Live Communication
Expo, il grande evento è terminato. Manieri: "Storytelling ed engagement, mai più senza"
Un evento di questa portata, secondo il direttore creativo, è equiparabile a una conversazione, dove con i contenuti si può e si deve interagire. Il segreto del successo? Storytelling ed engagement, mixati in modo organico e rigorosamente insieme.
E' appena sceso il sipario su Expo 2015 e si fanno i primi bilanci. ADVexpress ha raccolto a caldo le impressioni di Mauro Manieri, che ha curato i contenuti di Padiglione Lombardia.
Nel suo curriculum da copywriter e direttore creativo, lavori per clienti di ogni settore con Saatchi & Saatchi, Publicis, Leo Burnett, TBWA, Lowe Pirella, BarbellaGagliardiSaffirio, e un palmarès di tutto rispetto.
Che tipo di esperienza è stata Expo per un direttore creativo?
L’Expo è una di quelle esperienze più uniche che rare. È impossibile paragonarla con la normale attività di direttore creativo d’agenzia. Devo dire però che il bagaglio di competenze maturate nel mondo dell’advertising e del digital è stato di enorme aiuto ed ha costituito un vantaggio competitivo nei confronti degli avversari.
Quali avversari?
Il poco tempo che c’era a disposizione (sono salito a bordo a soli tre mesi dall’inaugurazione) e il caos di un’enorme realtà in divenire.
In che modo la formazione professionale ti è stata utile?
Per esempio, dò per scontato che bisogna valutare ciò che si progetta con gli insight di chi poi ci si troverà davanti. Un evento di questa portata, come la maggior parte delle attività di comunicazione, è fondamentalmente una conversazione. Non un film a cui assistere, ma una serie di contenuti con cui interagire.
E questo cosa ha comportato?
Chi ha evitato di fare del proprio padiglione un mero contenitore di multimedialità, non solo ha registrato un ottimo afflusso di visitatori, ma ha sedimentato in loro un discorso coerente e coinvolgente sui temi trattati. Usando due delle parole più abusate degli ultimi anni, storytelling e engagement, i risultati migliori non sono venuti da chi ha usato l’uno o l’altro, ma da chi è riuscito a metterli insieme in modo organico.
Puoi fare un esempio?
La splendida idea, ben realizzata, del padiglione della Svizzera, i cui visitatori sono stati personalmente, intimamente ed emotivamente coinvolti in una geniale quanto semplice dimostrazione sul problema della sostenibilità del consumo delle risorse. Chi non l’ha visto penso proprio che abbia perso un’occasione importante.
E nel caso del padiglione su cui hai lavorato?
La Lombardia, essendo la regione ospitante Expo, ha avuto ambizioni maggiori di altre regioni italiane. Noblesse oblige. Non si è limitata quindi al solo allestimento di uno spazio dove tenere incontri e mostrare le eccellenze agroalimentari locali. Il nostro concept è stato 'Feeding The Future', a sottolineare la vocazione storica di un’area geografica che da secoli è all’avanguardia nello sviluppo, alimentare e non, e in questo modo nutre il futuro. Abbiamo fatto largo uso di tecnologia digitale, evitandone l’impiego gadgettistisco e privilegiando quello contenutistico.
Il percorso di Padiglione Lombardia partiva dal passato, con un tour in realtà virtuale dei siti Unesco lombardi da godere nella spettacolarità degli Oculos e arricchito da una serie di info in realtà aumentata che lasciava libero il visitatore di approfondire ciò che più gli interessasse. Poi continuava con ologrammi life size di personaggi storici che aiutavano gli ospiti nel loro percorso, fino ad accompagnarli a una serie di 96 pillole video interattive in otto lingue diverse che potevano essere gestite direttamente dal visitatore, invece di costringerlo a essere intruppato in una visita totalmente guidata.
Il bilancio finale qual è?
Abbiamo raggiunto un numero di visitatori che era il triplo dell’obiettivo. Un risultato oltre le più rosee aspettative, visto che non era facile attrarre l’attenzione in un contesto come quello di Expo, in cui l’offerta di contenuti era sterminata e ci si confrontava con giganti internazionali che hanno investito risorse ingenti in spazi enormi.
Dal punto di vista dell’affluenza e dell’apprezzamento del pubblico, il megaevento Expo è stato un successo (vedi anche l’intervista di Massimo Costa a ADVexpress - leggi news).
