Media

Unilever e P&G: caccia ai talenti

Brand entertainment, il rapporto agenzie-clienti, i nuovi paradigmi del marketing research: questi i temi affrontati nella seconda giornata del Venice Festival of Media , il convegno che ha radunato in due giorni la summa della brand communication mondiale.

La due giorni veneziana e tutti i temi sul tappeto, si possono perfettamente riassumere attraverso il dibattito conclusivo, uno 'scontro fra titani' che sommati valgono qualcosa come 12 miliardi di dollari di investimenti media: Alan Rutherford (nella foto in alto), Vice President Global Media di Unilever , e Bernhard Glock (nella foto in basso), Vice President Global Media & Communication Procter & Gamble, oltre che presidente WFA (World Federation of Advertisers ).

Uno 'scontro' in realtà solo apparente, e che pur con sfumature diverse ha visto i due manager d'accordo su molti dei temi in discussione.

"Quello che voglio dalle mie agenzie è molto semplice – ha esordito Glock -: una comunicazione rilevante che raggiunga i consumatori dove e quando si trovano. Ci sono però diverse barriere, soprattutto nelle agenzie creative. Quando ho chiesto ai miei manager di indicarmele, ne è scaturita una lunga lista: le agenzie non capiscono, sono tv centriche, non hanno sufficienti capacità di organizzazione, la loro conoscenza del consumatore è insufficiente e soprattutto non hanno ancora imparato a misurare i risultati del loro lavoro. Anche noi aziende abbiamo molto da fare e da migliorare su questo piano: in P&G verifichiamo puntualmente la nostra performance e quella delle agenzie. Sappiamo che la comunicazione più efficace e coinvolgente si ottiene dalla sintesi di contenuto, contesto e contatto: dobbiamo però ancora imparare come misurare questo engagement". 

"La prima priorità – ha replicato Rutherford – riguarda le agenzie ma anche in centri media e le stesse aziende: dobbiamo trovare i talenti capaci di integrare il processo di communication planning. Dobbiamo capire e imparare a gestire le relazioni tra i consumatori e i nostri brand. Loro hanno il coltello dalla parte del manico, anche nei confronti dei media e dei differenti canali di comunicazione con loro. Perciò, il vecchio modello agenzie – clienti è ormai obsoleto. Le cose hanno iniziato a cambiare, ma a velocità diverse: mentre le agenzie creative oppongono resistenza al cambiamento, quelle media si stanno evolvendo. Sono le prime che si sono rese conto della necessità di dotarsi di risorse strategiche e digitali. Per gestire la relazione con i consumatori serve una creatività adatta al 21° secolo, fondata anch'essa su un nuovo modello. Da questo punto di vista l'approccio di Unilever è improntato per ogni brand a quello che chiamano Channel Planning, in cui si chiede alle agenzie creative e ai media – insieme - di produrre pensiero strategico e idee fulminanti, seguendo tre principi:
1) creare una comunicazione capace di generare cultura
2) scambiare valore con il consumatore, per esempio offrendo entertainment in cambio di engagement
3) entrare nell'universo dei social network e delle community perchè è li dove le persone entrano in contatto e possono facilmente entrare in contatto con le marche".

A chi spetta, dunque, il diritto di sedersi al tavolo delle decisioni insiemeal cliente? Ai creativi? Ai media? A tutti i diversi specialisti? E in tal caso, chi deve assumersi il ruolo di leader del processo olistico?

"Gli insight sul consumatore e le idee possono nascere ovunque e da chiunque: a livello globale come locale, dai creativi o dai media, così pure dagli specialisti... Noi aziende dobbiamo imparare a essere flessibili al massimo: per esempio, poche settimane fa, abbiamo riunito a Miami attorno a un tavolo 40 persone, ovvero l'intero parco di consulenti e specialisti per uno dei nostri brand. Allo stesso tempo, in altri casi ci siamo affidato interamente a una sola agenzia, come nel caso di Wieden & Kennedy o, ancora più recentemente, a Publicis per il brand Oral B . E in quest'ultimo caso abbiamo addirittura scelto di lavorare con una singola persona che ci affianchi nella leadership di ogni progetto. Stiamo testando e sperimentando ogni processo, e continueremo a monitorare ogni opzione per trovare la strada migliore".

