Live Communication

Via libera alla sharing economy, in Italia già 90 piattaforme collaborative attive

Si è parlato delle potenzialità dell'economia della condivisione alla quarta edizione del Talent Day 2014, organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, in collaborazione con Adecco Training. La crisi da un lato, che ha acuito la necessità di risparmiare, e la tecnologia dall'altro, hanno aumentato la spinta propulsiva verso questa nuova forma di economia, dove si condivide tutto, dai beni ai servizi, passando per le competenze. Numerose le piattaforme già attive in Italia: oltre ai più noti Uber Airbnb, in ambito moda ci sono ad esempio My Secret Dressing RoomZerorelativo e Wowcracy
Una nuova forma di economia attraverso la quale avviene lo sfruttamento delle risorse grazie a tutte quelle piattaforme digitali che abilitano le persone a scambiare e condividere beni, spazio, tempo, competenze. Stiamo parlando della sharing economy, che si sta facendo sempre più strada anche in Italia imponendo nuove abitudini di consumo e di vita che sostituiscono il possesso con l'accesso. L'economia collaborativa cambia le regole e apre nuovi scenari in molti settori, moda compresa.

Questi i temi affrontati nel corso della quarta edizione del Talent Day, organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, in collaborazione con Adecco Training, e tenutosi oggi, 19 settembre, a Milano.  "La crisi ha costretto molti a ripensare le proprie abitudini, ponendo maggiore attenzione al risparmio - ha spiegato Marta Mainieri, fondatrice di Collaboriamo.org, piattaforma di informazione e servizi sulla sharing economy in Italia -. Se oltre a questo consideriamo l'esplosione delle nuove tecnologie, unita all'uso sempre più massiccio dei social network, che hanno nella condivisione la loro ragion d'essere, non stupisce il proliferare di piattaforme collaborative, anche nel nostro Paese". 

"Si tratta di piattaforme digitali che permettono a chi ha qualcosa da vendere, o anche solo da prestare, di entrare in contatto con potenziali compratori. Di fatto l'azienda, e dunque la piattaforma, è un abilitatore, mentre i soggetti possono assumere il duplice ruolo di compratori o di venditori, a seconda delle occasioni", ha aggiunto Mainieri.

Gli esempi di piattaforme di questo tipo sono numerosi, in tutti gli ambiti. Si va da Airbnb, dedicato agli immobili, a Bla Bla Car che consente di condividere la propria auto, da Skillshare, dove si mettono le proprie competenze al servizio della community, a Kickstarter, il più famoso sito di crowdfunding al mondo. E anche in un ambito da sempre più esclusivo come quello della moda, questa tendenza sta piano piano prendendo piede, come dimostra il successo di siti come Poshmark, che offre l'opportunità di scegliere i vestiti usati da noleggiare tra 1,5 milioni di articoli, Swap.com, dedicato interamente alla compravendita e allo scambio di abiti per bambini, My Secret Dressing Room, portale che consente di affittare abiti, scarpe, borse o altri accessori, e Rent the Runaway, dove a essere affittati sono abiti messi a disposizione direttamente dalle griffe di moda. 

Attualmente, negli Stati Uniti, la sharing economy vale l'1,5% del PIL per un valore totale di 3,5 milioni di dollari. Negli ultimi due anni il 52% degli americani ha affittato o prestato beni utilizzando le diverse piattafome a disposizione. In Italia, dove è molto più radicata l'idea del possesso, sono 90 le piattaforme collaborative attive per scambiare e condividere beni. Da una ricerca realizzata nel 2013 da Duepuntozero Doxa su un campione di 1500 internet user, i cui risultati sono stati illustrati da Federico Capeci, è emerso che il 59% degli intervistati conosce almeno per sentito dire questa tipologia di siti. "Ci troviamo in un momento fondamentale - ha sottolineato Capeci -, da cui dipenderà il futuro della sharing economy. Attualmente infatti, gli early adopters italiani stanno già utilizzando le piattaforme di condivisione, non resta che aspettare per vedere de questa abitudine si diffonderà anche al resto della popolazione o resterà limitato a una stretta cerchia di persone particolarmente inclini all'innovazione". 

E le aziende come reagiscono al proliferare di questi portali per lo sharing? "Le imprese stanno cominciando a investire lanciando siti propri o stringendo partnership con altri soggetti, come ad esempio ha fatto Patagonia, che ha firmato un accordo con ebay

Anche le imprese del fashion, che potrebbero sembrare più restie ad adottare un sistema di questo tipo, si stanno gradualmente avvicinando a questa nuova modalità di fare business, come è merso dalla testimonianza di Betty Barlafante, client experience manager di Emilio Pucci. "Abbiamo lanciato una piattaforma aperta a tutti i dipendenti, che possono aprire discussioni su qualsiasi argomento, condividendo idee e opinioni - ha affermato la manager -, inoltre abbiamo organizzato momenti di condivisione anche con il consumatore finale. In ogni caso, siamo convinti che non si debba abbandonare il canale offline a vantaggio di quello online, ma che sia necessario utilizzarli entrambi in modo integrato, per raggiungere i migliori risultati". 

Mentre le aziende pian piano si affacciano a questo mondo, ci sono realtà che possono essere considerate dei pionieri dello sharing. Tra queste, sono da annoverare sicuramente
  Airbnb e Uber, il cui lancio in Italia ha destato non poche polemiche. "Airbnb è una piattaforma che mette in contatto viaggiatori di tutto il mondo con chi mette a disposizione un qualsiasi spazio - ha spiegato Matteo Stifanelli (nella foto a sx), country manager Italia Airbnb - . Il sito offre 800mila spazi in 190 Paesi ed ha subito una crescita esponenziale anche in Italia. Basti pensare che dall’estate 2011 all’estate 2012 Airbnb è cresciuto del +650%, e durante il 2013 gli annunci sono cresciuti di un ulteriore 93%". 

Uber invece, come ha affermato Benedetta Arese Lucini (nella foto a dx), general manager, è attivo in 50 Paesi e 200 città, in cui offre la possibilità di condividere la propria auto. "E' importante tenere presente che questi servizi non distruggono i mercati esistenti, ma sono complementari ad essi", ha sottolineato Arese Lucini. 

Con Talent Garden, rappresentato al Talent Day da Davide Dattoli (nella foto a sx), a essere oggetto di sharing sono gli spazi lavorativi: in 8 città, oltre 450 persone hanno aderito al network e ogni giorno lavorano sfruttando anche le sinergie che si vengono a creare tra professionisti che si trovano gomito a gomito. Interessante anche la testimonianza di Lucas Vigliocco, co-founder di Wowcracy, primo sito di crowdfunding specializzato nella moda: "Il portale, attivo dal 2013, consente agli stilisti di proporre un progetto che, se ritenuto valido, può così trovare un finanziatore", ha dichiarato il manager. 

Nell'era dello sharing, la moneta di scambio è la fiducia. Per questo motivo, le piattaforme collaborative quasi sempre prevedono meccanismi che consentono di fornire informazioni riguardanti la reputazione. "Airbnb invita sia gli host che i viaggiatori a lasciare una recensione al termine, se l'host accumula troppe recensioni negative, viene eliminato dal sito", ha affermato Stifanelli. Allo stesso modo funziona anche per Uber, dove è previsto un sistema di valutazione di utenti e driver. 

D'altra parte, se le piattaforme sono digitali, non bisogna dimenticare che l'esperienza che consentono di vivere è quanto mai reale. Via libera allo sharing, dunque, in qualsiasi ambiti, purché le trattative vengano condotte in modo serio e affidabile, online e offline. 

Serena Piazzi