Live Communication

I nuovi linguaggi dell'adv al centro del convegno Assolombarda

Si può parlare parlare di fine del dominio dell'offerta sulla domanda? Probabilmente sì, dato che ormai i mercati sono saturi e i consumatori più consapevoli di fronte ai pronunciamenti entusiastici delle marche.

"L'innovazione nella comunicazione e i nuovi linguaggi dell'advertising" questo è il titolo dell'incontro di oggi, martedì 4 aprile, in Assolombarda, nell'ambito dei "Pomeriggi della Comunicazione", un ciclo di appuntamenti organizzati dall'Associazione imprenditoriale milanese.

L'iniziativa, articolata in sette giornate, è giunta alla terza edizione e ha l'obiettivo di approfondire gli aspetti della comunicazione che interessano soprattutto le imprese di piccole e medie dimensioni. 

Il tema odierno è interamente dedicato all'advertising e intende aiutare le imprese a rendere il loro brand sempre più rilevante e valoriale in operazioni mirate e molto specifiche per il target a cui si rivolgono. Oggi, infatti, è sempre più difficile riuscire a colpire l'attenzione dei consumatori e farsi notare, e proprio per questo occorre che le imprese, grandi e piccole, riescano a trovare nuovi modi di approcciare il consumatore, di parlare al proprio target, di ritagliarsi territori esclusivi di comunicazione. Nel corso del pomeriggio informativo, che vuole avere un taglio pratico e operativo, sarà illustrata anche la case history del lancio di Hype da parte di Publicis , un'esperienza con molti aspetti innovativi nella comunicazione non tradizionale, e una selezione di altre operazioni nazionali e internazionali.

Al centro della discussione sta il brand e il ruolo che esso ricopre nelle politiche di comunicazione delle aziende che da anni stanno tentando nuove strade per distinguere se stesse e la loro immagine in quella che si può definire una "marmellata" comunicativa. "Il branding avanzato – attacca subito Stefano Colombo , creative director e head of art di Publicis – si sta spingendo sempre più verso nuovi territori e lo fa a ragion veduta nel momento in cui è il brand, e non il prodotto, ad acquisire valore tanto da essere considerato un patrimonio da quotare in borsa. A questo punto, la sfida è comunicare un valore ed è per questo che noi oggi parleremo oggi di brandig valoriale".

Il brand, dunque, si fa emotivo, sublimazione e sintesi di tutti i contenuti che sono parte della storia di un'azienda, ma, soprattutto, si fa relazionale diventando l'interfaccia parlante di un target che, di conseguenza, non può più essere generalista quanto, piuttosto, attento e consapevole.

Il primo esempio di quest'ordine di fattori, proviene dallo stesso Colombo che presenta un'interessante case history di Hp che ha voluto smaltire il suo retaggio di azienda informatica seriosa (si pensi alle suggestioni provenienti da un brand come Ibm) per appropriarsi di un'immagine più fresca e creativa.

"Per questo motivo - spiega Colombo - Hp si è accreditata presso un target che per definizione è selettivo e diffidente: quello dei giovani artisti metropolitani. E per fare ciò si è servita di un sotto-brand dalle forti valenze culturali dal nome Hype. Publicis ha creato intorno a Hype una comunicazione-evento che si è snocciolata giorno dopo giorno. Il file rouge di tutta la comunicazione sono state le lettere "h" e "p" e la forma geometrica della sfera: da questi semplici elementi Hp ha messo on line viral spot che diffondessero il pensiero "Join the creative sphere" e stimolassero chiunque lo volesse a produrre lavori artistici in piena libertà con l'unico obbligo di inserire le due lettere caratterizzanti in logo. Unitamente a questo, sono state presidiate le zone più cool di Milano e Roma con la distribuzione di piccole sfere di plastica, non accompagnate da alcuna spiegazione, ai passanti. La terza fase del progetto ha portato ad un vero e proprio disvelamento del sito di Hype costituito da tutte le creazioni inviate e contenente l'indicazione della successiva apertura di una galleria fattuale a Milano dove i giovani artisti potessero mandare i propri lavori e vederli stampare da una stampante Hp. Inoltre, mini cataloghi contenenti le creazioni sono stati distribuiti sui canali preferenziali per raggiungere il target di riferimento, non dimenticando la stampa free-press e quella di settore dedicata all'arte. Una simile operazione di brandig valoriale si è poggiata su un budget relativamente ristretto, solo un milione di dollari, ma ha saputo essere efficace perché si è ben servita di un mezzo come il web che, calibrato opportunamente, ha supportato le varie fasi della comunicazione (dalla curiosità alla sorpresa) permettendo la misurazione, in termini di click, del coinvolgimento del pubblico".

Il caso di Hype riassume in sé tutte le problematiche legate alle nuove forme di comunicazione. Giuliano Garonzi, designer di Sintetik,  a tal proposito mette l'accento su quello che alcuni definiscono la parte emozionale e accattivante del brand: il design. E se sotto questa voce, in senso stretto, saltano in mente gli esempi più eclatanti (si pensi ad Alessi o a Ikea), Garonzi mette maggiormente a fuoco l'importanza del retail design, ovvero il posizionamento dei prodotti nei punti vendita. "Quello che oggi è davvero importante- spiega - è la capacità di vendere il prodotto all'interno di una cornice che crei un'esperienza: significative, sotto questo aspetto, sono le realizzazioni del project designer Paolo Lucchetta che su commissione di FIFA ha creato negli aeroporti e nelle stazioni tedesche dei negozi semoventi rappresentanti in tutto e per tutto il campo da calcio e in grado di far vivere le emozioni dello stadio con gli odori dell'erba e i suoni del tifo per portarsi a casa qualcosa di più del semplice souvenir dei Mondiali di Germania 2006".

Casi come questi di ambient media, testimoniano l'evoluzione dell'affective brand come una risorsa immateriale a cui si appalta l'appartenenza identitaria e, al tempo stesso, il desiderio di distintività. "Così- conclude Marco Carnevale , direttore creativo di McCann Erickson – se un tempo le marche esponevano se stesse e il proprio contenuto nella pretesa, molto spesso riccamente esaudita, di chiamare a sé i consumatori, ora esse hanno il ben più difficile compito di dover stanare il pubblico e i potenziali consumatori sempre più refrattari alla brandizzazione della vita".

Si può parlare, allora, di fine del dominio dell'offerta sulla domanda? Probabilmente sì, dato che ormai i mercati sono saturi e i consumatori più consapevoli di fronte ai pronunciamenti entusiastici delle marche. D'altra parte basta guardare l'advertising classico e notare i mutamenti del suo linguaggio: le marche individuano nella suggestività delle loro formule oratorie e visive la più efficace testa di ponte per agganciare il consumatore. "In buona sostanza – conclude in  chiarezza Carnevale- esse espongono la loro attitudine, il loro 'tono di voce', si espongono, quasi, come delle vere e proprie persone".