Live Communication
IAB Forum. Valorizzare la cultura digitale e trasformare i big data in ‘right data’
Un nuovo direttore generale (Federica Gabardi) e un nuovo statuto con cambio della legge elettorale e suddivisione dei soci in base a tre macro-categorie di appartenenza (domanda, offerta e servizi). A poche settimane dalle nuove elezioni (fissate per il febbraio 2014), Iab Italia si rinnova con l’obiettivo di rispondere, sempre di più, alle esigenze degli associati, promuovere gli investimenti in online adv e sostenere la diffusione della cultura digitale nel nostro Paese. Tra gli argomenti chiave della seconda giornata dello Iab Forum, da segnalare l’attenzione ai big data e una ricerca di Assist sugli atteggiamenti degli utenti di fronte alla pubblicità online.
Iab Italia è in piena evoluzione. A poche settimane dalle elezioni, che porteranno alla formazione del nuovo consiglio direttivo e successivamente all’elezione del nuovo presidente (interrogata sul tema, il presidente uscente, Simona Zanette - in foto -, pur non volendone ancora parlare ufficialmente, si dichiara interessata all’idea di continuare il percorso avviato in questi anni), l’associazione della comunicazione digitale interattiva italiana si presenta agli operatori del mercato con un nuovo direttore generale, individuato in Federica Gabardi, e con un nuovo statuto, il cui fulcro è una nuova suddivisione dei soci in funzione di tre macro-categorie di appartenenza, ossia domanda, offerta e servizi.
“D’ora in avanti - dichiara ad ADVexpress Zanette - i candidati alle elezioni saranno suddivisi per ogni singola categoria, in modo da garantire una maggiore rappresentatività dei soci nel consiglio direttivo, che oltretutto passerà da undici a nove membri”.
In merito al valore dell’online advertsing (1,526 miliardi di euro nel 2013, +7,7% rispetto all’anno scorso, vedi news) e al peso dei singoli comparti che caratterizzano internet, Zanette precisa che il display advertising rappresenta il 47% della torta complessiva, al secondo posto troviamo il paid search, che vale il 34% del dato totale, seguito dalla categoria classified/directories (ossia i siti di annunci), che ottiene il rimanente 19%. Da segnalare infine la forte crescita del video advertising (+38,7% rispetto allo scorso anno) e del mobile advertising, che segna il +34,1%.
Tra gli argomenti chiave della seconda giornata dello Iab Forum 2013, da segnalare la presentazione di una ricerca, realizzata da Assist, sulla definizione dei profili degli utenti pubblicitari e un focus sul valore dei big data.
I 5 ARCHETIPI DEGLI ATTEGGIAMENTI DEGLI UTENTI DI FRONTE ALL’ONLINE ADV
Come spiegato da Luca Petroni, partner Assist, dall’indagine qualitiva ed etnografica sui comportamenti degli utenti nei confronti dell’advertising online emerge, nel complesso, un atteggiamento positivo e di apertura verso i messaggi pubblicitari. “Gli utenti - afferma Petroni - sono ben consapevoli della natura ‘attiva’ di internet, quindi tendono a interpretare la pubblicità, dal video al banner, non come un disturbo o un’interruzione, ma come un servizio utile a finalizzare un particolare interesse, trasformandolo per esempio in un’immediata azione di acquisto, tramite i canali e-commerce”.
La ricerca di Assist si muove, in particolare, sul terreno della ‘memorability’ dell’esperienza pubblicitaria, definendo i formati pubblicitati più ricordati. Al primo posto troviamo i post e le storie sponsorizzate su Facebook, al secondo le email e le newsletter, al terzo l’interstitial advertising, sempre al terzo posto, a pari merito, i video promozionali, al quinto posto il formato ‘skin’, e al sesto posto gli expanding banner. In totale, più del 10% dei messaggi pubblicitari viene notato e ricordato dagli utenti di internet.
L’indagine si conclude con la definizione di cinque profili di utenza, definiti ‘personas’, che rappresentano obiettivi e comportamenti di gruppi reali di utenti, ossia cinque archetipi degli atteggiamenti degli utenti nei confronti della pubblicità online.
