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Teads - Switch. Il branded content nuovo pilastro delle strategie media: gli editori al fianco delle aziende per raccontare storie in grado di creare engagement
Si è parlato anche di branded content all'evento Switch, organizzato da Teads al Fuori Salone, che vede tra i media partner anche ADC Group (leggi news). Nel pomeriggio della prima giornata dell'evento è andata infatti in scena una tavola rotonda dell'Osservatorio Branded Content che ha visto a confronto sul tema alcuni tra i più importanti editori, moderati da Anna Gavazzi, general manager OBE.
In particolare, sono stati invitati a prendere parte al panel Roberto Zanaboni (RCS Media Group div. Pubblicità), Silvia Cavalli (Condé Nast Italia), Daniele Chieffi (Agi) e Maurizio Chisu (OnePlus Italy).
Quest'ultimo, Senior Marketing Manager OnePlus Italy, ha messo in evidenza come il branded content rappresenti una possibile soluzione per ovviare al problema dell'attenzione sempre più scarsa da parte degli utenti. "Le strade percorribili nel nostro caso sono principalmente due - ha detto Chisu - : o realizziamo direttamente dei contenuti ad hoc sulla base degli interessi del target di riferimento oppure utilizziamo i contenuti tradizionali per inserirci in spazi dove il livello di attenzione è giù alto".
Nella messa a punto di contenuti brandizzati il più possibile efficaci, gli editori hanno un ruolo fondamentale. "Il nostro lavoro è raccontare storie dunque, anche grazie alla presenza della unit dedicata RCS Studio, possiamo affiancare le aziende nello sviluppo di contenuto in grado di creare engagement e misuriamo costantemente i risultati raggiunti dai nostri progetti - ha spiegato Roberto Zanaboni, Direttore Digital Advertising RCS Media Group div. Pubblicità - . Dalle nostre ricerche emergono principalmente tre aspetti interessanti: il 91% degli intervistati è soddisfatto della qualità dei contenuti, il tempo medio speso sul contenuto è di 3 minuti, un progetto di branded content porta a un incremento medio della brand reputation pari del 63%. Numeri che testimoniano l'efficacia di questo strumento".
"Sempre più i clienti ci chiedono di raccontare storie che emozionino creando un coinvolgimento totale - ha esordito Silvia Cavalli, Digital Content Head Condé Nast Italia - . Per rispondere a questa richiesta ci siamo riorganizzati internamente creando una digital content unit che lavora in modo orizzontale interfacciandosi da un lato con i brand e dall'altro con le redazioni delle testate che devono ospitare i contenuti, al fine di rendere ciascun branded content perfettamente in linea con la rispettiva testata di riferimento".
Diverso l'approccio adottato da Agi, come ha messo in evidenza Daniele Chieffi, Head of Digital Communication and content Factory Agi. "In Agi si è scelto di creare una unit verticale separata dalla redazione che lavora lungo due direttrici: da un lato è attiva nella produzione di branded content pensato come approfondimento da veicolare sulle property di Agi; dall'altro nella messa a punto di contenuti che vengono ospitati sui canali dei clienti. Gestiamo il processo a 360 gradi: partendo dai dati costruiamo una strategia che metta a sistema le esigenze di comunicazione dell'azienda con gli interessi e i topic rilevanti intercettati. Il contenuto viene realizzato utilizzando le tecniche proprie del brand journalism, che prevedano la messa in luce di elementi che rendano il rilevante e notiziabile per il pubblico a cui ci si rivolge".
Molti i progetti già realizzati, citati come esempi virtuosi di un ottimale utilizzo del mezzo branded content. Zanaboni ha ricordato il progetto di engagement sviluppato per Paco Rabanne con l'obiettivo di raggiungere 100mila visite al sito in un mese. "Abbiamo creato un contest ingaggiando quattro influencer del mondo dello sport e invitando gli utenti a misurarsi in una prova di abilità - ha spiegato il manager - . La copertura è stata ampia, abbiamo raggiunto il 54% dell'audience 18-34 e una copertura social di 4,1 milioni di utenti, oltre a 139mila visite al sito del cliente".
Per raccontare l'uscita del film 'Gli incredibili 2' di Disney all'audience di Vogue Condé Nast ha realizzato un video con alcuni stilisti emergenti che raccontavano cosa rappresentasse per loro la protagonista femminile del film. "Ne sono scaturite delle mini interviste divertenti e ingaggianti che hanno ottenuto ottimi risultati di visualizzazione e non solo", ha detto Cavalli.
Completamente diverso il progetto firmato sempre da Condé Nast per Nike, al fine di comunicare la possibilità di conciliare sport e studio. "Su Vanity Fair abbiamo coinvolto mamme, zie e fratelli che accompagnano spesso le ragazze agli allenamenti, mentre su Glamour abbiamo fatto parlare le ragazze", in piena coerenza con i differenti pubblici delle due testate", ha aggiunto Cavalli.
Agi ha invece firmato un progetto interessante che ha coinvolto i clienti tutta la filiera delle aziende che producono gas. "Abbiamo costruito un progetto a 360 gradi con magazine online, contenuti social, una campagna video con protagonisti Cristiana Capotondi, lo chef Cannavacciuolo e Casa Surace, una campagna di digital PR con influencer di secondo livello e una campagna media relation sui media di settore - ha spiegato Chieffi - . In questo caso si è trattato di un'operazione educational, di informazione, in grado di portare reputation al brand".
Se però devono essere gli editori a gestire la realizzazione del contenuto, questo presuppone necessariamente che i brand si fidino e accettino di avere meno controllo su di esso.
"Sono d'accordo sul fatto che si debba lasciare spazio all'editore, ma non sempre è facile perché in azienda si tende a volere un messaggio meno 'editoriale', anche se poi risulta meno ingaggiante", ha dichiarato Chisu.
La soluzione potrebbe essere consegnare all'editore un brief molto chiaro oppure lavorare in stretta sinergia. "Noi cerchiamo di lavorare a quattro mani con l'azienda - ha detto Cavalli -, soprattutto nei progetti di ampio respiro, che durano abbastanza da poter modificare in corsa degli aspetti se ci accorgiamo che non funzionano".
E la tecnologia? Che ruolo ha nei progetti di branded content?
"Sicuramente aiuta perché consente di migliorare la gestione, la delivery e la misurazione, anche in corso d’opera", ha affermato Zanaboni.
Secondo il manager, sono due gli errori da evitare quando si approccia il branded content: "Lato publisher non bisogna mai provare a ingannare il lettore, cioé deve essere sempre chiara la differenza tra contenuto editoriale e contenuto brandizzato, lato azienda invece bisogna tenere presente che il branded content è una buona opportunità ma non può essere sostitutivo di tutte le altre forme di comunicazione della marca".
Serena Piazzi