Scenari

Interbrand analizza le operazioni di M&A: il ruolo del brand prima e dopo la firma

Le ultime grandi acquisizioni rispecchiano il trend generale delle operazioni di M&A a livello internazionale: nel primo semestre del 2025 si è verificata una generale riduzione del numero di operazioni ma una crescita del valore aggregato. Il successo di un'acquisizione non si gioca unicamente sul prezzo, ma sulla capacità di integrare strategicamente brand, culture e persone.

L’intensificarsi della competizione, la trasformazione portata dall'arrivo dell'Intelligenza Artificiale (AI), e le nuove incertezze di natura macroeconomica stanno influenzando le recenti dinamiche delle operazioni di Mergers & Acquisitions (M&A). La volatilità odierna sta quindi costringendo le aziende a compiere scelte sempre più ponderate, specialmente per quanto riguarda le strategie di crescita esterna e di gestione del brand portfolio.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a diverse operazioni di ampia portata come l’acquisizione di Versace da parte del Gruppo Prada, quella di Shockwave Medical da parte di Johnson & Johnson, l'acquisizione di Kellanova (che detiene, tra gli altri, brand come Pringles e Special K) da parte di Mars e il duplice affondo di Ferrero su WK Kellogg Co e sul gruppo dolciario CPK (Carambar Poulain Krema). Accordi di grande impatto, indubbiamente, che rispecchiano il trend generale delle operazioni di M&A a livello internazionale: nel primo semestre del 2025 si è verificata, infatti, una generale riduzione del numero di operazioni ma una crescita del valore aggregato.

Oggi, sempre più, il successo di un'acquisizione non si gioca unicamente sul prezzo o sull’opportunità finanziaria, ma sulla capacità di integrare strategicamente brand, culture e persone. La teoria la conosciamo tutti, ma portare a compimento il processo nella pratica è ben più complesso.

Le implicazioni identitarie, valoriali e operative di due realtà che si fondono sono spesso sottovalutate. In uno scenario dove la competizione è sempre più fluida e si muove trasversalmente tra settori, le aziende devono porsi una domanda chiave: come anticipare e superare i rischi di brand legati ad una operazione di M&A? Interbrand esplora le strategie che ogni marketer dovrebbe conoscere prima di intraprendere un’operazione di questa portata.

"Le aziende coinvolte in operazioni di M&A non possono trascurare il ruolo che il brand svolge all'interno del processo. È fondamentale partire da una corretta valutazione economica non solo a livello di Enterprise Value, ma anche di valore intangibile del brand, in quanto asset unico e inimitabile di cui l'azienda dispone, in grado di generare valore per tutti gli stakeholder, interni ed esterni. Inoltre, il brand è l'elemento che può conferire al business la credibilità per estendersi oltre il proprio core ed aprire nuove fonti di ricavo in ottica prospettica, tema che diventa focale in determinati processi di integrazione" afferma Gaia Pedinelli (nella foto), Senior Director, Economics, Interbrand.

I deal team spesso trascurano questo potenziale di crescita nella fase di valutazione. Sebbene sia prassi consolidata quella di valutare sinergie di mercato, copertura della clientela e sovrapposizioni a livello di prodotto, l’analisi del potenziale a livello di brand è rara.

E questo, nonostante sia un aspetto fondamentale che può prevenire la distruzione di valore e facilitare la generazione di ritorni significativi rispetto all’investimento richiesto. Un solido esercizio di valutazione del brand, che mette in evidenza il valore attuale e il potenziale valore futuro, può quindi supportare quantitativamente il valore complessivo dell’azienda.

"Tuttavia, non si tratta solo di valore monetario. La narrazione, supportata da evidenze chiare, che illustri come il brand possa favorire la crescita del business e creare ulteriore valore sotto una nuova proprietà, riveste un'importanza cruciale" sottolinea Gaia Pedinelli. "Una narrativa potente, dinamica e articolata può fare la differenza. È essenziale che numeri e narrativa si alimentino reciprocamente per rendere l'equity story realmente efficace".