1. Teresa, la televisa frizzante. Ha 55 anni e il suo dispositivo preferito è il computer. È attenta alla pubblicità online e preferisce quei formati ‘interruttivi’ o ‘interstiziali’, che compaiono dopo un click e in attesa che si apra il contenuto desiderato. Nel complesso il profilo Teresa è poco social e poco virale, ossia poco disposto a rispondere alle dinamiche dell’engagement 2.0.
2. Pietro, il prudente padre di famiglia. Ha 44 anni, utilizza prevalentemente pc e tablet, ma soprattutto si approccia a internet avendo quasi sempre un obiettivo ben preciso da portare a termine, come pagare una bolletta o fare un ricerca su un determinato brand o prodotto. A differenza di Teresa, il profilo Pietro è molto meno tollerante nei confronti dei formati pubblicitari ‘interruttivi’ o ‘interstiziali’, come i banner a espansione.
3. Simone, il socievole. Ha 20/30 anni e si connette a internet prevalentemente via smartphone. I formati pubblicitari che hanno più presa su questo profilo sono i post sponsorizzati di Facebook, i video di YouTube e la ‘skin’ quando usa il pc.
4. Michele, il meticolo entusiasta. Ha 40 anni, usa internet tutto il giorno, da quando si sveglia la mattina fino alla sera quando va a letto, passando dal pc di casa allo smarthone e dal pc del lavoro al tablet. È particolarmente ben disposto rispetto ai messaggi pubblicitari inviati via email e newsletter.
5. Nicole, la nativa digitale. Ha 20 anni e, paradossalmente, è la meno raggiungibile dai messaggi pubblicitari online. Essendo molto abile nell’utilizzo della Rete e tutti i principali device, a cominciare dallo smartphone e dal tablet, fino al classico pc, Nicole salta i video pubblicitari, blocca i banner e cancella i messaggi pubblicitari che le arrivano via email. È insomma la ‘bestia nera’ dell’online advertising. I formati che hanno qualche possibilità di far leva su Nicole sono le storie sponsorizzate su Facebook e in generale tutto ciò che rimanda a dinamiche virali e interattive.
PUNTARE SUI BIG DATA PER OTTIMIZZARE LA COMUNICAZIONE DIGITALE
Come ricordato da Andreas Weigend, former chief scientist di Amazon.com e docente presso la Stanford University, oggi, in ogni singolo giorno, creiamo più dati di quanto fatto dall’umanità dalla sua origine fino al 2000. È quindi evidente che abbiamo a che fare con quantità enormi di dati, ma il vero problema è riuscire a trasformare i famigerati big data in ‘right data’, ossia in dati che siamo in grado di leggere e interpretare, in altre parole in dati dotati di significato.
In particolare, fa notare Weigend, la comunicazione digitale si è evoluta nel corso degli anni attraverso una serie di capacità di creare connessioni. La prima a cominciare, 15 anni fa, è stata Google, che ha rivoluzionato il sistema introducendo il concetto del ‘connecting pages’, poi è stato il turno di Facebook, che, dieci anni fa, ha dato un nuovo significato al ‘connecting people’, successivamente è toccato a Apple, che cinque anni fa, ha introdotto il ‘connecting apps’, e oggi, infine, siamo entrati nell’era del ‘connecting data’.
Ma non tutti i big data sono uguali, osserva sempre Weigend, il quale, infatti, presenta l'elenco dei dati che le aziende trovano più importanti e per i quali sono disposte a pagare maggiormente: uno, dati di ‘geolocalizzazione’, ossia sapere dove il consumatore si trova. Due, ‘search history data’, ossia sapere cosa il consumatore ricerca online. Tre, dati di ‘purchase history’, ossia cosa il consumatore compra. Quattro, dati di ‘social graph’, ossia conoscere il network sociale dell’utente, in altre parole chi sono i suoi amici e conoscenti. Cinque, ‘demographics data and similar attributes’, ossia informazioni demografiche relative al consumatore.