Più tradizionale, da questo punto di vista, l'approccio di Unilever: "Vogliamo che le nostre agenzie, come dicevo prima, creative o media che siano, lavorino insieme e si parlino sempre di più – spiega Rutherford -. Da loro vogliamo idee, ma siamo perfettamente consci che saranno poi i nostri uomini a guidarne l'implementazione. E anche lì, dentro i nostri team di marketing ci stiamo evolvendo: non a caso la responsabilità di ogni nostro brand è sempre più spesso affidata a manager di caratura globale. Ecco perché la mia vision si ricollega al discorso dei talenti: le grandi idee nascono sempre più spesso dal media, e il salto che occorre fare è capire come le nuove tecnologie possano essere adoperate in modo rilevante ed engaging. Per trovare la soluzione occorre una vera leadership, e non ha importanza che origini dai media o dai creativi ".

Quali sono i trend più apparenti nel modo in cui investite le vostre risorse sui diversi media? Come sta cambiando la share of voice dei diversi mezzi e canali?

"Siamo di fronte a un dilemma – ha risposto Glock -: i nostri manager devono portare a casa risultati trimestre per trimestre. Il problema nasce quando bisogna conciliare questa esigenza con un pensiero che guardi allo sviluppo futuro del brand capace di proiettarsi molto più avanti. D'altra parte, chi non fa altro che guardarsi indietro non potrà mai cambiare, svilupparsi e crescere. Per questa ragione stiamo sicuramente cambiando qualcosa, sperimentando nuove allocazioni delle risorse, anche se ancora ciò forse non emerge in modo significativo in termini di investimenti sui media. Dobbiamo mettere insieme tutte queste esperienze come se fossero i pezzi di un puzzle, e sempre più spesso ci capita di verificare quanto è già stato detto in questo convegno: i paesi più piccoli sono come dei pentoloni bollenti, dove i consumer insight, le idee e le innovazioni torvano un terreno fertilissimo. Detto ciò, in ogni caso, se la domanda si riferiva al 'declino' della televisione la mia risposta è che questa non sparirà, ma è destinata a cambiare ed evolversi anch'essa".

"Credo che sempre più parleremo di comunicazione attraverso gli schermi, piuttosto che televisiva – ha confermato Rutherford -. Televisione, computer, consolle per videogame, cellulari e portatili: l'importante è capire come stanno cambiando i comportamenti delle persone, non è una questione di mezzi vecchi o nuovi, analogici o digitali. Insieme alle nostre agenzie ce ne siamo resi perfettamente conto, e il nostro approccio alla comunicazione è sicuramente nuovo rispetto al passato. Per farlo occorre assumersi dei rischi, fornendo al consumatore entertainment attraverso ogni schermo e ogni touchpoint".

Poche parole, ma tutto sommato chiare, quelle che i due manager hanno dedicato poi alla remunerazione.

"A ben guardare – ha osservato Rutherford - i criteri con i quali remuneriamo i nostri partner sono già cambiati: non a caso, alle voci di costo, servizio e velocità si sono sempre più spesso affiancate anche quelle relative a collaborazione, lavoro di squadra, innovazione...". "Le possibilità sono sempre più numerose – ha invece più genericamente affermato Glock – e continuiamo a discutere con le nostre agenzie anche su questo fronte".

Al tema del consolidamento delle agenzie, creative o media che siano, è stata dedicata la riflessione conclusiva di Glock: "Si è trattato di un fenomeno sicuramente positivo quando si sono create effettive economie di scala: per noi è più semplice affidarci a una sola agenzia, operativa in molti paesi. Nei paesi emergenti, oltretutto, il consolidamento è servito per concentrare i talenti migliori sotto un unico ombrello. Il pericolo più grosso è però quello dei conflitti di interesse: non voglio assolutamente che la mia agenzia abbia a che fare con il lavoro di Alan! E per questa ragione abbiamo e aggiorniamo costantemente una lista di nomi 'no'".

Quale invece secondo Rutherford la soluzione al dilemma 'Walmart o Wall Street'? O, in altre parole, crescita del fatturato o crescita del valore azionario? "Abbiamo bisogno di entrambe. E'un cerchio completo che si apre e si chiude con il consumatore: se conosciamo il nostro consumatore possiamo fornirgli i prodotti che lui desidera davvero comprare. Questo a sua volta si riflette sui titoli, e la salute dell'azienda ci consente di proseguire il lavoro di ricerca e sviluppo per continuare a servire il consumatore sempre meglio".

Tommaso Ridolfi