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Ricerca di McCann, Initiative e UM: paura per il futuro, ma anche speranza e volontà di umanizzare la sostenibilità

Secondo il 71% delle persone intervistate, le aziende sono responsabili e devono risolvere il problema della crisi climatica, seguite dalle istituzioni. Lo studio propone 5 principi per costruire insieme il cambiamento. Daniele Cobianchi, CEO dell'agenzia: "Noi della comunicazione dobbiamo abbandonare il manierismo commerciale e usare le nostre abilità per supportare aziende virtuose”.

Una proposta per una prospettiva che possa guidare azioni e comunicazioni più incisive. È questo l’output principale di “ChangeMakers. Cambiamo approccio alla sostenibilità”, lo studio[1] condotto dall’agenzia McCann Worldgroup Italy, insieme a Initiative e UM, sigle del gruppo IPG, sul tema della sostenibilità per definire come tutti insieme possiamo affrontare questo tema, non in termini di preoccupazione o dovere, ma di comportamento virtuoso giusto e facile da seguire.

In un momento in cui, secondo le stime emerse dall’ultimo report dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS), il nostro Paese è al diciannovesimo posto in Europa per l’attuazione della tabella di marcia, indicata dall’ONU, nonostante il miglioramento in 8 goal negli ultimi dieci anni, siamo ancora ben lontani dal raggiungimento degli obiettivi dell’agenda 2030, la sostenibilità dimostra di essere un percorso su cui c’è ancora tanto da fare.

Siamo abituati ad accostare il tema della sostenibilità dal suo lato ansiogeno e negativo: iconografia e termini hanno spesso questi connotati. Non c’è dubbio che per risolvere la crisi climatica bisogna agire e bisogna farlo in fretta: non è però necessario essere angosciati e negativi.

Secondo il 71% delle persone coinvolte nello studio, la maggiore parte della responsabilità di chi deve agire per risolvere il problema della crisi climatica sono le aziende, considerate come un attore fondamentale del cambiamento, seguite dalle istituzioni. Ma la conversazione tra gli attori del cambiamento evidenzia un contrasto rilevante: aziende e istituzioni utilizzano spesso una terminologia tecnica e molte delle parole che compongono il lessico della sostenibilità sono scarsamente famigliari alla gente comune. Il discorso “ufficiale” sulla sostenibilità è poco vicino alla sensibilità e alla conoscenza delle persone. Da un lato, sono richiesti molti cambiamenti da parte dell’industria, al livello di prodotti e processi produttivi, dall’altro, due terzi delle persone (66%) si dicono disposte a cambiare il proprio stile di vita per andare incontro agli imperativi della sostenibilità, intervenendo con azioni semplici e quotidiane, come ad esempio ridurre lo spreco di acqua (65%), di energia (64%) o di cibo (51%).

Un’evidenza molto interessante, emersa nello studio, riguarda il significato principale di “sostenibilità”, inteso non solo come salvezza del pianeta (27% dei rispondenti), ma anche come una questione di stile di vita (23%) e di costruzione del futuro (20%), in modo altrettanto importante. Inoltre, nella collezione di immagini rappresentative del tema, che abbiamo raccolto a corredo dell’indagine quantitativa, abbondano le scene di vita vissuta e i ritratti di persone[3].

Quando parliamo di sostenibilità non parliamo dunque solo di pianeta. Parliamo di noi, delle nostre vite. La prima indicazione che giunge dalla ricerca è la necessità di umanizzare il discorso sulla sostenibilità. A tal proposito, diventa molto importante il fattore diversità perché non possiamo parlare di sostenibilità allo stesso modo a tutti, perché tra le persone vi sono differenze rilevanti che cambiano la percezione dei problemi e delle soluzioni, la capacità e la volontà di capire e di intervenire, gli interessi, etc. La ricerca considera tre elementi di diversità, che non rappresentano tutti i possibili punti di osservazione sul tema, ma certamente sono tra le variabili più importanti da considerare: cultura, famiglia e generazioni. Emerge anche come uno dei principali fattori di diversità sia l'appartenenza alle varie generazioni.