Di big data si è occupato anche Aldo Agostinelli, digital director di Sky, il quale ha sottolineato come l’azienda televisiva abbia creato dei propri cluster e utilizzi i big data per ottimizzare l’investimento in comunicazione digitale. Il meccanismo è molto semplice: grazie ai big data non ci si rivolge più a tutti in maniera indifferenziata, come avviene per esempio con un spot tv in prime time, ma esattamente a quegli utenti che interessano e che l’azienda vuole raggiungere.
Grazie a un uso sapiente dei big data è dunque possibile realizzare una comunicazione altamente customizzata, che faccia leva su cluster aziendali proprietari e che utilizzi le logiche del real-time bidding.
“Per intenderci - aggiunge Agostinelli -, questo significa che l’amante del calcio visualizzerà banner a sfondo calcistico e che l’appassionato di musica vedrà video e altri contenuti pubblicitari ad hoc di tipo musicale”.
Mario Garaffa
“D’ora in avanti - dichiara ad ADVexpress Zanette - i candidati alle elezioni saranno suddivisi per ogni singola categoria, in modo da garantire una maggiore rappresentatività dei soci nel consiglio direttivo, che oltretutto passerà da undici a nove membri”.
In merito al valore dell’online advertsing (1,526 miliardi di euro nel 2013, +7,7% rispetto all’anno scorso, vedi news) e al peso dei singoli comparti che caratterizzano internet, Zanette precisa che il display advertising rappresenta il 47% della torta complessiva, al secondo posto troviamo il paid search, che vale il 34% del dato totale, seguito dalla categoria classified/directories (ossia i siti di annunci), che ottiene il rimanente 19%. Da segnalare infine la forte crescita del video advertising (+38,7% rispetto allo scorso anno) e del mobile advertising, che segna il +34,1%.
Tra gli argomenti chiave della seconda giornata dello Iab Forum 2013, da segnalare la presentazione di una ricerca, realizzata da Assist, sulla definizione dei profili degli utenti pubblicitari e un focus sul valore dei big data.
I 5 ARCHETIPI DEGLI ATTEGGIAMENTI DEGLI UTENTI DI FRONTE ALL’ONLINE ADV
Come spiegato da Luca Petroni, partner Assist, dall’indagine qualitiva ed etnografica sui comportamenti degli utenti nei confronti dell’advertising online emerge, nel complesso, un atteggiamento positivo e di apertura verso i messaggi pubblicitari. “Gli utenti - afferma Petroni - sono ben consapevoli della natura ‘attiva’ di internet, quindi tendono a interpretare la pubblicità, dal video al banner, non come un disturbo o un’interruzione, ma come un servizio utile a finalizzare un particolare interesse, trasformandolo per esempio in un’immediata azione di acquisto, tramite i canali e-commerce”.
La ricerca di Assist si muove, in particolare, sul terreno della ‘memorability’ dell’esperienza pubblicitaria, definendo i formati pubblicitati più ricordati. Al primo posto troviamo i post e le storie sponsorizzate su Facebook, al secondo le email e le newsletter, al terzo l’interstitial advertising, sempre al terzo posto, a pari merito, i video promozionali, al quinto posto il formato ‘skin’, e al sesto posto gli expanding banner. In totale, più del 10% dei messaggi pubblicitari viene notato e ricordato dagli utenti di internet.
L’indagine si conclude con la definizione di cinque profili di utenza, definiti ‘personas’, che rappresentano obiettivi e comportamenti di gruppi reali di utenti, ossia cinque archetipi degli atteggiamenti degli utenti nei confronti della pubblicità online.
1. Teresa, la televisa frizzante. Ha 55 anni e il suo dispositivo preferito è il computer. È attenta alla pubblicità online e preferisce quei formati ‘interruttivi’ o ‘interstiziali’, che compaiono dopo un click e in attesa che si apra il contenuto desiderato. Nel complesso il profilo Teresa è poco social e poco virale, ossia poco disposto a rispondere alle dinamiche dell’engagement 2.0.
2. Pietro, il prudente padre di famiglia. Ha 44 anni, utilizza prevalentemente pc e tablet, ma soprattutto si approccia a internet avendo quasi sempre un obiettivo ben preciso da portare a termine, come pagare una bolletta o fare un ricerca su un determinato brand o prodotto. A differenza di Teresa, il profilo Pietro è molto meno tollerante nei confronti dei formati pubblicitari ‘interruttivi’ o ‘interstiziali’, come i banner a espansione.
