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Coronavirus. Biasi (ABC): “Un nuovo patto fra aziende italiane e agenzie italiane. Con meno investimenti, meno mezzi classici e più digitale. Ma la comunicazione potrebbe riscoprire l’intrattenimento”

La crisi avrà un duplice impatto, emotivo ed economico, sostiene Aldo Biasi, creativo ma al tempo stesso imprenditore: “I due fattori messi in discussione sono infatti come comunicheremo e dove troveremo le risorse per farlo”. La sua analisi spazia da una pubblicità che potrebbe tornare ad agire sulle corde dell’intrattenimento, e il nuovo indispensabile patto fra aziende italiane ed esperti di comunicazione italiani, per relazione sempre più stretta e più consulenziale.

Il giro di microfono di ADVexpress fra addetti ai lavori prosegue con un creativo di lungo corso come Aldo Biasi che tiene a sottolineare come la sua testimonianza abbia una duplice veste :

“Premesso che sono sì un creativo – esordisce infatti il partner–fondatore di Aldo Biasi Comunicazione – ma che in questo momento parlo anche da piccolo imprenditore, credo che nel breve l'impatto sia più strettamente emotivo che economico. Ci sono infatti due fattori che vengono messi in discussione e che saranno oggetto di riflessioni complesse. Il primo è come comunicheremo, il secondo è se avremo e dove troveremo le risorse per comunicare”.

Non è difficile immaginare che alla fine l’impatto di questa crisi sarà fortemente negativo: “Come quando si esce da una guerra si cercherà tutti di capire dove ci siamo fatti male, che cosa è rimasto in piedi, se riusciremo a farcela oppure no… ma dovremo ripartire, e secondo me ci potrà essere addirittura un momento di euforia, una grande voglia di tornare a vivere, avremo la sensazione che improvvisamente i consumi possano ripartire, che la gente abbia voglia di andare in giro, di divertirsi. Non sono un esperto di comportamenti umani ma credo che questa potrà essere la reazione soprattutto da un punto di vista emotivo”.

Il vero problema, prosegue Biasi, sarà invece sul medio termine: “Quando cioè finalmente avremo capito realmente in che condizioni siamo e ci troviamo, e ci accorgeremo che il nostro settore sarà messo male. La storia ci insegna infatti che generalmente, in tempi difficili, i primi tagli delle aziende sono proprio quelli alla comunicazione: forse anche abbastanza ‘giustamente’ – riflette Biasi –, perché decidono di curare di più quelli che sono gli aspetti della produzione, commerciali, distributivi e via dicendo. Ma ecco perché credo che nel medio periodo sarà la nostra industry a entrare in crisi”.

Crisi che non sarà però uguale per tutti: “Quelli che ne sentiranno di più gli effetti saranno gli investimenti in comunicazione tradizionale – aggiunge Biasi –: tutti i grandi investimenti televisivi saranno rivisti al ribasso e chi prenderà maggior fiato, più di quanto già ne abbia oggi, sarà il digitale. È una piccola ovvietà, ma è evidente che sarà questa l'area media che sarà più facilmente frequentata dai clienti. Aggiungo, inoltre, che noi italiani dovremo anche guardare cosa succederà all'estero, perché tutti i segnali e le principali tendenze della comunicazione nascono soprattutto negli Stati Uniti, la madre di tutta la comunicazione moderna occidentale, e arrivano da noi con un certo ritardo”.

Sul tema del linguaggio e del tono di voce da utilizzare, in questi momenti e più avanti, Biasi propone una duplice riflessione: “È una medaglia a doppia faccia. Come ho detto, infatti, tutto porterebbe a credere che, anche per questioni economiche, utilizzeremo di più i social e il digitale, che però hanno le loro regole: si tenderà quindi ad adottarne il tipico linguaggio che è, se così si può dire, molto più 'tutorial', meno emotivo e più 'serioso', fatti salvi i giochini o le facezie che si vedono su Instagram e altri canali. Tendenzialmente, quindi, uno sviluppo di questo settore e del linguaggio a esso collegato vorrà dire che su questi nuovi media la creatività dovrà essere rivista o ritarata ancor più di quanto non avvenga oggi”.

