano dinamici e tridimensionali un indice di rilevanza editoriale per un brand diventa una currency credibile e calcolabile subito per creare racconti sempre più funzionali ed efficaci.

Un bridge fra capacità editoriali e marketing è sempre più urgente.