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Il futuro della Tv? Tutto da disegnare. Digital e streaming crescono rapidamente ma non sostituiranno mai il broadcasting. Servono misurazioni di terza parte più complete e attendibili. E resta il nodo delle reti
La televisione è stata oggetto nelle ultime settimane di numerosi convegni e incontri in cui si è discusso dei moltissimi aspetti di innovazione che caratterizzano il mezzo, la sua capacità e le sue modalità di veicolare contenuti editoriali e pubblicitari.
La ricerca promossa da Fondazione Astrid e illustrata nel volume presentato martedì pomeriggio a Milano ha cercato invece di fornire un quadro più ampio rispetto a una realtà in evoluzione continua e difficile da fotografare: Franco Bassanini, Presidente Astrid, ha introdotto così i contenuti del volume, spiegando come la digitalizzazione abbia provocato e continui a provocare cambiamenti radicali in tutta la filiera televisiva, dai modelli di business a quelli culturali, che insieme alle reti trasmissive e al ruolo del settore pubblico a tutela del pluralismo rappresentano i quattro assi attorno ai quali si è sviluppato il lavoro dei ricercatori.
Le dinamiche di mercato rilevate dallo studio, ha aggiunto Bassanini, evidenziano la disintegrazione verticale fra produzione di contenuti e gestione delle piattaforme, che rende di conseguenza le conclusioni della ricerca interlocutori e non definitive.
L’intervento di Francesco Siliato, coautore del volume, partner dello Studio Frasi e già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e di Cultura dei Media al Politecnico di Milano, ha indicato gli elementi di stabilità e insieme le principali variabili che caratterizzano oggi l’universo televisivo: il ruolo dei social media, l’evoluzione di Auditel e la misurazione dell’ascolto “non riconosciuto”, il valore delle diverse piattaforme distributive dei contenuti audiovisivi, e l’impatto degli “small screen” sul consumo e la fruizione di tali contenuti.
“In un mercato in cui nuovi attori stanno entrando nella competizione sul fronte della raccolta pubblicitaria, siamo in una situazione che ricorda quella degli Anni 80 – ha osservato –, in cui servono dati attendibili e non solo di prima parte. E in cui forse sarebbe per esempio il caso di far entrare operatori come DAZN in seno al cda Auditel senza aspettare anni come successo nel caso di SKY”.
Lo streaming, ha concordato Angelo Cardani, Professore dell’Università Bocconi ed ex Presidente AGCOM, conquisterà quote sempre maggiori ma non sarà mai interamente sostitutivo del broadcasting: a cambiare in questi ultimi anni è stato soprattutto il ruolo sempre più attivo degli utenti/spettatori che oggi hanno possibilità di scelta enormemente più ampie. Ma sono necessari da un lato un passo in avanti sul fronte dell’alfabetizzazione informatica, sia in termini sociodemografici che di capacità di esercitare questo diritto di scelta, e dall’altro il tema politico di una maggior consapevolezza delle potenzialità della televisione al di là della generazione di consenso.
Nel suo intervento da remoto, Francesco Giorgino, Direttore Ufficio Studi RAI, ha ricordato che con la digitalizzazione RAI ha avviato la sua trasformazione in una media company digitale a 360 gradi, in cui la multidisciplinarietà rappresenta un prerequisito indispensabile per cavalcare il passaggio da broadcaster a streamer e fornitore di contenuti on demand: spesso ci si accanisce sul ruolo del Servizio Pubblico per il pluralismo, ha commentato, ma quello che non si considera è che oltre al pluralismo squisitamente politico si tratta di garantire anche un pluralismo valoriale, sociale, culturale e territoriale, reso
possibile proprio dalla diversificazione dei mezzi. E a proposito di misurazione dei nuovi fenomeni servirebbe rilanciare l’idea di identificare nuovi KPI in grado di valutare la qualità di un prodotto audiovisivo qualunque sia la sua piattaforma distributiva, ha concluso Giorgino.