Dai dati raccolti i rappresentanti della GenZ sono visti come coloro che potranno effettivamente operare un cambiamento. Chi appartiene alle generazioni più mature avverte una sorta di senso di colpa per aver determinato la situazione attuale; questo diventa speranza in relazione alla visione totalmente differente che i giovani hanno del problema e la loro potenziale energia per il cambiamento e fonte di preoccupazione perché potenzialmente distruttiva di uno status quo che fin qui ha garantito il benessere e un certo stile di vita per gli over 45-50.

I Millennials sono visti come la generazione al crocevia tra una visione impegnata verso la sostenibilità e una posizione sociale più influente rispetto a quelli dei fratelli minori della GenZ. Di fatto, la generazione Y è quella che potenzialmente potrebbe portare un cambiamento concreto nel breve periodo anche se gli viene imputata una certa superficialità e incapacità di azione pratica.  I GenX sono i “grandi colpevoli”, condividono la responsabilità con i Boomers della peculiarità di questa generazione, quella di essere arroccata a difesa di un privilegio che non vogliono perdere con i cambiamenti necessari per risolvere il problema del cambiamento climatico. Nonostante ciò, tuttavia, non sono mancati gli appelli all’azione, mescolate alle note fortemente critiche, come per dire: avete delle responsabilità, sappiamo che forse i maggiori sacrifici li dovreste fare voi, ma vi invitiamo a farli. I Boomers, la generazione più matura ha, in parte, un ruolo sociale più marginale rispetto alla GenX e gode di maggiore indulgenza da parte dei più giovani. Anche ad essi viene riconosciuta una responsabilità non secondaria nella creazione delle condizioni attuali, ma con l’attenuante dell’inconsapevolezza, poiché certi temi sono emersi in tempi più recenti. Non è comunque una generazione perduta per la causa, poiché anche ai più anziani viene rivolto un invito all’azione e all’intervento, come atto altruistico e di generosità verso i più giovani.

Daniele Cobianchi (foto) CEO McCann Worldgroup Italy, President Mediabrands Italy e Sustainability Advocate del Gruppo commenta: “Siamo a un punto di svolta: la consapevolezza che la sostenibilità sia l’unica via possibile sta permeando ogni strato della nostra società. Ora è necessario essere concreti, prendersi la responsabilità, ognuno la sua, e impattare nel cambiamento. Noi della comunicazione dobbiamo abbandonare il manierismo commerciale e usare le nostre abilità per supportare aziende virtuose, manager visionari e tutte quelle sensibilità che possono contribuire a fare accadere le cose velocemente.”

Ma cosa possiamo fare per invertire la rotta? Lo studio integrato individua cinque principi che possono guidarci sulla strada verso soluzioni di sostenibilità che siano in linea con le necessità reali e con le percezioni delle persone che sono fondamentali per determinare i cambiamenti di comportamento. Non si tratta di un decalogo per una rivoluzione green, ma di una proposta che possa guidare azioni e comunicazioni più incisive.

Da norma a stile di vita: la conversazione sulla sostenibilità, per temi e per lessico, deve allargarsi fino ad abbracciare tutti gli aspetti che le persone vedono connesse al tema e non essere solo un discorso che riguarda il pianeta, gli obiettivi industriali, le etichette e le sigle.

Da colpa a speranza: il sentimento con cui ci si accosta al tema è per lo più negativo; questo però genera più immobilismo che azione. Dobbiamo pensare alla sostenibilità come un arricchimento della nostra vita, non come una privazione.

Da scelta complessa a facile default: la sostenibilità deve diventare la strada più corta, non la scelta più complessa. Se vogliamo che diventi un’abitudine quotidiana di massa, bisogna creare prodotti e soluzioni accessibili che vengano scelte con facilità.

Da messaggi creativi a business creativo: il potere della creatività è immenso. Il cambiamento non dev’essere solo nelle comunicazioni, ma la sostenibilità deve essere posta al centro del business. Lo possono fare tutti.

Da perfezione a percorso: nessuno è perfetto, la sostenibilità è un percorso. Bisogna ammettere la vulnerabilità e comunicare la strada che si sta facendo.