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Crisi: la responsabilità del fare (e comunicare) impresa
La crisi psicologica, prima ancora che
economica, che stiamo vivendo creerà con ogni probabilità una grande
discontinuità con il passato, costringendoci a rivedere il modello delle
"aspettative crescenti" (crescita irreversibile, prosperità per tutti...) che ha
guidato le società dell'Occidente negli ultimi 50 anni.
È questo il punto di partenza di uno stimolante intervento
di Remo Lucchi (nella foto a fianco) e Paolo
Anselmi (nella foto in basso), rispettivamente amministratore delegato
e vicepresidente di Gfk Eurisko, pubblicato sull'ultimo numero
del notiziario dell'istituto di ricerca, "Social Trends".
Lucchi e Anselmi osservano infatti come il nostro sistema socio-economico sia fondato sul mondo della produzione, e che "Le persone oggi si aspettano che le imprese trovino soluzioni, prendano la guida, si assumano responsabilità sociale, ovvero consapevolezza del loro ruolo verso la collettività". Se fino a qualche tempo fa ci si aspettava dalle imprese "solamente" attenzione al prodotto (in termini di qualità e sicurezza), attenzione al benessere dei dipendenti e attenzione all'ambiente (rispetto delle regole e qualche "bel gesto" volontario al di là di quanto prescritto dalle leggi), oggi, proseguono i ricercatori, "I criteri di valutazione del valore dell'impresa si sono allargati sino a comprendere la capacità che la stessa ha di agire in sintonia con il contesto sociale in cui opera, e di rispondere alle aspettative di tutti i suoi stakeholders".
Dalle imprese ci si attende insomma la consapevolezza dei mutamenti in atto, la capacità di interpretarli correttamente e soprattutto di indirizzarli verso un esito positivo. Per rispondere a questa attesa, destinata a crescere nei prossimi mesi, le imprese devono ripensare il proprio rapporto con i consumatori - e più in generale con la società - dimostrando un'assunzione di responsabilità verso i problemi che preoccupano i consumatori e i cittadini, con conseguenze e ripercussioni non indifferenti anche in termini di comunicazione.
"In generale – scrivono Lucchi e Anselmi – la comunicazione, nei
contenuti, pare sia caratterizzata da un forte volano di inerzia rispetto al
passato". E si chiedono se, a fronte del cambiamento intervenuto nel
consumatore, che per primo comincia a sentirsi investito di una nuova
responsabilità, non sia auspicabile "una comunicazione più matura, meno one up –
one down, più rispondente ai bisogni veri della gente. Ci si chiede, in altri
termini, se la comunicazione delle aziende non debba tener conto di queste nuove
prospettive".
Ma il processo di ottimizzazione che sta caratterizzando le
modalità di pianificazione dei mezzi (compresi i "nuovi"), non sembra, al
momento, riguardarne i "contenuti". Da questo punto di vista, non si intende
mettere in dubbio la necessità di una comunicazione tabellare attraverso i mezzi
classici e nuovi: "È certamente il momento di investire – proseguono infatti i
manager di Gfk Eurisko –, ma anche di rendere il linguaggio, il tono e i
contenuti della comunicazione più sintonici con le nuove sensibilità e le nuove
domande dei consumatori".
Il punto è: come?
Se alla comunicazione pubblicitaria sono storicamente affidati tre obiettivi – creare awareness al brand, creare un posizionamento e indurre direttamente all'acquisto – ecco che "Tematiche come: responsabilità sociale, sviluppo sostenibile, corporate welfare e green marketing possono risultare molto più coinvolgenti (se ben dette) per un nuovo cittadino che sta elaborando una cultura diversa, dalla quale molto probabilmente non tornerà più indietro".
Ecco perché, è la conclusione dell'intervento, è giunto il momento di aprire nuovi capitoli di studio e ricerca, approfondendo: come le persone - con particolare riferimento ai segmenti che creano opinione - si rapportano con queste tematiche; come le aziende, di fatto, si rapportano con esse; come le aziende sono vissute dal pubblico - e dai segmenti trainanti l'opinione - proprio in dipendenza del loro rapporto con queste tematiche.

