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BC&E Festival 2023. Purpose, consistency, rilevanza e impegno per “svegliare ogni giorno un mondo migliore', le keywords dell'approccio Lavazza alla sostenibilità, raccontata con una content strategy transmedia

Eleonora Coffaro, Creative Content & Brand Image Manager, intervistata da Anna Vitiello di OBE, alla giornata dedicata ai contenuti sul tema 'The Integration Challenge' ha spiegato come la sostenibilità sociale, economica ed ambientale sia al centro dell'azienda e della Fondazione, con 32 progetti in venti Paesi e tre continenti, a beneficio di oltre 130 mila coltivatori di caffè e di uno storytelling che unisce con un fil rouge i brand, le piattaforme, i mezzi e i messaggi, potenziandone la visibilità anche tramite creator e influencer.

Da quasi 130 anni svegliano gli italiani, cercando di costruire un mondo migliore, mattina dopo mattina, caffè dopo caffè: stiamo parlando di Lavazza, brand che da qualche anno sembra non sbagliare un colpo in fatto di comunicazione branded content. “Il nostro segreto è la coerenza, che fa parte del nostro imprinting”. Ecco la storia di una comunicazione di successo di un’azienda a conduzione familiare, ma dal respiro globale.

All’interno del BC&E Festival, l’evento organizzato da ADC Group in collaborazione con OBE, dedicato al Branded Content and Entertainment, una delle protagoniste della giornata dedicata ai contenuti sul tema 'The Integration Challenge', lo scorso 18 aprile, è stata
Eleonora Coffaro, Creative Content & Brand Image Manager, intervistata da Anna Vitiello di OBE sull'argomento 'Quando la sostenibilità è il centro di una content strategy transmedia'.

 

Di sostenibilità si parla tanto e ne parlano un po’ tutti, oggi è al centro di ogni strategia di comunicazione. Non è il caso di Lavazza, in cui davvero si parte dal purpose, che potremmo riassumere secondo lo schema di Dan Salva, motivatore ed esperto di brand identity. Tre sono le domande che un brand si deve porre: cosa sai fare meglio? Cosa ti appassiona? Come puoi fare la differenza? La risposta dev’essere allineata per tutte e tre le questioni, non solo per una. E di base è quello che ha fatto Lavazza: ha trovato il suo allineamento magico. Come avete fatto?

“Il nostro purpose è “Awakening a better world every morning”, ovvero “Svegliamo un mondo migliore ogni giorno”: in Lavazza in effetti ci impegniamo a costruire un mondo migliore, caffè dopo caffè ogni mattina, da 128 anni. Il nostro faro è una citazione attribuita al fondatore Luigi Lavazza, che abbiamo anche riportato sui muri aziendali: nel 1934 si è recato in Brasile nelle coltivazioni con una delegazione dei maggiori importatori di caffè brasiliano. Il suo obiettivo era visitare queste piantagioni per vedere come veniva svolto il lavoro. Ebbene si rese conto che vi era un’enorme quantità di caffè sprecato. Ecco che allora esclamò: ‘In un mondo che distrugge i beni della natura io non ci sto’. È immediatamente intuibile come dalle origini l’attenzione ai temi sociali, culturali e ambientali è parte del nostro Dna”.

 

Per portare avanti un purpose, occorre che vi sia un impegno comune, del commitment da parte di tutti gli attori coinvolti, dagli stakeholders ai dipendenti, fino ai touch point. Se quella del brand purpose è solo una straordinaria strategia di marketing, non può avere successo… Quindi, quanto è forte il commitment in Lavazza?