3. Simone, il socievole. Ha 20/30 anni e si connette a internet prevalentemente via smartphone. I formati pubblicitari che hanno più presa su questo profilo sono i post sponsorizzati di Facebook, i video di YouTube e la ‘skin’ quando usa il pc.
4. Michele, il meticolo entusiasta. Ha 40 anni, usa internet tutto il giorno, da quando si sveglia la mattina fino alla sera quando va a letto, passando dal pc di casa allo smarthone e dal pc del lavoro al tablet. È particolarmente ben disposto rispetto ai messaggi pubblicitari inviati via email e newsletter.
5. Nicole, la nativa digitale. Ha 20 anni e, paradossalmente, è la meno raggiungibile dai messaggi pubblicitari online. Essendo molto abile nell’utilizzo della Rete e tutti i principali device, a cominciare dallo smartphone e dal tablet, fino al classico pc, Nicole salta i video pubblicitari, blocca i banner e cancella i messaggi pubblicitari che le arrivano via email. È insomma la ‘bestia nera’ dell’online advertising. I formati che hanno qualche possibilità di far leva su Nicole sono le storie sponsorizzate su Facebook e in generale tutto ciò che rimanda a dinamiche virali e interattive.
PUNTARE SUI BIG DATA PER OTTIMIZZARE LA COMUNICAZIONE DIGITALE
Come ricordato da Andreas Weigend, former chief scientist di Amazon.com e docente presso la Stanford University, oggi, in ogni singolo giorno, creiamo più dati di quanto fatto dall’umanità dalla sua origine fino al 2000. È quindi evidente che abbiamo a che fare con quantità enormi di dati, ma il vero problema è riuscire a trasformare i famigerati big data in ‘right data’, ossia in dati che siamo in grado di leggere e interpretare, in altre parole in dati dotati di significato.
In particolare, fa notare Weigend, la comunicazione digitale si è evoluta nel corso degli anni attraverso una serie di capacità di creare connessioni. La prima a cominciare, 15 anni fa, è stata Google, che ha rivoluzionato il sistema introducendo il concetto del ‘connecting pages’, poi è stato il turno di Facebook, che, dieci anni fa, ha dato un nuovo significato al ‘connecting people’, successivamente è toccato a Apple, che cinque anni fa, ha introdotto il ‘connecting apps’, e oggi, infine, siamo entrati nell’era del ‘connecting data’.
Ma non tutti i big data sono uguali, osserva sempre Weigend, il quale, infatti, presenta l'elenco dei dati che le aziende trovano più importanti e per i quali sono disposte a pagare maggiormente: uno, dati di ‘geolocalizzazione’, ossia sapere dove il consumatore si trova. Due, ‘search history data’, ossia sapere cosa il consumatore ricerca online. Tre, dati di ‘purchase history’, ossia cosa il consumatore compra. Quattro, dati di ‘social graph’, ossia conoscere il network sociale dell’utente, in altre parole chi sono i suoi amici e conoscenti. Cinque, ‘demographics data and similar attributes’, ossia informazioni demografiche relative al consumatore.
Di big data si è occupato anche Aldo Agostinelli, digital director di Sky, il quale ha sottolineato come l’azienda televisiva abbia creato dei propri cluster e utilizzi i big data per ottimizzare l’investimento in comunicazione digitale. Il meccanismo è molto semplice: grazie ai big data non ci si rivolge più a tutti in maniera indifferenziata, come avviene per esempio con un spot tv in prime time, ma esattamente a quegli utenti che interessano e che l’azienda vuole raggiungere.
Grazie a un uso sapiente dei big data è dunque possibile realizzare una comunicazione altamente customizzata, che faccia leva su cluster aziendali proprietari e che utilizzi le logiche del real-time bidding.
“Per intenderci - aggiunge Agostinelli -, questo significa che l’amante del calcio visualizzerà banner a sfondo calcistico e che l’appassionato di musica vedrà video e altri contenuti pubblicitari ad hoc di tipo musicale”.
Mario Garaffa