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Think Digital/3 L’impatto della rivoluzione digitale sulla comunicazione

Il Ceo come Chief Communication Officer e Leader Digitale dell’azienda, la ‘nuova comunicazione’ consumer centric e data driven, la necessità di un ricambio organizzativo e generazionale, la potenza dello storytelling ma anche dell’ecommerce per il posizionamento e la costruzione di un brand: questi i principali take-away emersi nella seconda parte della mattinata di ‘Think Digital’, l’evento organizzato da GroupM e The European House – Ambrosetti al Superstudio di Milano, dedicata all’impatto del digitale sulla comunicazione.

Introducendo il tema della ‘Rivoluzione Digitale nella Comunicazione’, cui è stata dedicata la seconda parte della mattinata di ‘Think Digital’, l’evento organizzato da GroupM e The European House – Ambrosetti, il senior partner di quest’ultima, Paolo Borzatta, ha preso spunto dall’imminente data del 14 luglio per proporre un’analogia con la rivoluzione francese: “Come la presa della Bastiglia ha cambiato per sempre la geografia sociale del mondo – ha detto infatti – altrettanto sta facendo la rivoluzione odierna. Grazie alla tecnologia, la velocità del cambiamento non è più lineare ma esponenziale, e la sua velocità continuerà ad aumentare. Ma non solo: perché l’impatto di questo cambiamento riguiarda tutto e tutti: consumatori, aziende, paesi. E oggi c’è una nuova ‘ghigliottina’: la lentezza”.

Come alla fine del ‘700 vecchio e nuovo mondo si sovrapposero, ha proseguito, lo stesso sta accadendo oggi fra il ‘vecchio’ mondo fisico e il ‘nuovo’ mondo digitale: “Dalla commistione dei due nascono l’omni e l’iper canalità, la relazione one to one fra brand e consumatore, l’esplosione dei touchpoint, sempre più numerosi. Tutto questo ha reso non lineare il customer journey e dato origine a una nuova customer experience”.

Per rispondere, alle aziende occorre dunque una ‘nuova comunicazione’ il cui motore è costituito dai Big Data che sono la base per rendere il marketing più efficace: “La comunicazione di ieri era unidirezionale – ha ricordato Borzatta –, si misurava in mesi, era fatta di messaggi unici one-to- many, e veniva data per vera senza alcun dubbio perché bastava che una cosa la dicesse la televisione… Oggi il tempo si misura in secondi, la comunicazione è bidirezionale, il messaggio è multiplo (one-to- one) e sempre sottoposto a un severo fact checking”.

Ogni azienda è una media company che deve diffondere contenuti all’esterno come al suo interno, in modo sintonico, e ogni segnale emesso diventa una piattaforma, un vero e proprio ecosistema.

“In questo scenario la comunicazione diventa ancora più strategica e deve riguardare tutte le funzioni aziendali – ha concluso –, a partire dal vertice: oltre a essere ‘testimonial’ dell’azienda, cioè, il Ceo dovrà assumere l’ownership della comunicazione, e il duplice ruolo di Chief Communication Officer e Leader Digitale”.

 

Gleason ([m]PLATFORM): strategie consumer centric e data driven

Nel keynote successivo, Brian Gleason, Global CEO [m]PLATFORM GroupM, ha focalizzato la sua attenzione sulla experience economy e sulle nuove modalità di fruizione dei mezzi multi-device che ha reso il consumatore sempre più sfuggente: “Siamo entrati nell’epoca del consumerismo post- demografico – ha spiegato –, e della personalizzazione della comunicazione, in cui occorre formulare strategie media consumer centriche che vanno costruite a partire dal concetto di ‘identità’. A una marca non basta più ascoltare le persone: il segreto del successo di Amazon, solo per fare un esempio, è nella sua capacità di capirle. Come? Attraverso l’uso dei dati”.

Attenzione, però, ha messo in guardia Gleason, perché “Ogni azienda e ogni settore è differente e non esiste una soluzione universale. Il retail, i servizi finanziari o il largo consumo hanno tutti obiettivi di business differenti, diverse tipologie di dati utilizzabili e soprattutto differenti KPI sui quali misurare il successo della comunicazione. Essere realmente data-driven significa organizzare e capire i dati generati da tutti i diversi touchpoint del consumer journey, identificare fra questi i dati più rilevanti e mixarli attraverso una piattaforma di analisi capace di estrarne insight sui quali agire concretamente, e infine adattare la comunicazione utilizzando tali insight per guidare un processo decisionale in tempo reale”.

Proprio su queste basi è nata [m]PLATFORM di GroupM (di cui ADVexpress si è già ampiamente occupata nelle scorse settimane - vedi news), la cui tecnologia, esaminando le correlazioni fra eventi e comportamenti, permette di associare con precisione i miliardi di tracce lasciate dai diversi device con una singola persona: “In questo modo possiamo raggiungere l’obiettivo fondamentale di rendere più chiaro il quadro entro cui la marca deve imparare a muoversi, con una serie di evidenti benefici: consumer insight sempre più approfonditi, massima affinità e rilevanza di ogni attività di comunicazione, una drastica riduzione della dispersione, migliori performance su qualsiasi KPI, una corretta attribuzione del budget alle diverse iniziative che aiuta a generare un ROI sempre maggiore”.