Centrato sul tema degli investimenti pubblicitari il parere di Raffaele Pastore, Direttore Generale UPA, che oggi si distribuiscono quasi totalmente fra due poli molto importanti: un 40-45% va alla televisione così come la conosciamo, e un altro 40-45%, ma che sta crescendo e va verso il superamento del 45%, al digital. Il problema è che in questa parte
crescente manca una misurazione terza delle audience, e insieme della quantità e della distribuzione degli investimenti: il che vuol dire che nell’allocazione delle risorse, dei budget, c'è una metà del mondo nel quale le aziende che investono viaggiano a ‘fari spenti nella notte’.
La difficoltà principale? Rispetto ai 5 broadcaster nazionali oggi sul mercato, tutti rilevati direttamente da Auditel e per i quali non occorrono particolari ‘autorizzazioni’, nel panorama digitale che vive di raccolta pubblicitaria gli editori sono centinaia se non migliaia, e per misurarli non si possono usare panel o meter ma serve il loro consenso per inserire uno specifico software sui loro server o che accettino di aprire i loro server alla lettura di una terza parte indipendente. Da questo punto di vista, UPA sta puntando su Audicom e sui JIC per misurare con la maggior precisione possibile la totalità del mercato, anche con la collaborazione degli OTT che oggi, come già ricordato, iniziano a competere sul terreno della raccolta pubblicitaria.
Non un social network ma una piattaforma di entertainment e anche di informazione, divulgazione, scienza, cultura: questo il chiarimento iniziale di Luana Lavecchia, Public Policy and Government Relations Manager di TikTok: nel nostro paese gli utenti sono 19 milioni e 700 mila, non solo giovani e giovanissimi come spesso si sente dire. E fra la piattaforma e la televisione c’è un rapporto simbiotico, tanto da essere diventata uno strumento imprescindibile per la promozione dei contenuti televisivi. Ciò che gli utenti cercano e si aspettano di vedere su TikTok non sono i ‘programmi’, ma i backstage, le
curiosità e tutto il resto: il tutto attraverso un linguaggio nuovo che ancora va compreso fino in fondo.
Sul tema della regolamentazione Lavecchia si è detta più che soddisfatta: “Noi non siamo non regolamentati, e a livello europeo consideriamo il Digital Service Act assolutamente positivo perché consente a TikTok di comunicare dati – per esempio quelli sugli utenti che ho citato prima, o sugli investimenti in tema di sicurezza, moderazione e tutela della privacy”.
Secondo Federico Di Chio, direttore del Marketing Strategico Mediaset, la prima cosa da fare è ricalibrare il modo in cui si pensa alla televisione, che una volta era contraddistinta da tre elementi fondamentali, il paradigma del broadcasting, cioè un unico messaggio a tutti, un'organizzazione dell'offerta lineare, il palinsesto, e il televisore, e quindi un consumo domestico: “Quando oggi qualcuno guarda una puntata de ‘Le Iene’ il giorno successivo alla messa in onda sul suo smartphone mentre è in metropolitana, nessuno di quei tre elementi è presente, ma ciò non toglie che l’utente stia fruendo di un contenuto televisivo”.
Il digitale terrestre prima, lo streaming, gli OTT e i social hanno aumentato a dismisura i contenuti, ma la televisione assorbe e in parte subisce tutti questi stimoli trasformandosi in continuazione: in ogni caso – ha ribadito Di Chio – il bilancio della ‘nuova’ televisione in termini di audience non è affatto negativo come lo si dipinge, e anche per Mediaset benché sia leggermente scesa la quota degli ascolti tradizionali e lineari, questa è stata più che compensata dalla ‘Total Audience’.
Quella che resta evidente, ed è la cosa che più preoccupa in un’ottica di futuro della televisione, è la asimmetria nelle regole e la mancanza di trasparenza fra broadcaster e OTT: “Pensiamo alla Champions League, che va in onda il martedì su Canale 5 e il
mercoledì su Amazon Prime. Su Canale 5 o su Sky dobbiamo rispettare un affollamento, Amazon no. Perché? È esattamente la stessa cosa. Arriva sul televisore di casa, è uguale.
