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Ecco perché gli inserzionisti abbandonano i 'giardini recintati' del web: trasparenza e qualità rinnovano le potenzialità dell’internet aperto. Duffield (TheTradeDesk): «Oggi in questo ambiente risiedono le migliori opportunità per la pubblicità digitale»

In un contesto dominato da sfiducia verso le grandi piattaforme chiuse, gli inserzionisti stanno riscoprendo il valore dell’open web. Trasparenza, qualità dei contenuti e misurabilità diventano centrali in un nuovo approccio all digital adv, sostenuto da tecnologie avanzate e una maggiore attenzione ai risultati reali. Poiché gli investitori richiedono maggiore controllo, trasparenza e risultati, il vicepresidente britannico di The Trade Desk, Phil Duffield, in un suo recente intervento, sostiene che l'internet aperto offre un percorso da seguire più responsabile ed efficace, e spiega come gli strumenti programmatici si stanno evolvendo per affrontare il momento.

In un panorama digitale sempre più frammentato e sfidante, il mondo della pubblicità sta attraversando un momento di profonda trasformazione. Non si tratta di una moda passeggera né dell’ennesima rivoluzione spinta dall’hype tecnologico. Con un intervento nei giorni scorsi, il vicepresidente britannico di The Trade Desk, Phil Duffield, ha tracciato una visione lucida e concreta che evidenzia come i segnali di cambiamento siano concreti e affondino le radici in tre fattori di fondo: la sfiducia crescente nei confronti delle grandi piattaforme chiuse, l’aumento del tempo speso sui contenuti digitali premium e la necessità, sempre più impellente, di giustificare la spesa pubblicitaria con risultati aziendali tangibili.

Presi singolarmente, questi fenomeni potrebbero sembrare già noti. Ma insieme delineano una nuova fase per l’industria pubblicitaria, in cui lo status quo viene apertamente messo in discussione. Gli inserzionisti non si accontentano più di metriche vaghe o di ambienti opachi: vogliono capire dove finiscono i loro investimenti e come stanno performando.

Il primo segnale è forse il più evidente: l’erosione della fiducia nei cosiddetti “giardini recintati”. Per anni, i grandi ecosistemi digitali chiusi hanno dominato il mercato, imponendo condizioni poco trasparenti, limitando l’accesso ai dati e restringendo il controllo da parte degli inserzionisti. In questi ambienti, spesso, chi paga la pubblicità ha una visibilità limitata su ciò che sta realmente acquistando. È un modello che oggi mostra tutte le sue crepe.

Parallelamente, anche il comportamento dei consumatori è cambiato. Dallo streaming televisivo all’audio digitale fino ai portali di informazione affidabili, il pubblico trascorre sempre più tempo su canali aperti e di alta qualità. È in questo contesto che torna al centro il concetto di "Internet aperto": quell’area vasta, decentralizzata e dinamica della rete che non è sotto il controllo di una singola piattaforma. Qui trovano spazio contenuti editoriali premium, creatori professionisti e un pubblico attento e variegato.

Negli Stati Uniti, più del 60% del tempo trascorso su media digitali avviene proprio in questo contesto aperto, una tendenza in crescita che dovrebbe guidare una riallocazione delle risorse pubblicitarie. Sempre più brand si rendono conto che la sola portata, offerta dai social o da contenuti generati dagli utenti, non basta più: senza contesto e senza qualità, l’investimento rischia di perdere efficacia.

A tutto ciò si aggiunge una pressione economica crescente. In tempi incerti, ogni euro investito in pubblicità deve dimostrare un ritorno chiaro. Le vanity metrics come le impression o i clic non sono più sufficienti: ciò che conta è la crescita reale del business.

In questo scenario complesso, gli inserzionisti stanno riscoprendo i fondamenti della pubblicità, sostenuti però da strumenti più sofisticati e da una disponibilità di dati molto più ricca. Il modello dell’Internet aperto, proprio per la sua trasparenza e pluralità, si dimostra ideale per affrontare questa nuova fase. Permette di fare scelte più informate, di puntare su qualità e pertinenza, e soprattutto di riacquistare il controllo sul processo pubblicitario.

Tecnologie come il programmatic advertising giocano un ruolo chiave, combinando flessibilità, misurabilità e capacità decisionale in tempo reale. Ma perché questo approccio sia davvero efficace, servono strumenti pensati per gli inserzionisti, non per le piattaforme. È in questa direzione che si muovono realtà come The Trade Desk, impegnate a sviluppare soluzioni più trasparenti, rispettose della privacy e capaci di restituire potere agli acquirenti di pubblicità.

Un esempio è l’intelligenza artificiale applicata non come semplice buzzword, ma come leva concreta per ottimizzare le decisioni. O l’introduzione di identificatori alternativi ai cookie di terze parti, come l’ID unificato europeo, pensato per coniugare efficacia e rispetto della privacy. Fondamentale anche la trasparenza nella catena del valore pubblicitario, resa possibile da strumenti come OpenSincera, che consente di valutare ogni impressione sulla base di parametri chiari e misurabili.

Tutto ciò va oltre la tecnologia: riguarda un’idea di pubblicità più etica, equa e sostenibile. Un modello che premia i contenuti di qualità, valorizza la creatività e rispetta il consumatore. In un’epoca in cui si proclama con insistenza la fine dell’Internet aperto, gli indicatori raccontano una storia diversa: quella di un ecosistema che non solo resiste, ma guadagna terreno.

È proprio lì, in quello spazio ancora aperto che, come ha ricordato Phil Duffield, "Si trovano i contenuti più ricchi, le opportunità più trasparenti e le innovazioni più promettenti. E per chi fa pubblicità, è il momento di aprire gli occhi, e tornare a guardare lontano."

DR