 

Ibarra (Wind/Wind Tre): velocità, coraggio e collaborazione

Già Amministratore Delegato Wind e Wind Tre, Maximo Ibarra ha ripreso alcuni dei concetti emersi dagli interventi precedenti per ampliare il discorso: “Come ha detto Delli Molli – ha esordito – le aziende ‘lente’ sono destinate a morire. Ed è vero che il digitale è indispensabile nel processo di organizzazione, posizionamento, comunicazione e personalizzazione della relazione fra marca e utente. Ma tutto questo è solo una parte della catena del valore di un’azienda che il digitale impone di spezzare e ricomporre”.

Come? Partendo da due dati di fatto, ha proseguito Ibarra: “Il primo riguarda l’età media di chi all’interno delle aziende prende le decisioni. La formazione e le skill delle nuove leve dirigenzialiè un aspetto tutt’altro che banale e direi anzi fondamentale. Il secondo è nei modelli sorpassati secondo cui le aziende sono ancora troppo spesso organizzate, in cui funzioni come il marketing e la comunicazione hanno un proprio spazio ‘ritagliato’ ma non pervasivo all’intera organizzazione. E questo non funziona più”.

Ibarra si è quindi detto d’accordo con Borzatta nell’identificare nel Ceo la guida dei processi di comunicazione interna ed esterna: “Ma resta il fatto che la comunicazione non può più essere ‘top fown’ fuori e dentro l’azienda, verso i consumatori, i dipendenti e anche verso gli azionisti. È un tema su cui occorre ‘sporcarsi le mani’, lavorando secondo logiche trasversali, trovando persone di talento con culture diverse e metterle insieme per creare ‘internal innovation’. Responsabilizzare le persone in quest’ottica produce risultati immediati”

Non solo, ha aggiunto, perché alcune specifiche funzioni e necessità possono essere soddisfatte anche all’esterno, attraverso il ricorso a un’infinità di organizzazioni più piccole e di start up, guadagnando anche in questo modo efficacia ed efficienza. “Per vincere gli ostacoli della digital disruption – ha concluso Ibarra – ci velocità, che si implementa solo se si ha coraggio, e tanta, tanta collaborazione”.

 

P. Missler (Amazon Media Group): dall’e-commerce possono nascere nuovi brand

Riprendendo il tema della non linearità del consumer journey, Philip Missler, Director Amazon Media Group Germania e Italia, ha puntualizzato il ruolo della tecnologia nell’abilitare nuove esperienze di consumo e anche di acquisto: “Per chi fa comunicazione questo cambia molte cose – ha spiegato –, a partire dal fatto che non basta più vendere un prodotto o una marca, ma insieme occorre vendere anche una nuova shopping experience”.

Illustrando il caso dei soft drink BAI, che in 7 anni sono passati dalla fase di start up a uno dei brand protagonisti dello scorso Super Bowl: “La strategia di comunicazione dell’azienda è stata chiara e semplice fin dall’inizio, lavorando in collaborazione con Amazon hanno sempre rivolto messaggi unici a specifici target group, identificati attraverso l’ananlisi dei dati generati dagli stessi navigatori. Per esempio, a chi aveva semplicemente mostrato interesse per il prodotto visitando la pagina sul nostro sito venivano inviati buoni sconto per invitarlo alla prova. Nei confronti di chi invece aveva già effettuato un primo test i messaggi erano tutti centrati sulla costruzione di loyalty e fidelizzazione, spingendo per il riordino regolare e ripetuto nel tempo”.

La lezione più importante del caso BAI, ha spiegato Missler, “È che oggi l’e-commerce è diventato qualcosa di più di un semplice touchpoint ‘aggiuntivo’, perché anche solo attraverso l’e-commerce è diventato possibile costruire un vero e proprio brand. Per farlo vanno considerati tre elementi indispensabili: gli insight che nascono dai dati, i momenti in cui si raggiungono i consumatori, l’esperienza di acquisto che si offre loro”.

 

A.Fontana (Storyfactory): costruire relazioni attraverso lo storytelling

In chiusura, Andrea Fontana, Managing Director Storyfactory, ha offerto un’analisi concreta di cosa voglia dire fare storytelling oggi, in un universo sempre più digitale: “Ogni ‘storia’ –ha detto –, va costruita tenendo presente che deve suscitare un’emozione, qualsiasi essa sia. Si può pensare a storie sorprendenti che creino stupore, a store tragiche generatrici di angoscia, a storie altalenanti che creino suspence o storie di compimento che grazie al finale positivo generino felicità. Ma come spiegano le neuroscienze, in qualsiasi caso un racconto che ci emoziona deve arrivare a ‘toccarci’ a livello fisico, suscitando una reazione nella nostra corteccia motoria”.

Think Digital

 

Attraverso l’esempio della ‘Misericordina’ – la ‘medicina’ di cui già recentemente si era occupato Monsignor Viganò nel corso della recente Assemble UPA (leggi news) – Fontana ha evidenziato le variabili di cui il processo narrativo deve tener conto: la storia, l’ascoltatore, lo ‘show’, le skill, il set e il narratore.

“Precisato che non tutta la comunicazione è ‘narrazione’ – ha detto Fontana – il senso dello storytelling non è più quello del semplice ‘raccontare storie’, ma relazionarsi attraverso i contenuti con i propri target di riferimento, costruendo universi simbolici che implicano di per se stessi personalizzazione”.

 

Tommaso Ridolfi