“Tutto il nostro modello di business si basa su una sinergia tra sistema valoriale e solidità economica ed è testimoniata dall’impegno economico ed etico della Fondazione Lavazza, che da vent’anni opera in campo di sostenibilità sociale, economica ed ambientale con particolare attenzione alle comunità produttrici di caffè. Abbiamo attivi 32 progetti in venti Paesi e tre continenti, a beneficio di oltre 130 mila coltivatori di caffè. E non si tratta solo di collaborazione tra i diversi attori sul territorio, ma soprattutto di migliorare la resa produttiva e la qualità dei chicchi raccolti, promuovendo l’imprenditorialità dei produttori e il miglioramento della loro condizione di vita e favorendo la parità di genere e lo sviluppo nuove generazioni. Le attività della Fondazione sono il cuore dell’azienda: abbiamo un’intera gamma di prodotti – Tierra, per esempio - che porta sul fronte pack alcuni di questi progetti”.

 

Il purpose – lo sappiamo - deve avere delle precise caratteristiche: dev’essere autentico, rilevante, contestualizzato e perseguibile. Di solito, il metodo strategicamente più corretto è avere una comprensione globale per poi focalizzarsi sul proprio agire. Da Agenda 2030 in poi, come è stato per voi questo atto a imbuto?

“Rimando al ‘ fare la differenza’ di cui parlavamo prima. In modo diligente negli ultimi anni, da quando abbiamo aderito agli SDGs delle Nazioni Unite, abbiamo svolto un’analisi del nostro impatto e di conseguenza abbiamo selezionato i goals in cui più potevamo rispecchiarci. Dei 17, abbiamo selezionato: il 5, sull’uguaglianza di genere; l’8, sul lavoro dignitoso e sulla crescita economica; il 12, sul consumo e la produzione responsabile e il 13, l’agire per il clima.

All’interno di questa selezione, convergono tantissimi progetti: per esempio, per promuovere la parità di genere nelle comunità – la maggior parte dei lavoranti sono donne, e solo poche posseggono le terre che coltivano – abbiamo lanciato il Progetto “Gap free”, sulla diversity e l’inclusion. A questi goals, abbiamo affiancato il nostro Goal zero, avviato per diffondere il più possibile il messaggio di Agenda 2030. Per esempio, nel 2018 abbiamo lanciato il progetto di street art ToWard 2030, progetto di arte urbana, con 17 street artist, che hanno realizzato nella città di Torino, 17 murales, ciascuno rappresentante uno dei goal di Agenda 2030”.

 

Il purpose deve essere perseguibile e perseguito, ovvero deve rispondere alle domande: quali obiettivi vogliamo raggiungere? Quando e in che tempi? Come misurarli? A tal proposito, occorre avere una storia e poi raccontarla nel modo giusto. In questo caso, il progetto “Blend for better” è un esempio efficace…

“Mettendo insieme tutto quello che negli anni avevamo fatto, abbiamo capito di aver bisogno di raccontare una storia che avesse un filo conduttore. Ecco che abbiamo creato “Blend for better”, un contenitore di eventi che nel giro di un anno ha raccontato la storia di Lavazza.

Siamo partiti da “Blended orchestra”: abbiamo letteralmente suonato la sostenibilità con strumenti inventati dai materiali dei progetti della Fondazione, chiamando dei musicisti e un producer molto famoso come Mace; poi durante la Giornata della Terra abbiamo navigato il Canal Grande a Venezia insieme all’artista Saype, che ha realizzato un’opera di land art galleggiante; poi abbiamo lanciato su Amazon Prime la seconda edizione del documentario “Coffee defenders” dal titolo “Amazonia – The final season”, con il musicista Ben Harper come narratore dei progetti di deforestazione in Amazzonia; successivamente siamo sbarcati nel Metaverso con la “Lavazza arena”, uno spazio di gioco su Roblox, in cui abbiamo cercato di raccontare alle nuove generazioni gli effetti della deforestazione, facendoli giocare a calcio. Ad Halloween abbiamo coinvolto tre dei nostri chef ambassandors – ovvero Massimo Bottura, Carlo Cracco e Norbert Niederkoffler - per raccontare che in realtà i veri mostri sono gli sprechi alimentari. Infine, abbiamo concluso il 2022 con un grande classico da trent’anni a questa parte: il calendario Lavazza, che quest’anno si chiamava “Yes, we are open”, perché abbiamo immaginato come il bar, luogo di inclusione per eccellenza, potesse davvero diventare un posto dove tutte le persone, le culture, le identità potessero essere accolte e accettate. Un bell’augurio di fine anno”.