Che insegnamento si può trarre da questa esperienza “mostruosa” per il normale lavoro di un creativo?
Rimanendo sul mostruoso, l’insegnamento di Gene Wilder in Frankenstein Junior: si-può-fare!
Nel suo curriculum da copywriter e direttore creativo, lavori per clienti di ogni settore con Saatchi & Saatchi, Publicis, Leo Burnett, TBWA, Lowe Pirella, BarbellaGagliardiSaffirio, e un palmarès di tutto rispetto.
Che tipo di esperienza è stata Expo per un direttore creativo?
L’Expo è una di quelle esperienze più uniche che rare. È impossibile paragonarla con la normale attività di direttore creativo d’agenzia. Devo dire però che il bagaglio di competenze maturate nel mondo dell’advertising e del digital è stato di enorme aiuto ed ha costituito un vantaggio competitivo nei confronti degli avversari.
Quali avversari?
Il poco tempo che c’era a disposizione (sono salito a bordo a soli tre mesi dall’inaugurazione) e il caos di un’enorme realtà in divenire.
In che modo la formazione professionale ti è stata utile?
Per esempio, dò per scontato che bisogna valutare ciò che si progetta con gli insight di chi poi ci si troverà davanti. Un evento di questa portata, come la maggior parte delle attività di comunicazione, è fondamentalmente una conversazione. Non un film a cui assistere, ma una serie di contenuti con cui interagire.
E questo cosa ha comportato?
Chi ha evitato di fare del proprio padiglione un mero contenitore di multimedialità, non solo ha registrato un ottimo afflusso di visitatori, ma ha sedimentato in loro un discorso coerente e coinvolgente sui temi trattati. Usando due delle parole più abusate degli ultimi anni, storytelling e engagement, i risultati migliori non sono venuti da chi ha usato l’uno o l’altro, ma da chi è riuscito a metterli insieme in modo organico.
Puoi fare un esempio?
La splendida idea, ben realizzata, del padiglione della Svizzera, i cui visitatori sono stati personalmente, intimamente ed emotivamente coinvolti in una geniale quanto semplice dimostrazione sul problema della sostenibilità del consumo delle risorse. Chi non l’ha visto penso proprio che abbia perso un’occasione importante.
E nel caso del padiglione su cui hai lavorato?
La Lombardia, essendo la regione ospitante Expo, ha avuto ambizioni maggiori di altre regioni italiane. Noblesse oblige. Non si è limitata quindi al solo allestimento di uno spazio dove tenere incontri e mostrare le eccellenze agroalimentari locali. Il nostro concept è stato 'Feeding The Future', a sottolineare la vocazione storica di un’area geografica che da secoli è all’avanguardia nello sviluppo, alimentare e non, e in questo modo nutre il futuro. Abbiamo fatto largo uso di tecnologia digitale, evitandone l’impiego gadgettistisco e privilegiando quello contenutistico.
Il percorso di Padiglione Lombardia partiva dal passato, con un tour in realtà virtuale dei siti Unesco lombardi da godere nella spettacolarità degli Oculos e arricchito da una serie di info in realtà aumentata che lasciava libero il visitatore di approfondire ciò che più gli interessasse. Poi continuava con ologrammi life size di personaggi storici che aiutavano gli ospiti nel loro percorso, fino ad accompagnarli a una serie di 96 pillole video interattive in otto lingue diverse che potevano essere gestite direttamente dal visitatore, invece di costringerlo a essere intruppato in una visita totalmente guidata.
Il bilancio finale qual è?
Abbiamo raggiunto un numero di visitatori che era il triplo dell’obiettivo. Un risultato oltre le più rosee aspettative, visto che non era facile attrarre l’attenzione in un contesto come quello di Expo, in cui l’offerta di contenuti era sterminata e ci si confrontava con giganti internazionali che hanno investito risorse ingenti in spazi enormi.
Dal punto di vista dell’affluenza e dell’apprezzamento del pubblico, il megaevento Expo è stato un successo (vedi anche l’intervista di Massimo Costa a ADVexpress - leggi news).
Che insegnamento si può trarre da questa esperienza “mostruosa” per il normale lavoro di un creativo?
Rimanendo sul mostruoso, l’insegnamento di Gene Wilder in Frankenstein Junior: si-può-fare!