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La “modella artificiale” di Guess divide i creativi italiani, ed è subito polemica anche a livello mondiale

Una indossatrice 'finta' è apparsa per la prima volta in una campagna pubblicitaria su Vogue America, suscitando forti dissidi di vedute, etiche e non. Il pubblicitario Vicky Gitto la considera un'operazione innovativa ed efficace, mentre Cesare Casiraghi sottolinea come oggi il pubblico fatichi a distinguere tra realtà e finzione. Psicologi ed educatori, però, temono effetti negativi sull'autostima e sulla percezione del corpo, vanificando i progressi del body positivity. Altri esperti, come Davide Ciliberti, vedono invece nella modella artificiale un mezzo utile per contrastare stereotipi di bellezza, proprio perché dichiaratamente fittizia.

Per la prima volta una modella creata con l’intelligenza artificiale debutta in una campagna pubblicitaria generando un’ondata di polemiche. Si tratta dell’adv creata per il marchio Guess pubblicata sulle pagine dell'edizione americana del numero di agosto di Vogue, che ha acceso inevitabilmente il dibattito riguardo a standard di bellezza, inclusione, posti di lavoro e l’evoluzione della creatività, nonché l’utilizzo dell’AI nel settore.

"Quello di Guess  – commenta Vicky Gitto (sinistra foto), pubblicitario riconosciuto a livello internazionale, a capo dell'agenzia di pubblicità GB22 - è un esperimento interessante, innovativo e nel suo genere unico al momento. E, pubblicitariamente, direi anche azzeccato visto che ne stanno parlando i giornali di tutto il mondo generando di fatto una copertura mediatica e una visibilità della campagna stellare e alternativamente, irrealizzabile a livello di budget che sarebbe stato necessario per pianificarla.   Relativamente alle polemiche scaturite circa il fatto che l'AI impatterà negativamente sull'attività pubblicitaria e creativa - qui nel caso specifico si parla di modelle che non lavoreranno più in quanto sostituite dall'AI - io dico che è inutile e controproducente far finta che il contesto non stia cambiando. Quanto accade è uno sviluppo strutturale ed epocale di questa industry, della materia e della professione, che peraltro trova propellente nelle richieste di committenti sempre più aggressivi in termini di budget - chiosa il creativo - e fare la guerra al progresso è come il marinaio che di fronte ad un'onda enorme alza i remi, rimanendone poi travolto piuttosto che cavalcarla e governarla per viaggiare ad una velocità addirittura doppia"

Cesare Casiraghi, noto pubblicitario italiano, fondatore dell’agenzia Casiraghi Greco&  (centro foto) , sostiene invece che “l’ideale di bellezza non esiste, cambia con i tempi e le società. Quello che è bello oggi diventa “grasso” domani o il contrario. Inoltre il problema della realtà o finzione se lo pone solo chi crea, perché, come direbbe Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia comportamentale, il nostro cervello oggi, grazie o per colpa delle piattaforme digitali, tende a privilegiare la parte veloce, intuitiva e impulsiva, sollevandoci dalla fatica cognitiva. Anche di capire se è reale o no. Altrimenti  - conclude Casiraghi - non avremmo visto le giovani giapponesi cercare di imitare le ragazze disegnate nei fumetti manga.”

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La modella artificiale è "alleata" delle campagne di normalizzazione del corpo in comunicazione

Ma  oltre alle polemiche di tecnica pubblicitaria la  “modella artificiale” ha anche elevato l'allarme di psicologi ed educatori, che la interpretano come una minaccia che potrebbe annullare anni di battaglie del movimento body positivity, che stigmatizzava l'uso di baby-modelle o giovani dal corpo troppo perfetto. Vanessa Longley, a capo dell’organizzazione benefica Beat per i disturbi alimentari ha infatti dichiarato alla BBC che: “esporre continuamente le persone a corpi irrealistici aumenta il rischio di sviluppare disordini legati all’alimentazione e alla percezione del proprio corpo".

Ma, al contrario della Longley, alcuni esperti di comunicazione italiani, per assurdo vedono proprio nella ‘modella artificiale’ "un valido alleato delle giuste campagne di normalizzazione del corpo in comunicazione e ai movimenti contro gli stereotipi legati agli standard di bellezza ancora (ben) presenti nel fashion system – commenta Davide Ciliberti (destra foto), spin doctor del gruppo di comunicazione Purple & Noise PR – In questo caso, in aiuto ci viene proprio la dicitura, posta in calce alla pagina pubblicitaria, che certifica come la modella ritratta sia frutto proprio dell’elaborazione dell’AI. In questo modo nel percepito della persona che guarda l’immagine si crea il pensiero che quello che ha davanti sia qualcosa di finto, di illusorio. E proprio l'irrealtà della modella 'artificiale', alla stregua di qualsiasi personaggio ad esempio dei cartoni animati, di per sé non addiviene un modello da seguire, nel vero senso della parola in questo caso, perché è una chiara persona ‘fittizia’, irreale, così come una qualsiasi altra ‘Jessica Rabbit’ d’animazione.”