È quindi facile comprendere che valutare il brand non è solo un esercizio prettamente finanziario: è necessaria un’analisi approfondita della forza competitiva del brand, considerando sia la percezione interna dei dipendenti, sia quella esterna, ad esempio dei clienti, talenti, comunità finanziaria etc.

La metodologia di Interbrand misura come il brand generi valore attraverso tre fattori chiave: la performance finanziaria dei prodotti o servizi presenti nel suo portfolio, il ruolo del brand nel processo di acquisto (Role of Brand) e la sua forza competitiva (Brand Strength). In particolare, in una fase antecedente al deal, monitorare nel tempo la performance della Brand Strength permette al venditore di identificare le azioni strategiche in grado di rafforzare il percepito del brand e giustificare in ultima istanza i multipli richiesti.

Una volta conclusa un’operazione di M&A, sorge l’importante sfida di brand portfolio management. È infatti necessario valutare le modalità di integrazione del brand acquisito nel portfolio dell’acquirente e, se necessario, definire la relativa strategia di migrazione” - spiega Luca Ferraris, Associate Director, Strategy di Interbrand – “Per rispondere a questa sfida strategica, Interbrand segue un approccio di de-risking altamente strutturato."

Come primo passo, viene analizzata l’equity che il brand acquisito possiede nelle varie linee di business e geografie in cui opera, raccogliendo le percezioni dei suoi principali stakeholder esterni ed interni. Per farlo, Interbrand utilizza il framework proprietario di Brand Strength. A seguire, viene svolto un assesment sui possibili impatti che i diversi scenari di architettura del brand acquisito potrebbero generare sulla strategia di brand, e sul business in generale dell'acquirente. In particolare, è necessario valutare - ad esempio - gli investimenti necessari a mantenere tale brand indipendente oppure quelli richiesti per una sua integrazione, le eventuali sinergie/barriere interne ed esterne derivanti dalla fusione, le diverse implicazioni su processi operativi, gli eventuali rischi di cannibalizzazione etc.

"Al termine di questo percorso di analisi, siamo quindi in grado di valutare se l’equity del brand acquisito è sufficiente da richiedere una direzione strategica di brand che sia indipendente dall’acquirente, oppure se ci sono margini di migrazione all’interno del portfolio. In tal senso, si possono valutare diversi gradi di associazione tra i due brand, oppure una totale integrazione verso il brand acquirente, attraverso una soluzione puramente monolitica." specifica Luca Ferraris.

Parimenti, occorre prendersi cura in modo efficace delle proprie persone: molti studi confermano che – paradossalmente – la maggior parte delle fusioni non crea valore aggiunto, e che ciò è dovuto soprattutto a motivi di integrazione culturale. “Le persone sono il brand. Come tali devono diventare i primi ambasciatori del cambiamento" spiega Roberto Leva, Creative Director di Interbrand.

Nel contesto delle operazioni di M&A, la connessione tra fidelizzazione dei clienti e coinvolgimento dei dipendenti – già teorizzata quasi trent’anni fa dalla Harvard Business School – ha assunto una rilevanza strategica solo nell’ultimo decennio. L’employer branding e l’employee engagement assumono di conseguenza un ruolo cruciale nel garantire la continuità e la motivazione del capitale umano, per minimizzare i rischi di incertezza e instabilità che possono percepire i dipendenti.

Nonostante ciò, non tutte le organizzazioni hanno pienamente compreso l’importanza di diffondere al proprio interno il proprio purpose e i valori del brand, soprattutto nei momenti di trasformazione che seguono una fusione o un’acquisizione. “In un contesto di M&A, il lavoro di design va ben oltre la creazione dei codici espressivi della neonata realtà e diventa strumento fondamentale per rendere tangibili i valori del brand, facilitare l’integrazione culturale e generare appartenenza. È attraverso un’esperienza coerente e coinvolgente che il brand riesce a unire persone diverse sotto una visione comune” conclude Roberto Leva.