 

La vostra è proprio una content straetgy transmedia, ovvero una strategia unica, ma che utilizza diversi strumenti e piattaforme, e ciascuna racconta un pezzo del puzzle. Quali progetti avete per quest’anno?

“Di sicuro continueremo con una strategia multichannel, con una serie di contenuti always on, che continueranno a raccontare il nostro punto di vista sulla sostenibilità. E poi presidieremo le diverse Giornate Internazionali, in cui noi ci inseriremo in modo rilevante (Earth day, Pride month, Mental health…), perché li reputiamo temi su cui abbiamo e vogliamo dire la nostra. E poi lanceremo qualche firework, per raccontare meglio alcuni nostri prodotti.

È vero, ciascuno di questi progetti è pensato per un canale, ma poi coinvolge tantissimi altri touch point, non è mai monocanale: prendiamo l’essenza del progetto e lo affidiamo o a un creator su TikTok o a un partner editoriale. Un unico messaggio raccontato in modo diverso: è ovvio che noi perdiamo il controllo perché il messaggio sarà intriso dello stile e del linguaggio di quel creator, ma è solo così che il brand ci guadagna in credibilità”.

 

Fondamentale quando parliamo di comunicazione transmedia è la consistency, ovvero la coerenza. E se parliamo di questo valore, a me viene in mente il prodotto “Qualità rossa”, che in sé integra l’italianità e il tema della inclusione e della sostenibilità. Come avete fatto a integrare due linee narrative che hanno dei punti di differenza, mantenendo sempre un approccio coerente e fedele alla tradizione?

“Credo che il punto di partenza siano i valori: Lavazza è un’azienda familiare, che ha un imprinting forte che permea tutto quello che facciamo. Quindi la coerenza c’è di default. “Qualità rossa” è il caffè di tutti gli italiani da più di 50 anni, rappresentativo proprio del brand Lavazza. Negli ultimi anni abbiamo cominciato un lavoro di refresh, di svecchiamento, cercando di mantenere la credibilità.

Due anni fa abbiamo lanciato “Nuove strade”, quest’anno c’è l’iniziativa “L’Italia che vorrei”, che vede portavoci tre talent incredibili, come Marracash, Levante ed Elodie, chiamati a raccontare i valori dell’Italia di oggi e di domani, un’Italia che noi vorremmo equa, libera e giusta.

I tre artisti hanno reinterpretato questi tre valori, partendo dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che quest’anno compie 75 anni, per arrivare al cuore delle giovani generazioni.

Non solo, collaboriamo da più di vent’anni con Save the children, cui abbiamo chiesto di essere partner e fra poco apriamo le prime Basement Room, all’interno di Civico Zero, a Milano, Torino e Roma: stanze dedicate a musica e podcast, in cui i ragazzi che frequentano questi centri diurni, luoghi di ritrovo per realtà più svantaggiate, potranno incontrare i nostri talent, i quali racconteranno la loro esperienza”.

 

Andiamo al sodo: quanto questa strategia di comunicazione ha impattato sulla parte organizzativa?

“Pensate solo che abbiamo creato la divisione apposita di Creative content, nata un anno e mezzo fa, mettendo insieme una parte di digital content e una di advertising, per creare contenuti, pensarli in modo diverso sin dall’inizio”.

 

Diteci la verità: qual è il progetto che avreste voluto realizzare voi come brand?

“Non ho dubbi: l’adv Nike in collaborazione con Colin Kaepernick: un progetto epico, che più di 5 anni fa fece parlare tutto il mondo in tempi in cui ancora di purpose non si parlava, e che ancora oggi fa parlare di sé”.