Editoriale

Space Available Here. 'Meno Balotelli, più Bellinelli'

Nella sua rubrica su ADVexpress Pasquale Diaferia prende spunto dalla tappa milanese della Saatchi&Saatchi New Directors Showreel, in cui presenziavano due giovani italiani, per una riflessione sul tema dei giovani talenti italiani. E dichiara: 'Il problema purtroppo non è l’età. Comprendo il dramma della disoccupazione giovanile. Anche quando avevano vent’anni quelli della mia generazione, alla fine degli anni di piombo, non era certo più facile trovare lavoro. Semplicemente, allora, prevaleva un principio che oggi pare si sia dimenticato: merito e competenza guidano nelle scelte'.
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Si è riaperto, per l’ennesima volta, il tema dei giovani talenti italiani. E' stato rilanciato, l’altra sera alla Triennale di Milano, dalla bella e piacevole serata della tappa milanese della Saatchi&Saatchi New Directors Showreel. Il fatto che quest’anno, dopo un lungo periodo, fossero inclusi nella lista due giovani italiani, ha dato la stura al classico grammelot: “I giovani italiani sono bravi. Valorizziamoli”

Mi permetto però di andare oltre le generiche dichiarazioni (“in Italia ci sono molti talenti”, “la colpa della mancata messa in atto di queste capacità è dei clienti che non vogliono rischiare”, “proviamo a obbligarci a mettere nei nostri progetti i giovani registi”).

Lo faccio con la serenità di chi ha valorizzato, negli ultimi 15 anni, tanti under 30: alcuni fatti esordire in questo ambiente come registi o creativi, altri semplicemente fatti uscire dalle marginalizzazioni d'agenzia, altri ancora indirizzati con successo verso la libera professione e l’imprenditoria della comunicazione.

Lo faccio anche con la durezza di chi sa che non basta aver frequentato un diplomificio per art o copy per conoscere il mestiere. Lo faccio con la tigna di chi ha sempre combattuto lo squallore degli stage che permettono di sistemare i bilanci di agenzia e illudono, per tre, quattro, cinque mesi, i giovani creativi di aver trovato un posto in questo mondo.

Lo dico chiaramente: è ora di uscire dalle masturbazioni giovaniliste di questi ultimi dieci anni. Questa generica mitologizzazione dell’anagrafe ha fatto forse peggio degli stage non retribuiti. Dalla rottamaziona renziana fino alle recenti, opposte dichiarazioni del Maitre à Penser Gigi Buffon ("i vecchi sono meglio dei giovani"), il problema non è fare spazio all’anagrafe a prescindere o opporsi alle magnifiche sorti e progressive del Nuovo a tutti i costi. Non è un caso che perfino Renzi, attentissimo alla data di nascita ed al sesso dei suoi ministri, abbia scelto Padoan, che certamente non è trentenne né una donna, per il delicato dicastero dell’economia: lì serviva esperienza e competenza.

Il problema purtroppo non è l’età. Comprendo il dramma della disoccupazione giovanile. Anche quando avevano vent’anni quelli della mia generazione, alla fine degli anni di piombo, non era certo più facile trovare lavoro. Semplicemente, allora, prevaleva un principio che oggi pare si sia dimenticato: merito e competenza guidano nelle scelte.

Oggi, invece, si rimettono in scena due drammatici psicodrammi nazionali. Uno è, appunto, il conflitto generazionale. Fa il paio con la contrapposizione con gli emigrati, i nuovi italiani. La logica è creare paure, per controllare e bloccare le dinamiche di una società che avrebbe tutti gli strumenti per crescere. Ma se ci concentriamo sulla tematica giovanile, vorrei farvi notare che il problema non è la contrapposizione tra Buffon e Balotelli. Bensì quella tra il giovane attaccante del Milan e Marco Bellinelli (in foto).

Quest’ultimo è un giovane cestista che ha deciso, anni fa, di andare negli Stati Uniti a provare di vincere la sfida con l’NBA, il campionato professionistico più importante del mondo. Anche Balotelli a deciso di andare all’estero per trovare la sua strada, come tanti italiani hanno fatto, che fossero camerieri o laureati in fisica quantistica.

Ma più o meno nel periodo in cui super Mario giocava con i fuochi artificiali rischiando di dare alle fiamme la sua dorata villa di Manchester, l’altrettanto giovane Marco soffriva nel più duro ambiente dello sport mondiale. Ha cambiato due squadre, ha rischiato di essere tagliato, ha lavorato per migliorarsi anche in cambio di stipendi più bassi del giovane calciatore bresciano. Quest’anno, ancora cambiamenti e rischi: nuova franchigia, nuovo allenatore, nuovo ambiente, nuova fatica. Arriva però la consacrazione: a febbraio Marco vince la gara del tiro da tre all’All Star Game, e a giugno conquista il titolo di campione con i suoi Spurs, battendo i favoriti Miami Heats.

Ecco, questa è la storia che bisogna raccontare ai ragazzi italiani: si vince soffrendo, lavorando, se necessario andando all’estero. Ma si vince, fuori casa o nella propria città, solo ed esclusivamente se riesci a mettere il tuo talento al servizio di una squadra, di un gruppo di professionisti, di una piattaforma di valori sociali. E questo vale a 23 anni come a 53,, nello sport come nel nostro mestiere di creativi: o hai competenze e volontà, oppure non riesci a trovare il tuo posto nel mondo. Perfino se sei uno strapagato, ed inconcludente, talento come Mario Balotelli.

Raccontiamo questo ai ragazzi che si lamentano del non avere un futuro. In pubblicità, come in qualsiasi altro ambiente. Ricordate che il futuro, a qualsiasi età, anche alla mia, si costruisce attorno alle competenze, alla volontà, alla capacità di mettersi in gioco per i propri meriti. Il resto, la bella vita, i soldi facili, le vacanze garantite, sono favolette televisive, o messe in giro da direttori creativi con pochi scrupoli: spesso queste narrazioni si rivelano brevi ed inconsistenti.


Per questo, da domani, che la parola d'ordine diventi: Meno Balotelli, Più Bellinelli.