Per contro, c’è una seconda riflessione da fare, prosegue Biasi: “Il momento di euforia che immagino seguirà alla tragedia potrebbe anche portarci a voler fare della comunicazione divertente, rilassante, serena. Una comunicazione dove la pubbblicità non ha sulle sue spalle tutto il peso e la responsabilità del mestiere che fa, ma torna a essere anche una forma di intrattenimento. Non so quale di questi due aspetti vincerà e forse si coordineranno insieme: ma questo ruolo di intrattenimento e di rassenerazione – che già in questo momento sta avendo – potrà essere una chiave interessante per il modo in cui le aziende dovranno comunicare
all'indomani deell’emergenza”.

Biasi ha poi le idee estremamente chiare sul rapporto fra aziende e agenzie che dovrà emergere nel post-crisi: “Lasciatemi essere un po' nazionalista – dichiara –: il nuovo patto deve essere fra le aziende italiane, piccole medie o grandi che siano, e gli esperti di comunicazione italiani.
Capisco che essendo un piccolo imprenditore italiano nel mondo della comunicazione, possa sembrare che io intenda portare l'acqua al mio mulino, ma credo davvero che la prima cosa che le aziende italiane dovranno fare è dare spazio, respiro e fiato, se avranno dei soldi da investire, alle realtà e alle imprese italiane”.

In questo momento, e almeno per un po', prosegue Biasi, “Non dovremmo dare i soldi agli inglesi, agli americani, ai francesi ai tedeschi e ai giapponesi. Dobbiamo stringere un patto fra imprese e comunicatori italiani, quelli che hanno vere competenze, ovviamente, perché saranno certamente in grado di dare loro consulenza e supporto. Abbiamo visto in questi anni i manager italiani delle organizzazioni di comunicazione internazionali andare a prendere ordini dai loro capi a Londra o a New York: portare fatturato e utili, e se non ce la si fa licenziare…

Questa è stata la regola che ha governato questi anni, e forse è arrivato il momento giusto per cambiare registro. Ora questo non si può più fare. Non si deve più fare. Ecco perché propongo e sostengo un patto che unisca e veda lavorare insieme le aziende italiane e le imprese di comunicazione italiane capaci di aiutarle in termini di consulenza e di pensiero”.

Aldo Biasi Comunicazione, spiega il suo fondatore, lavora in smart working già da oltre tre settimane: “Siamo stati fra i primi a chiudere tutto e a dire ai ragazzi state a casa, non prendete i treni o i pullman e continuiamo a lavorare. Il nostro mestiere per fortuna ce lo consente.
Sicuramente da un punto di vista creativo si fatica, perché nel momento ideativo c'è sempre bisogno di relazione, di vicinanza: non si possono immaginare delle campagne da soli chiusi in una stanza e quindi c'è, e ci sarà ancora per un po’ di tempo, un problema in questo senso”.

Per quanto riguarda i clienti, spiega però Biasi, la distanza non ha inficiato i rapporti: “Ho la fortuna
di avere clienti che si fidano molto e che ci stanno chiedendo pareri su cosa possono o non possono dire adesso, se è giusto andare in onda o se è meglio aspettare, qual è il posizionamento che possiamo dare in questo momento e che potremo dare domani... È sorprendente forse, ma la relazione è diventata ancora più stretta e più consulenziale”.

In questo senso, probabilmente, pur essendo stato fino a questo momento ignorato dai programmi messi in atto dal Governo, il settore della comunicazione avrebbe la possibilità di dare un grande aiuto al sistema Paese: “Se come si dice è il momento in cui devono scendere in campo le competenze, sicuramente noi comunicatori ne abbiamo molte e molto specifiche – spiega Biasi –: abbiamo una capacità di visione del panorama e dei comportamenti del consumatore, delle parole che si possono e non si possono dire… Oggi con i miei clienti sta andando così: che poi nel 2021 decidano di non spendere in comunicazione o di spendere meno questo non lo posso predire. Mi auguro che non sia così”.

Sulla visione di lungo periodo, quindi a emergenza terminata e messa alle spalle, Biasi si mantiene ottimista: “Premesso che se tutto quanto detto finora funzionerà nella direzione che ho suggerito e se il cambiamento di linguaggio avverrà nella direzione che ci siamo detti, il dopo, quello più lontano, credo che sarà ottimo. Onestamente penso di essere facile profeta: ma la società dovrà vivere e vorrà vivere bene, e farà di tutto per poter raggiungere un nuovo livello di benessere e di serenità”.

 

Tommaso Ridolfi