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Coronavirus. Comin: “Centralizzare la comunicazione di aziende e istituzioni. Una regia unica per parlare con immediatezza, trasparenza e continuità. Nel pubblico manca la sensibilità di una figura femminile”
“Come tutte le crisi – esordisce Gianluca Comin, Fondatore e Presidente di Comin & Partners, ai microfoni di ADVexpress –, per le imprese i fatti di questi giorni sono uno shock perché inaspettati nei tempi, nella durata, nelle dimensioni. Questa emergenza in particolare, talmente grande da portare alla chiusura di interi settori produttivi e a bloccare i movimenti delle persone, sta toccando la loro sensibilità più profonda, le loro paure per la salute, per gli affetti più vicini, per i familiari. Condizioni che mettono in crisi qualsiasi società. La risposta, naturalmente, è stata diversa a seconda dei soggetti: ma certamente le aziende più avvedute avevano e hanno dei piani di crisis communication per affrontare queste emergenze”.
In questi momenti, spiega Comin, la comunicazione va prima di tutto centralizzata: “È una responsabilità dell’amministratore delegato con il suo team, e il ruolo del direttore della
comunicazione diventa fondamentale insieme a quello del capo del personale: i primi soggetti e i primi target ai quali rivolgersi sono infatti i propri dipendenti, che devono dare continuità di vita alla società in un momento di grande drammaticità, e i propri clienti. Per le società quotate, inoltre, ci sono anche gli azionisti, che in questi momenti – abbiamo visto la volatilità delle borse – hanno bisogno di avere risposte immediate.
I metodi e i toni da usare di comunicazione in questi casi sono tanto banali quanto difficili: “Prima di tutto immediatezza – consiglia Comin –, perché non bisogna far passare troppo tempo dall’evento critico al parlare alle persone. Poi la trasparenza: qualsiasi cosa si dica viene subito misurata, quindi si deve dire quello che si sa e anche ammettere quello che non si sa, perché magari gli scienziati ancora non hanno dato una risposta su quel punto o perché in azienda non si è ancora affrontata quell’organizzazione. Terzo, dare continuità: non si può uscire il primo giorno con una comunicazione e poi sparire magari per una settimana – in eventi come questi il ‘ritmo’ della comunicazione è fondamentale”.
Assolutamente da evitare, aggiunge Comin, quella sorta di cinismo che abbiamo visto in alcuni casi nei giorni scorsi: “Ricordo la pubblicità di Bormio che diceva ‘Qui si respira a pieni polmoni’ solo tre giorni prima che si chiudesse il paese, ma ce ne sono state altre e ce ne sono alcune on air anche oggi che si sarebbero potute evitare. Il punto è che si diventa tutti più sensibili, e quindi ogni comunicazione viene letta con filtri diversi da quelli della normalità: non siamo più solamente clienti, ma persone che stanno soffrendo perché gli è stata tolta della libertà, hanno dei familiari ammalati, non si possono muovere o non possono fare quello che facevano prima. Le aziende devono perciò filtrare il loro modo di comunicare con quelle che sono le esigenze del momento delle persone”.
Per applicare questi filtri ogni impresa ha a disposizione agenzie, centri media, creativi e
quant’altro: “Nei lunghi anni da manager – puntualizza Comin – ho sempre pensato che le aziende devono ‘sposare’ i propri fornitori. Le gare ogni semestre, se non ogni mese o alcune volte addirittura ogni giorno per ogni piccola campagna, portano disaffezione e impediscono di entrare in piena sintonia. E proprio questi sono i momenti in cui ciò crea sofferenza: avere delle agenzie che siano ‘embedded’ dentro l’azienda, che ne conoscano i sentimenti e la storia, aiuta ad accelerare la capacità di comunicare verso l’esterno, più che rivolgersi a un’agenzia che magari lavora con te per la prima volta. In questa fase, quindi, sono premiati i ‘fedeli’, sono premiate quelle realtà che hanno costruito una relazione solida con i loro fornitori e anche con i loro clienti”.
Difficile dire se questa relazione varrà anche per il dopo, osserva però Comin. “Potremmo soffrire una crisi simile a quella del 2008, che sappiamo quanto sia costata al settore in termini di budget ridotti, di posti di lavoro eliminati, di strutture decimate. O al contrario potrebbe esserci un momento di grande rivitalizzazione. Credo che su questo punto tutto il mondo della comunicazione dovrebbe muoversi all’unisono e chiedere al Governo dei forti sgravi fiscali per le imprese che investono in comunicazione: perché faranno parte di quella ‘riconquista’ di fiducia del consumatore che porterà ad aumentare i consumi e quindi a far riprendere il PIL nazionale. Dobbiamo essere parte di quel progetto di rilancio del Paese che il Governo sicuramente metterà in atto per far ripartire l’Italia”.
Fino a questo momento, riprende Comin, l’impressione è che il Governo abbia agito bene ma comunicato molto male le sue azioni: “Ovviamente, anche per il Governo come per le aziende è stato un fatto enorme, inaspettato e di dimensioni globali, sui quali si è costretti a mettersi alla prova, senza pensare di avere qualche ricetta sicura. Però si è tenuto poco conto che comunicare di notte mette ansia alle persone, lascia un gap di ‘non notizie’ fino alla mattina dopo… L’annuncio di provvedimenti non ancora entrati in vigore ha creato incertezza: e dall’incertezza nasce la paura, che a sua volta crea ribellione e quindi non aiuta a raggiungere gli obiettivi che ci si era prefissati.
Già prima dell’emergenza sanitaria ci trovavamo in una fase in cui inclusività e diversità di genere erano al centro del dibattitto nel mondo della comunicazione, e Comin centra il bersaglio ricordando come in questi giorni questo aspetto sia stato nettamente sottovalutato. “Facciamoci caso – sottolinea infatti –: dalle Regioni alla Protezione Civile, dal Governo alle Autorità Sanitarie, non si è vista una sola donna. Nessuna istituzione ha una testimonial, una rappresentante femminile. Unica eccezione la Capua, ma come opinionista ‘terza’. Io credo invece che, a volte, un messaggio dato da una donna – penso alle conferenze stampa delle 18.00 della Protezione Civile – avrebbe una sensibilità e riceverebbe un’attenzione diversa rispetto a quelle che siamo abituati a dare e ricevere noi uomini”.
Un’altra riflessione necessaria, conclude Comin, è che per l’ennesima volta ci troviamo a
constatare che la comunicazione arriva buon’ultima, quasi come un ripiego: “Non mi sembra che al tavolo ci siano professionisti, sondaggisti, linguisti, grafici o creativi, che possano aiutare il Governo a tradurre i messaggi affinché la gente li possa interpretare. Del resto fino a oggi le campagne sul tema Coronavirus sono state più la somma di spontaneismo – quella della Rai, quella dello Sport o di altre iniziative private – senza una vera e propria regia. Si sta immaginando e ci stanno lavorando team ministeriali, e anche noi siamo in alcuni tavoli di lavoro, una grande campagna sul Made In Italy rivolta all’estero e un progetto per il Turismo italiano. Ma più di tutto servirebbe una campagna capace di ridare fiducia alle persone: chi non ha fiducia non spende, e chi non spende non accende l’economia. E riaccendere l’economia è ciò di cui abbiamo bisogno”.
Tommaso Ridolfi