Questa è la cosa che ci preoccupa di più, non la competizione, che fa parte del gioco”.
A raccontare il punto di vista dei centri media è stato Marco Robbiati, Head of Media Intelligence & Market Insights di Omnicom Media Group, secondo il quale la digitalizzazione, la maggior dimestichezza acquisita dalle famiglie italiane nel periodo pandemico, e lo spostamento della fruizione di contenuti di entertainment su piattaforme social come TikTok sono tutti elementi che contribuiscono alla continua trasformazione dello scenario: “Dal nostro punto di vista e soprattutto da quello dei clienti, la cosa importante è comunque essere presenti nel ciclo di consumo dei media, cioè essere là dove il
consumatore fruisce dei contenuti informativi o di intrattenimento”.
In questo momento, ha aggiunto, abbiamo un concetto di Video Strategy che abbraccia tutte le forme di consumo video, ognuna ovviamente con un suo ruolo e un suo obiettivo a seconda di quello che poi la marca deve o vuole comunicare. Ribadendo la necessità di misurazioni più ‘olistiche’, Robbiati ha chiarito che in realtà i diversi attori di per sé sono tutti
o quasi disponibili a fornire i dati, ma sono dati a silos ed estremamente eterogenei e questo causa difficoltà enormi perché ogni agenzia deve in qualche modo ricostruire il framework complessivo della famosa Total Audience attraverso modelli proprietari (diversi gli uni dagli altri) che cerchino di conciliare il mondo digitale con quello televisivo.
Ragionando da investitore, ha spiegato nell’ultimo intervento della tavola rotonda Roberto Basso, Direttore External Affairs and Sustainability di Wind 3, l’obiettivo di un utente pubblicitario è quello di raggiungere tutti i pubblici, compresi quelli che hanno abbandonato la modalità di fruizione tradizionale della Tv. I dati di lungo periodo dicono che il calo dei fruitori della Tv lineare è molto evidente: e più che riportare i giovani all’uso di quel mezzo e
alla fruizione di quei contenuti anche se su piattaforme diverse, oggi sembra più probabile che siano invece gli adulti e i più anziani a spostarsi sempre più verso TikTok, YouTube e tutto il resto. La necessità degli inserzionisti è quindi di utilizzare ancora e bene uno strumento che entra in tutte le case e raggiunge un pubblico molto ampio, affiancando a questo tutto l'altro investimento necessario e tutti gli altri strumenti di marketing, comprese
ovviamente le piattaforme.
Tornando in un certo senso al primo fronte di indagine della ricerca Astrid Basso ha poi indossato i panni di gestore di Rete e si è domandato a chi spetti sostenere la trasformazione digitale dell’intero sistema audiovisivo, che in questo momento per rispondere alla domanda dei consumatori vede la sola industria delle TLC sobbarcarsi l’onere di un traffico che cresce in misura esplosiva (tanto che quadruplicherà da qui al 2030): “Siamo noi a dover investire sulla rete per soddisfare chi oggi non vede più i contenuti RAI, Mediaset o La7 sul televisore ma sul tablet o sul cellulare, così come sulle Smart Tv connesse tutti i fantastici contenuti di PrimeVideo, Netflix, TikTok, YouTube ecc.…”.
Ma questo, ha commentato Basso, ha distrutto i margini di questa industria la cui unica possibilità di sopravvivenza è quella che la vedrà acquisita dalle grandi piattaforme internazionali perché sono quelle che fanno soldi usando le nostre infrastrutture. “Se questo destino non ci piace è il momento di intervenire sul fronte regolamentare e legislativo – ha chiosato Basso –. Personalmente credo che la chiave da affrontare sia la revisione delle regole sulla Net Neutrality, nata con il principio sanissimo che consente a ogni individuo di pubblicare i propri contenuti su una piattaforma. Oggi, però, quel principio è utilizzato per rafforzare il potere dominante di alcuni attori. Rivedere le regole in questo ambito consentirebbe agli operatori di TLC di diversificare il servizio e farsi pagare per Quality of Service anziché per Gigabyte”.
TR